Camminando lungo le scale che portano all’antico acquedotto dell’Augusta Perusia, tra le prime città etrusche che se ne dotarono per trasferire acqua dai pozzi alle varie aree dell’urbe, a partire dal IV secolo a.C., intravedo nella prima mattina dell’anno un albero bene augurale pieno di frutti maturi. Siamo in vicinanza dell'antica porta perugina, unica sopravvissuta intatta delle cinque etrusche, poiché rimasta sepolta per secoli: la Posterula o Postierla della Conca.

L’albero che mi ha sorpreso e ha richiamato la mia attenzione è un esemplare rigoglioso di Corbezzolo - Arbutus unedo L. il suo nome latino – che crea un arco naturale sporgendo da un piccolo giardino pensile verso la via sospesa tra vecchie case eleganti e popolari in perfetta armonia di forme e colori. Mi ha riportato a un percorso che recentemente ho scoperto a Parigi, i quattro chilometri realizzati una ventina di anni fa sulla vecchia ferrovia dismessa, la Promenade plantée, il primo parco pubblico sopraelevato del mondo, da cui poter ammirare una nuova prospettiva della città fuori dal traffico e dalle concitate vie urbane. L’arbutus unedo nel suo nome latino porta precisi significati impartiti da Plinio il vecchio, naturalista scrittore di Como, vissuto nel I secolo d. C., morto studiando l’eruzione del Vesuvio, autore dell’opera enciclopedica in 37 volumi Naturalis historia. Infatti il nome arbutus, cespuglio, unedo dal latino, unum edo “ne mangio uno solo”, riferito al frutto, ne influenzò spesso l’uso parco delle bacche che se mangiate in grande quantità secondo alcuni testi di fitoterapia potrebbero indurre senso di ubriachezza e addirittura vertigine.

Questo piccolo albero è invece ricco di grandi qualità da ogni punto di vista a partire dalla sua bellezza come pianta ornamentale, perché ricco di foglie sempreverdi di un colore vivace e lucido; fiorisce fino a Natale con piccoli grappoli di campanelline bianche rosate, e allo stesso tempo matura piccole bacche globose rosso fuoco di circa un centimetro, portate in grappoli che ricordano quelli delle ciliegie. Il permanere delle foglie dei fiori e dei frutti anche in inverno ha fatto si che nell’Ottocento venisse insignito per i suoi tre colori, verde, bianco e rosso come albero dell’unità nazionale. Giovanni Pascoli gli dedica un Ode, l’Ode al Corbezzolo in cui evoca l’episodio di Pallante, che Virgilio nell’undicesimo libro dell’Eneide mette a fianco di Enea nella guerra contro Turno re dei Rutuli, collegando il suo sacrificio come primo eroe caduto per la fondazione di Roma. Il ramo di corbezzolo intrecciato sul feretro evoca l’immortalità dell’anima del defunto come voleva l’antica tradizione latina per l’uso di questa pianta con proprietà apotropaiche. Anche un altro poeta infatti, Publio Ovidio Nasone, nei Fasti ricorda il potere che ha il corbezzolo di allontanare le striges, le streghe nella notte di San Giovanni. Giano si innamora di Carna, sorella di Apollo ninfa gelosa della sua verginità, poi con uno stratagemma riesce a conquistarla e per compensarla di quanto le fece perdere la tramuta in guardiana delle porte ed ella con una virga janalis, un ramoscello di corbezzolo, allontanava le streghe e guariva i bambini ammalati o stregati (Fasti VI, 153).

Tanti i suoi nomi comuni e dialettali albatro, arbuto, frola marina, urla, rossello, murta, arburin, ciliegio marino, lallerone, cerasa marina. Tutti nomi legati soprattutto alla sua presenza nei boschi mediterranei nelle rupi rocciose vicino al mare. La sua bellezza e anche la sua robustezza come cespuglio, resistente alle malattie, che arriva anche a diventare un albero di dieci dodici metri con una chioma fitta e un tronco modellato quasi a scultura con tonalità rosso scuro in alcune specie, ne fanno il successo come pianta per tutti i giardini tra 0 e 800 metri di altezza dal mediterraneo, alla California, all’Europa del Nord se abbastanza riparato dai venti freddi.

Ricordo a proposito di questa pianta il bell’articolo della poetessa e scrittrice nonché botanica inglese Vita Sackwille-West (1892-1962) nel famoso best seller sul giardino Garden book pubblicato a Londra nel 1968. Vita ne descrive il successo anche nei giardini dell’Irlanda sud-occidentale “dove cresce selvatico”, lodandone le qualità come “bel sempreverde di agevoli misure e di carattere accomodante”! Non fa a meno di parlare delle sue esigenze particolari poiché giustamente, al contrario della maggioranza delle altre specie della famiglia a cui appartiene, le Ericaceae, non rifugge i terreni alcalini ma anzi prospera dove ci sono rocce calcaree o vulcaniche. La specie Arbutus menziesii che è originario dell’areale mediterraneo della California, il chaparral, raggiunge i 30 metri di altezza mentre la specie A. andrachne è noto per la corteccia rossa e spesso proprio per questo motivo lo si può trovare come esemplare ornamentale anche negli orti botanici.

Vita Sackwille-West mi accorgo ora, rileggendo quel bel testo, che sperimentò la piantagione dell’Arbutus unedo di fronte alla sua finestra sfidando il clima rigido continentale, proprio come feci io dieci anni fa nel mio giardino in pianura padana. “Quello che ho piantato – dice la scrittrice paesaggista – circa quindici anni fa qui nel Kent sta crescendo con velocità allarmante. E ha già nascosto una finestra del pian terreno; presto raggiungerà il primo piano, cosa farò allora? Lo lascerò crescere alto quanto il tetto, suppongo, e oltre”.

Prenderò spunto da lei visto che il mio ha già raggiunto in 10 anni già il secondo piano proteggendoci con una vaporosa chioma rigogliosa dalle polveri della strada e costituisce una siepe informale che non necessita di potature. Non dimenticherò però di dirvi qualcosa sulle sue proprietà come fitoterapico e dei suoi diversi usi nel bacino del mediterraneo specialmente nell’isola della Sardegna, dove prospera anche vicino al mare visto che non teme il vento salmastro. Qui infatti viene utilizzato per far bottinare le api e ricavarne un ottimo miele balsamico, mentre dei frutti si utilizza la polpa per riempire le “seadas” dolce locale solitamente accompagnato dal pecorino. I frutti ricchi di vitamina C sono utilizzati anche per le marmellate, mentre in Portogallo se ne fa un liquore tipico, l’Aguardente de Medronho, dal nome locale del frutto medronheiro.

Interessanti le sue virtù terapeutiche, che sono soprattutto contenute nelle foglie. Di queste se ne può fare un decotto una volta essiccate poiché hanno proprietà astringente per la pelle, per i capillari dilatati, la couperose, antiinfiammatorio per il fegato e le vie biliari e disinfettante delle vie urinaria grazie al glucoside contenuto nelle foglie giovani, l’arbutina.

Qualcuno ne ricorda l’uso antico della pianta anche come buona legna da ardere perché il suo aroma viene trasmesso ai cibi cotti sulle sue braci. Il fuoco non è molto temuto da queste piante come tutte le piante mediterranee, con cui si trova in associazione, olivo, mirto, leccio, alloro, cisto, perché sono le prime a rigettare dalle radici e dal tronco rimasto dopo un incendio e a riprendere vita in forma arbustiva dopo poco tempo. Per questo vengono chiamate in gergo botanico piante pioniere in grado di ripopolare aree degradate a causa di un pascolo, di sfruttamento dei suoli, o di incendi tipici di queste aree.

Potremmo dire che quest’albero è un prodigio del mondo vegetale sotto molti punti di vista perché quindi privarcene nel nostro giardino ? Sarebbe meglio seguire il consiglio di una maestra inglese come Vita Sackwille-West e utilizzare i suo grappoli fioriti bianchi insieme a un tralcio di frutti rossi per decorare un vaso per il pranzo del primo mese dell’anno. Porterà fortuna… Buon 2017!