Montagne? Chiese confusa. Ci sono montagne a nord della Groenlandia?
Evidentemente, commentò il pilota, in tono altrettanto sorpreso...

(Dan Brown, La Verità del ghiaccio (Deception point)

Essi (gli Iperborei) considerano e chiamano se stessi “continentali”, mentre danno agli abitanti di queste nostre terre, circondate completamente dal mare, il nome di “isolani”.
(Plutarco, Il volto della Luna)

E intuivo che un unico piano univa Avalon, l’iperborea,
al deserto australe che ospita l’enigma di Ayers Rock.

(Umberto Eco, Il Pendolo di Foucault)

Le testimonianze della Grecia antica sulla terra degli Iperborei ci appaiono dopo duemila anni di una precisione e di una freschezza impressionanti. Di solito il Mito greco è celebre per la sua approssimazione, traboccando mille rivoli di varianti e contaminazioni del racconto fabuloso. Per gli Iperborei invece la concordanza delle fonti è perfetta. Dicono tutti la stessa cosa e ne parlano come fosse una terra vera e non un racconto mitico. Dobbiamo ricordare infatti che lo stesso Plutarco, e tutti i filosofi/intellettuali greci nel loro complesso, ci confermano come le élite culturali e religiose della Grecia precristiana avessero già una concezione del loro Mito di tipo allegorico-scientifico-filosofico. Non che fossero atei ma il loro livello intellettuale era tale da impedire loro di prendere alla lettera il racconto mitico di dei, eroi e mostri, portandoli invece a reinterpretarlo come codice esoterico di criptazione di fenomeni astronomici, e di significati morali, fisiologici, comunque altri rispetto alla superficie della narrazione.

Ancora oggi possiamo trovare concordanze incredibili fra scienza e Mito greco come nella storia della plediade Elettra e del Palladio, non a caso elemento essenziale per la fusione nucleare fredda. In questo senso comprendiamo meglio come la descrizione antica di Yperborea sia precisa, concreta e non contenga alcun elemento di mito. Yperborea è una terra calda, felice, fertile, ricca di ogni abbondanza e si trova oltre l’origine (artica) del vento freddo del Nord, Borea appunto. Yperborea è un Eden trans-artico, una Terra di mezzo che si troverebbe proprio al centro della Terra, se consideriamo che la maggioranza degli antichi ragionava considerando la Terra un disco piano. Anche Plutarco, che ragionava come noi a livello astrofisico credendo già al modello eliocentrico, certamente a livello pratico e geografico continuava a pensare (come noi stessi oggi) secondo uno stile da “flat earth”.

Il Mito ci conferma sulla raggiungibilità umana del paese degli Iperborei in quanto raccontava di antichi e annuali contatti amichevoli fra Delfi, Delo e gli ultranordici fratelli. Non solo: l’importanza degli Iperborei per i Greci era tale da attribuire a loro l’arrivo in Grecia del preziosissimo ulivo, da loro donato a Heracle, eroe semistorico della Grecia delle Olimpiadi con il quale si inaugura il sorgere del senso storico-culturale panellenico. Il linguaggio giunge fino a noi veicolando questi arcaici sensi se la Nato/Nasa ha chiamato non a caso Thule la loro base militare più a Nord, posta sulla costa della Groenlandia nordoccidentale. Thule per i Greci era quella terra di passaggio verso Yperborea, rappresentando prima di essa l’ultimo avamposto greco conosciuto. Gli Iperborei sono gli unici popoli non greci a non essere considerati barbari e questo dato è eccezionale, considerando l’univoco e intransigente razzismo dei Greci verso chi non appartenesse all’Ellade.

I dati astronomici sul varco di passaggio verso gli Iperborei appaiono convincenti in quanto concordano su informazioni precise che la scienza e l’umanità oggi confermano nello stesso modo: sole per sei mesi, un’ora sola di tramonto, la luna che appare più vicina. Il Mito conferma ancora: nei 3 mesi invernali Apollo lasciava la sua Delfi per andare a vivere con i suoi amici Iperborei, lasciando il suo sacro oracolo a Dioniso. Plutarco ne sapeva qualcosa, lui che era sacerdote di Delfi, oltre ad essere uno dei più acuti e lucidi intellettuali di tutta la Grecia antica. Diodoro Siculo arriva addirittura a stimare le dimensioni di Yperborea calcolandole simili a quelle della Sicilia. La cosa che mi ha lasciato senza fiato sono le osservazioni su Yperborea che Plutarco fa nei suoi scritti scientifici sulla natura della Luna (Il volto della luna, Adelphi). Dopo essersi dimostrato assolutamente razionale e coerente nel sostenere la natura di corpo planetario della Luna (da molti allora ritenuta una piccola stella o un corpo gassoso) e la sua connotazione di riflessione dei raggi solari (contro la teoria dell’autoilluminazione) Plutarco inizia all’improvviso a parlare di Yperborea, terra da cui la luna si vede meglio, e ne parla alludendo ad altri continenti terrestri, alludendo a una Terra quindi molto più grande dell’attuale mondo conosciuto.

Non solo: Plutarco parla di Oceano non come del limite cosmico dell’orbe terracqueo, come di solito gli antichi Greci ritenevano, ma come insieme dei mari di una parte della Terra, tanto da considerarlo uno degli immensi fiumi che escono da una cosmicamente centrale Yperborea! Capiamo come tale concezione presenti una sua coerenza, che trova conferme insospettabili e inattese sia con il libro biblico di Genesi, con l’Eden da cui escono 4 grandi fiumi, che con la celebre e bella mappa cinquecentesca di Mercatore che pone l’Eden in corrispondenza con il Polo Nord. A questo punto il Polo Nord plutarchiano sarebbe posto più a Nord, nell’esatto centro di un disco terrestre rispetto al quale il nostro attuale mappamondo rappresenta solo la parte sud, una delle quattro parti esistenti, divise dai 4 “fiumi” edenici, come visualizzano le più antiche mappe buddiste.

Plutarco considera gli Iperborei gli unici veri “continentali”, mentre tutti gli abitanti dei continenti terrestri conosciuti sarebbero degli “isolani” considerati dal punto di vista iperboreo. Ecco la spiegazione per cui l’Eden terrestre non è mai stato trovato nelle moderne esplorazioni: cercavano dentro quello che era fuori! Perché non è stata allora ancora scoperta tale terra se esiste? Beh, in primo luogo possiamo dire che l’Artico non è stato del tutto esplorato. A ciò aggiungiamo il fatto che vari interessi politici e militari ne impediscono una libera e trasparente esplorazione, anche in considerazione della recente grande crescita dell’importanza geopolitica dell’Artico quale via di comunicazione commerciale-militare e quale possibile nuova riserva di petrolio e di gas. Abbiamo poi un altro fattore di complicazione: l’ultima piccola glaciazione, quella che fece ghiacciare Tevere e Tamigi, come quadri di pochi secoli fa mostrano. Tale ultimo cambiamento climatico (e il successivo riscaldamento) potrebbe aver ostruito/celato vie di passaggio entro il Mar Artico e coperto isole visibili agli antichi. Dopo tutto ancora 400 anni fa la Groenlandia era tutta verde, libera dei ghiacci, come il suo nome indica: Terra Verde.

Persino rispetto alle esplorazioni novecentesche si sono perse le tracce di alcune isole avvistate, come pure parallelamente sono stati ritrovati resti di civiltà umana preistorica oltre il circolo polare artico. L’avvicinarsi al Polo magnetico disorienta la navigazione? Eppure Plutarco ci fornisce indicazioni precise, come derivassero da racconti vissuti: a 5 giorni di navigazione dalla Britannia c’è Ogigia (quella dell’omerica Calipso) e a 5000 stadi a nord di Ogigia c’è il varco verso Yperborea, rappresentato da alcune isole ancora abitate dai greci. L’Ultima Thule, appunto. I Greci conoscevano il Nord Europa, certamente i paesi baltici, per il commercio dell’ambra, ed erano ottimi navigatori, come il caso di Pitea di Marsiglia conferma. Nel 1987 un architetto navale inglese, John Francis Coates, ricostruisce perfettamente una trireme greca e ne calcola le velocità con 70 rematori, con le vele, con i remi, e con sia vento che remi. Utilizzando questi dati ho provato a calcolare una distanza media percorribile da una trireme che partisse dalla Scozia.

Ho ragionato però come se la terra fosse un disco piatto e il sole sulla terra si muovesse alla stessa altezza. Questo è necessario perché Plutarco fa muovere l’imbarcazione greca in perfetta linea verso Ovest e parla di altre isole oltre Ogigia (Islanda? Groenlandia? America?) allineate con il tramonto ma più vicine al passaggio iperboreo al Nord/Centro. Se consideriamo che l’alba sulla Grecia corrisponde a un sole che sia a mezzogiorno al di sopra dell’Etiopia (paese molto amato e citato dai Greci) allora vediamo come esista una linea retta fra Etiopia/Grecia/Scozia che continua fino all’America, dandoci la direzione da seguire per i 5 giorni di navigazione, che possono corrispondere a una distanza fra i 1500 e i 2000 chilometri. Dopotutto le rotte aeree ci confermano che il ragionare piattista resta di moda in quanto da Francoforte a Los Angeles si passa sopra la Groenlandia (alla faccia del mappamondo, che resta solo una comoda visualizzazione!). Raggiunta Ogigia, cioè l’Islanda del nord o la Groenlandia centro-occidentale, si deve puntare a Nord per 5000 stadi, cioè per circa 925 chilometri. Possiamo concludere che tale traiettoria ci indirizza verso il Polo Nord magnetico terrestre.

Purtroppo tale dato non è oggi così preciso ma rappresenta un’altra variabile perché nel tempo il Polo magnetico si è spostato, come pure l’asse terrestre si è potuto spostare, come i sacerdoti egiziani raccontarono a Erodoto, parlandogli di un’antica inversione fra alba e tramonto, dal sapore biblico, e come il grano non digerito nel ventre di alcuni mammuth siberiani sembra alludere… Mercatore, Kirkher, Oronteus Finaeus e altre mappe antiche confermano le distanze di Plutarco: le Spitzbergen e le Terre di Francesco Giuseppe coinciderebbero con l’ultima Thule greca.

Una cosa ho intuito e mi ha molto sorpreso: la scienza attuale potrebbe ipotizzare una terra calda oltre la cintura artica dei ghiacci in quanto sappiamo che la terra è un magnete ed esistono le “fasce di Van Allen” responsabili delle aurore boreali nella loro interazione con il plasma del vento solare. Ebbene se consideriamo i modelli di visualizzazione dei magneti (su foglio di carta coperto da grafite) e delle fasce di Van Allen vediamo che coincidono e vediamo come in corrispondenza del Polo Nord magnetico tali fasce si uniscano in un fascio unico quasi verticale, che porterebbe il vento solare vicinissimo alla superficie terrestre. Tale situazione potrebbe generare un clima molto caldo e l’elettricità dell’aria e la sua ionizzazione potrebbe stimolare la vegetazione.

Ecco a voi Yperborea, il cuore centrale di una Terra grande quattro volte l’attuale terra conosciuta, la Felice Isola Fortunata, il Paradiso terrestre posto esattamente sotto all’immobile Stella Polare, tanto amata dagli antichi, circondata dalla corona boreale che è l’Arianna di Teseo e di Dioniso. La stessa scienza “ufficiale” conferma che in caso di assenza della luna tutta l’acqua dei mari e degli oceani verrebbe ridistribuita, andando in parte a migrare dalle regioni equatoriali a quelle polari. Verrebbero così a ridursi o interrompersi anche alcune importanti correnti oceaniche che regolano la formazione delle nubi e quindi la circolazione atmosferica su scala globale, con ripercussioni non facilmente prevedibili ma sicuramente importanti sul clima. Ebbene il modello teorico tolemaico-plutarchiano-iperboreo contemplerebbe un'orbita lunare eccentrica rispetto al centro di un disco della terra quattro volte più grande di quella conosciuta, tale per cui sulla maggior parte degli altri continenti terrestri non si scorgerebbe la luna! Il centro sarebbe in perpendicolo con l’immobile stella polare e coinciderebbe con l’Eden dantesco, come mostra anche l’indicazione di Mercatore di una montagna “fusca et altissima”, come quella dantesca: (I’ mi volsi a man destra, e puosi mente a l’altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch’a la prima gente - Purgatorio I, 24), sulla cui sommità il sommo poeta pose il Paradiso terrestre, che sarebbe quindi avvicinabile fisicamente, come i vari racconti di “sante navigazioni” medioevali confermano.

Lo stesso Umberto Eco nel suo capolavoro Il Pendolo di Foucault connette il carattere lineare del piano di oscillazione del celebre pendolo a un nuovo/antico modello di geografia terrestre, alludendo alla coincidenza fisica dell’immobile stella polare quale chiave di volta (= punto di aggancio) della calotta semisferica del firmamento tolemaico. Il pendolo e le sue linee di forza magnetiche quale sintesi vivente di una vera mappa dei popoli e delle terre di tutta la Terra? Dopotutto lo stemma dell’Onu non pone i continenti a raggiera con al centro il Polo Nord, e questo quale unico Polo esistente? Se fosse vero il modello della “flat earth” potremmo quindi consolarci del rimpicciolimento dello spazio con la visione di una Terra assai più grande che attende nuove libere esplorazioni!!!