Le conseguenze dei cambiamenti climatici possono farsi sentire a volte a breve termine ma emergeranno soprattutto a medio e lungo termine. Esse possono essere difficili da rilevare sulla terraferma ma è ancor più complicato scoprirle negli oceani. Varie ricerche stanno però mostrando vari fenomeni negativi in atto con alcune conseguenze già visibili.

Un articolo pubblicato sulla rivista Global Biogeochemical Cycles descrive una ricerca guidata da Matthew Long del National Center for Atmospheric Research (NCAR) americano sulla riduzione dell'ossigeno presente negli oceani dovuta ai cambiamenti climatici. Secondo le conclusioni dei ricercatori le vere conseguenze a lungo termine di questo problema cominceranno a manifestarsi tra il 2030 e il 2040.

Gli oceani ricevono ossigeno dalla loro superficie, dove viene assorbito dall'atmosfera, ma anche grazie al fitoplancton, una forma di plancton che lo produce attraverso la fotosintesi rilasciandolo anche nell'acqua. Dalla superficie, l'ossigeno si distribuisce nelle acque fino a raggiungere il fondo grazie al loro normale rimescolamento.

Il riscaldamento globale delle acque crea problemi nell'ossigenazione degli oceani. L'acqua più calda assorbe meno ossigeno e se non si raffredda non diventa più pesante di quella sottostante con la conseguenza che c'è un rimescolamento inferiore e l'ossigeno assorbito raggiunge più difficilmente i fondali oceanici.

Lo sconvolgimento degli equilibri negli oceani rischia di diventare una seria minaccia per molte specie che avranno sempre meno ossigeno da respirare. Il problema per gli scienziati è quello di valutare il calo di ossigeno presente nelle acque tenendo conto delle variazioni naturali causate ad esempio da venti e temperature della superficie.

Per costruire un modello affidabile che tenga conto di tutti i fattori, i ricercatori hanno utilizzato il supercomputer Yellowstone, finanziato da National Science Foundation e Dipartimento dell'Energia americano e gestito dall'NCAR. Entrato in funzione nel 2012, Yellowstone è stato costruito proprio per effettuare simulazioni di scenari geofisici e quindi anche studi climatologici.

Il supercomputer Yellowstone ha permesso di creare un modello della distribuzione di ossigeno presente negli oceani a partire dal 1920 con una proiezione che arriva fino al 2100. Oltre due dozzine di simulazioni sono state effettuate per valutare l'impatto di diverse variazioni nella temperatura dell'aria.

In questo caso stiamo parlando di problemi la cui gravità si manifesterà fra parecchi anni ma ce ne sono altri che sono visibili già oggi, almeno se qualcuno va a verificare alcune condizioni negli oceani. La diminuzione dell'ossigeno è solo uno dei problemi ma c'è anche quello della progressiva acidificazione degli oceani.

Un articolo pubblicato poco tempo fa sulla rivista Scientific Reports descrive uno studio sulla più estesa serie di misurazioni mai fatta sulla costa della California che mostra come gli effetti dell'acidificazione dell'Oceano Pacifico stia già mettendo a rischio molte specie locali.

Questa ricerca si è concentrata sulle aree della costa in cui "pozze" d'acqua vengono separate dall'oceano per varie ore al giorno a causa delle maree. Queste aree costituiscono habitat autonomi in cui scienziati della Carnegie Institution for Science, della University of California Davis e della University of California Santa Cruz hanno misurato l'acidità dell'acqua.

Il risultato è che durante le basse maree, l'acqua diventa più acida e di conseguenza corrosiva per il carbonato di calcio, che costituisce la base di scheletri e conchiglie di molte specie che vi vivono. In questo caso gli effetti negativi si stanno già vedendo ma peggioreranno a lungo termine, tanto che gli autori della ricerca gli effetti si raddoppieranno entro il 2050 con conseguenze tutte da valutare su quegli ecosistemi.

L'acidificazione degli oceani sta colpendo anche l'altra costa degli USA. Secondo un recentissimo studio della Rosenstiel School of Marine and Atmospheric Science dell'Università di Miami (UM), la pietra calcarea che forma le fondamenta delle barriere coralline sulla costa della Florida al largo delle Florida Keys si sta dissolvendo durante i mesi autunnali e invernali a causa dell'acidificazione.

Durante la primavera e l'estate le condizioni di temperatura, luce e crescita delle alghe sono favorevoli alla crescita della pietra calcarea mentre in autunno e inverno il processo si ferma a causa della temperatura inferiore e della scarsità di luce. Il problema è che l'acidificazione dell'Oceano Atlantico sta provocando un'erosione maggiore della crescita.

Stiamo parlando della terza barriera corallina più grande del mondo perciò la sua riduzione può avere un impatto molto negativo su tutto l'ecosistema della costa della Florida. La sola pesca è un affare da miliardi di dollari nell'area perciò se le specie pescate dovessero soffrire per la riduzione della barriera corallina ci sarebbero anche danni economici.

In continuazione nuove ricerche ci avvertono che qualche ecosistema sta soffrendo e nei prossimi anni subirà danni che potrebbero essere molto seri a causa dei cambiamenti climatici. Gli oceani stanno dando sintomi associati anche alle grandi estinzioni perciò se le cose non cambieranno rapidamente c'è il rischio che poi sia troppo tardi per evitare catastrofi ecologiche.