Un articolo pubblicato sulla rivista Ecology Letters descrive una ricerca di tre paleontologi che hanno cercato di confrontare le tracce lasciate dalle estinzioni recenti con quelle del passato. La loro conclusione è che molte specie scomparse negli ultimi decenni o prossime all'estinzione potrebbero non lasciare tracce fossili. Ciò potrebbe significare che in realtà ciò sia successo anche nel passato e che di conseguenza le precedenti grandi estinzioni siano state sottostimate.

Le tracce fossili sono l'unico modo che abbiamo per conoscere gli organismi vissuti nel passato. Ci sono casi in cui deduciamo che qualche specie debba essere esistita perché conosciamo i loro discendenti ma ciò lascia la porta aperta a molte ipotesi basate su pochi fatti. Le informazioni concrete e affidabili provengono solo dai resti fossili che giungono fino a noi ma sono anche incomplete e Roy Plotnick, professore di Scienze terrestri e ambientali all'Università dell'Illinois a Chicago e i suoi colleghi pensano che questi limiti ci stiano fornendo un quadro distorto delle grandi estinzioni del passato ma anche di quella in atto.

I ricercatori hanno esaminato le specie considerate in pericolo usando vari database ecologici e tre database paleontologici di fossili. Applicando un'analisi statistica ai dati raccolti hanno trovato le possibili specie che corrono i maggiori rischi di sparire senza lasciare tracce. Il risultato è che moltissime specie potrebbero estinguersi senza lasciare fossili.

Roy Plotnick ha spiegato che gli animali più piccoli hanno meno probabilità di lasciare tracce fossili perciò è possibile che oltre l'85% dei mammiferi a rischio di estinzione possa cadere nell'oblio. Stiamo parlando di animali come roditori e pipistrelli ma è un rischio che può essere esteso a molte specie di uccelli e piccoli rettili. Ci sono molte specie di cui esistono informazioni, fotografie e anche video ma saremo in grado di conservarli?

Uno scenario di questo genere può sembrare solo una speculazione basata su osservazioni teoriche che potrebbero non avverarsi. Tuttavia, varie ricerche continuano a mostrare cambiamenti ambientali preoccupanti che potrebbero aggravare la situazione delle specie in pericolo di estinzione.

Ad esempio, un articolo pubblicato sulla rivista Nature Geoscience descrive una ricerca sulle temperature ambientali e sui livelli di anidride carbonica dalla fine dell'era dei dinosauri, circa 66 milioni di anni fa. Le conclusioni del team guidato dal professor Richard Zeebe della University of Hawai'i Manoa School of Ocean and Earth Science and Technology (SOEST) sono che gli esseri umani stanno rilasciando anidride carbonica a una velocità circa 10 volte superiore a qualsiasi evento da quell'epoca.

Queste conclusioni sono giunte esaminando i sedimenti risalenti a un periodo chiamato "Massimo termico del Paleocene-Eocene", in inglese Paleocene-Eocene Thermal Maximum (PETM), quando ci fu il cambiamento più significativo nelle condizioni climatiche mondiali, circa 55 milioni di anni fa.

Usando analisi chimiche e simulazioni numeriche relative al ciclo di carbonio, i ricercatori hanno determinato quale fosse la quantità di carbonio rilasciata nell'atmosfera in quel periodo, ma anche quanto si fosse riscaldata la Terra come conseguenza. Il risultato è che il carbonio rilasciato veniva rilasciato a un ritmo che era circa un decimo di quello odierno, ma allora il riscaldamento globale andò avanti per almeno 4.000 anni. Oggi potremmo ottenere gli stessi effetti in pochi decenni.

Un altro articolo, pubblicato questa volta sulla rivista BioScience, prende invece in esame la progressiva acidificazione degli oceani e le possibili conseguenze negative di questo fenomeno. Questa è più di una ricerca scientifica nel senso che si tratta del rapporto di un team di 20 esperti di scienze incaricati proprio di indagare sui problemi degli oceani dall'agenzia statale californiana Ocean Protection Council (OPC). Questo team è chiamato West Coast Ocean Acidification and Hypoxia Science Panel perché tiene sotto controllo in particolare la situazione della costa Ovest degli USA e il problema dell'ipossia, cioè la possibile scarsità di ossigeno nell'Oceano Pacifico derivante dai danni all'ambiente oceanico.

Secondo questi 20 esperti è urgente prendere provvedimenti drastici per limitare l'inquinamento marino e trovare modi per aiutare gli ecosistemi a rigenerarsi. Se non ci saranno risposte adeguate c'è il serio rischio di un collasso di quegli ecosistemi ed elementi come acidificazione e ipossia sono connessi alle grandi estinzioni del passato aumentando le preoccupazioni per il futuro prossimo.

Ormai vengono pubblicate in continuazione ricerche che mostrano i danni arrecati negli ultimi decenni a vari ecosistemi mondiali e i pericoli già esistenti oggi e crescenti nel futuro per l'ambiente che ci permette di vivere. Possiamo sperare di essere ancora in tempo per evitare il collasso ma servono decisioni importanti, ben più di quelle di facciata prese nei vari incontri internazionali.