Il caso di Democede (VI-V secolo a.C.) che, partito da Crotone, divenne medico di corte del re di Persia Dario I, già illustra le difficoltà per il mondo femminile di accedere alle cure praticate da medici uomini, specie nel caso di malattie che interessavano le parti intime del corpo. La regina Atossa, moglie di Dario, affetta da una cisti alla mammella, solo quando questa si gonfiò e, apertasi, diede luogo a un’ulcera, decise di ricorrere alle cure di Democede, ma dopo aver ottenuto la promessa che il medico in cambio non avrebbe chiesto nulla di sconveniente (Erodoto, Storie III 129-134).

Analoga difficoltà si ravvisa nella storia del medico Apollonide di Cnido, il cui comportamento, tuttavia, fu completamente diverso da quello tenuto da Democede. La sua tragica storia è riportata dallo storico Ctesia di Cnido (IV secolo a.C.), che la conservava nella sua opera Persiká. Apollonide – narrava Ctesia (688, Frammento 14.14 Jacoby = 14.14 Lenfant), originario di Cnido, era diventato medico alla corte persiana mantenendo l’incarico sia sotto il re Serse (485-465 a.C.), che sotto il suo successore Artaserse I (464-425). Apollonide era un medico valente. Delle sue doti di guaritore aveva tratto giovamento, infatti, il generale Megabizo che, ferito gravemente in battaglia, era stato curato e guarito. Di queste sue capacità, però, Apollonide aveva finito per abusare, scrivendo con ciò il suo infausto destino.

Dopo la morte di Megabizo, infatti, Apollonide si innamorò di Amytis, moglie del generale ormai rimasta vedova. La donna, poiché soffriva di un’infezione ai genitali, si rivolse al medico di Cnido in cerca di una cura efficace. La malattia non era grave, tuttavia Apollonide, per favorire la sua passione, consigliò alla donna di avere rapporti con uomini: in questo modo ne divenne amante.

La sconcertante terapia provocò l’aggravamento della malattia. Così Amytis si indebolì a tal punto da trovare la morte. Prima di spirare, però, rivelò alla madre, sorella del re Artaserse, la ‘cura’ cui si era sottoposta e chiese vendetta contro l’astuto medico di corte che era stato il suo carnefice. Così, persa la figlia, la principessa si rivolse al fratello Artaserse e ottenne il permesso di stabilire personalmente la punizione più adatta. Allora, catturato Apollonide, lo fece seppellire vivo.

Il comportamento di Apollonide, sebbene non rispecchiasse quello di tutti i medici, tuttavia mostrava le conseguenze che l’intervento di un medico-uomo poteva avere su una paziente-donna specie in caso di terapie a carico delle parti intime. Ciò giustificava la riluttanza delle donne a rivolgersi ai dottori, ma provocava inevitabilmente l’aumento di morti per malattie non curate o curate in ritardo.

Tratto da: G. Squillace, I balsami di Afrodite. Medici, malattie e farmaci nel mondo antico, San Sepolcro, Aboca Museum, 2015