In Giappone tre università, col sostegno governativo, la stanno sperimentando dal 2008 con risultati incoraggianti, ma tutto è cominciato cinquant’anni fa in una piccola clinica della provincia romagnola: si tratta del CRM 197, una molecola che risulta efficace nella terapia antitumorale e nel trattamento della placca aterosclerotica. Il CRM197 è stato realizzato in Giappone dal prof. Uchida, ma è stato il medico ravennate Silvio Buzzi, in precedenza, a intuirne e sperimentarne, sugli animali e sull’uomo, le ignorate proprietà.

Il meccanismo per cui il CRM 197 esercita un effetto antitumorale è essenzialmente immunologico: la molecola, infatti, si lega ad un recettore spesso molto fitto sulle cellule tumorali (ma anche sulla placca aterosclerotica) e scatena così l’attivazione dei vari componenti del sistema immunitario, con un’azione distruttiva che finisce per colpire, oltre al bersaglio primitivo, anche il tessuto su cui questo si trova, che sia cellula tumorale o placca aterosclerotica.

Il dott. Silvio Buzzi, scomparso nel 2009, ha praticamente speso tutta la sua vita, le sue competenze e i suoi mezzi, potendo contare solo su laboratori occasionali da lui stesso allestiti e diretti, per offrire alla scienza medica e ai pazienti un farmaco completamente innovativo e di costi irrisori (e forse proprio per questo evitato dall’industria farmaceutica); purtroppo, le resistenze degli ambienti accademici e clinici italiani gli hanno impedito qualsiasi avallo istituzionale, nonostante alcune tra le più prestigiose riviste internazionali di medicina come Cancer Research, The Lancet, Cancer Immunology Immunotherapy, abbiano pubblicato le sue ricerche e sia stato nominato membro onorario della New York Academy of Sciences e dell’American Association for Cancer Research.

Per conservare, utilizzare e diffondere i dati raccolti in quasi quarant’anni di studi, per proseguire la ricerca, sia in campo oncologico, sia cardiovascolare e per ufficializzare la terapia con il CRM 197 attraverso trials clinici seri e monitorati, come sta avvenendo in Giappone e, infine, per sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti dei reali problemi della ricerca scientifica, è stata creata la Fondazione Silvio Buzzi, i cui primi promotori sono stati i figli del medico ravennate, che ne stanno portando avanti il progetto scientifico e terapeutico.

La travagliata e allo stesso tempo esaltante storia di questa scoperta è stata poi raccontata, come in un avvincente romanzo d’avventura, dal Buzzi stesso in Il talco sotto la lampada – storia di un medico & della tossina che combatte i tumori. Nella prefazione Luigi Bazzoli, che ha diretto per tre lustri l’inserto Medicina e Salute del Corriere della Sera, così presenta il libro: “Il talco sotto la lampada dovrebbe entrare di diritto nei testi di insegnamento universitario e tutti i giovani laureandi dovrebbero prenderlo come modello teorico e pratico di quella difficile, ma esaltante avventura dello spirito che spinge l’uomo a cercare una verità. E’ anche un libro di formazione, di quelli che insegnano la difficile arte di stare al mondo …”.

Tutto cominciò in una clinica privata ravennate, dove Buzzi, come aiuto chirurgo, colpito dal temporaneo miglioramento di alcuni pazienti oncologici sottoposti a un semplice intervento esplorativo, ne cercò la spiegazione. Durante uno di questi, il chirurgo aveva fatto volare il talco dei guanti di gomma che stava indossando sotto la lampada operatoria; queste particelle avrebbero potuto cadere nel campo operatorio veicolando germi di varia natura, ma il riscontro positivo precedentemente costatato, fece balenare al medico l’intuizione che i germi invasori potessero nuocere invece al tumore dei pazienti operati, più che alle parti sane dell’organismo.

Restava però da scoprire la natura degli eventuali germi benefici e poco più tardi, dopo aver affrontato un caso di difterite, ci si rese conto di quanto violenta potesse essere l’azione della tossina difterica e Silvio Buzzi si chiese se non fosse proprio un veleno così potente a causare un danno importante anche ad una massa tumorale. Furono poi gli studi successivi, prima in vitro, poi in vivo, a dimostrare la fondatezza di quell’intuizione. Da qui iniziò la battaglia per trovare appoggi a livello accademico e istituzionale, Buzzi bussò alla porta di organizzazioni politiche, sindacali, religiose, ma invano. Un muro di gomma lo respinse totalmente e nonostante i riconoscimenti internazionali conseguiti, non gli rimase che fare tutto da solo: “Disponevo di un piccolo laboratorio privato, di tossina da convertire in vaccino, di familiari in grado di darmi una mano, i due figli maggiori erano medici; la figlia minore e la moglie esperte di matematica per l’elaborazione statistica. Cosa potevo desiderare di più? Ero libero e avevo in testa un progetto …”.

Purtroppo, ancora una volta la maledizione del “muro di gomma” lo costrinse a desistere: per anni e anni non aveva avuto una vita privata, tutto compreso nella sua straordinaria scoperta e assillato da tanti pazienti che chiedevano disperatamente aiuto e nell’impossibilità di avere il vaccino per tutti. In più, l’indifferenza e l’ostracismo di istituzioni e media: “Avrei dovuto agganciarmi a un ambiente universitario con dedizione… mi avrebbe giovato curare di più la vita sociale, i rapporti importanti. Per contro mi ero dato a un isolamento noncurante e orgoglioso. Anche i partiti politici sarebbero stati una ruota da ungere e utilizzare. In Italia, quando ero un giovane medico, la politica aveva chiavi per tutte le porte… però avevo sempre respinto anche il solo pensiero con ripugnanza. I giornali, usati correttamente, potevano fungere da portavoce… ma la stampa l’avevo volutamente ignorata per non suscitare lusinghe nella povera gente… ”.

Sfiduciato ormai nella possibilità di poter avviare una sperimentazione istituzionalizzata, Silvio Buzzi volle allora ripercorrere la lunga storia della sua ricerca in un libro-pamphlet, Storia di una ricerca privata, del 1996, poi riedito e aggiornato per le edizioni Ares col titolo di Il talco sotto la lampada. Ma, improvvisamente, nel 2005, ecco una e-mail dal Giappone, dove uno degli allievi del promotore della CRM197 nel paese asiatico, il dott. Esuke Mekada, proponeva di unire le due ricerche, facendo particolare tesoro dell’esperienza positiva del farmaco sugli uomini, che fino a quel momento solo il medico romagnolo aveva sperimentato.

“Con una svolta improvvisa, qualcuno ci schiudeva la porta, ma, nel contempo, in qualche modo, ci diseredava. Capivamo di aver finalmente concluso la prima, estenuante frazione di una staffetta e che il testimone stava passando in ottime mani. Ma, se da un lato ci rallegrava l’aver sudato per una buona ragione, dall’altro ci affliggeva che la noncuranza del nostro paese ci costringesse a consegnare l’idea a stranieri che avevano sudato assai meno di noi ma, in compenso, disponevano a piacimento dei mezzi per svilupparla compiutamente… ”.

In calce al sito della Fondazione Buzzi troviamo questo appassionato appello, rivolto a tutti quelli che credono in una ricerca rigorosa e “pulita”: “Se credi che non tutti i possibili itinerari della scienza siano già stati tracciati, se credi che la ricerca debba essere libera da pregiudizi e non monopolio delle multinazionali del farmaco, se credi che ogni persona sia libera di scegliere il proprio percorso di cura, hai tutto il diritto di indignarti per le cose che vedi, ma hai anche l’obbligo di trovare il coraggio di cambiarle”.

Per maggiori informazioni:
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