Dino Rubino è molto più che di una speranza del jazz che sarà. Difficile trovare una maggiore compenetrazione fra stile e personalità rispetto a quella del musicista catanese che si destreggia con particolare ispirazione fra tromba e piano. E proprio al fascino assoluto che si cela dietro ai tasti d’avorio che è dedicato il suo ultimo Roaming Heart, il terzo capitolo registrato per la Tuk Music del suo amico e mentore Paolo Fresu, che riconosce in lui una purezza d’approccio che arriva da lontano.

Totalmente improvvisato al pianoforte in studio, con alcuni omaggi o dediche struggenti, come il pensiero avuto per il mai troppo lodato Luca Flores, l’album rappresenta l’assist ideale per una sensibilità rara per quanto avvolgente, condensando al meglio quest’ultimo periodo di immagini ed emozioni che Rubino ha vissuto a Parigi, dove è stato appena applaudito per un ingaggio dal vivo presso il celebre Duc Des Lombards. Uno spunto che rappresenta l’occasione perfetta per riannodare il filo della memoria: “Essere jazzista - ribadisce - o meglio cercare di essere un musicista e dunque occuparsi di arte è per me soprattutto un modo di vivere: si è musicisti quando si sta a casa, quando si è da soli, quando si parla con le persone, quando finisce una giornata e si chiudono gli occhi. Salire sul palco e cercare di fare musica, secondo il mio punto di vista, è la conseguenza di tutto questo. Ho iniziato ad amare il jazz da piccolo in quanto mio padre è stato uno dei primi batteristi jazz della provincia di Catania e ha gestito per quattro anni un piccolo e fortunato club a Biancavilla, paese in cui sono nato, dove si sono esibiti molti dei più importanti jazzisti di fama internazionale.

Quali furono i tuoi primi esordi?

Il primo amore fu per i Beatles e in particolare per John Lennon, subito dopo vennero i primi ascolti jazz, da Tom Harrell a Kenny Dorham, Chet Baker, Clifford Brown, Michel Petrucciani, Bill Evans, Miles Davis… la lista sarebbe troppo lunga perché ho ascoltato molta musica lasciandomi influenzare da tutto ciò che trovavo semplicemente “bello”.

Hai studiato con profitto anche al Conservatorio: il passaggio tra musica colta (classica, contemporanea) fino al jazz ha rappresentato un passaggio impegnativo?

Sinceramente non ho avvertito nessun passaggio di stile perché sento la musica come un’unica entità; ho studiato con passione musica classica, amo il folk di Nick Drake e James Taylor, adoro la musica brasiliana di Jobim e Chico Barque, vibro con i nostri Battisti, Tenco, De Andrè, Mia Martini, Gaber… Tutto ciò che tocca il mio intimo diventa parte di me e di un tutt’uno che poi si rispecchia nella musica e nel modo di vivere.

Tra i trombettisti si dà molta importanza all'impostazione, panacea di tutti mali e crucci possibili, soprattutto per avere un'ottima estensione. Per te tutto questo ha un senso?

Purtroppo hai fatto la domanda alla persona sbagliata. Non ho mai capito come si suona la tromba e spesso ho pensato di abbandonarla. Per un periodo l’ho anche fatto. Nel mio caso ho avuto delle brutte esperienze dovute al fatto di aver incontrato gli insegnanti sbagliati che mi fecero cambiare impostazione più volte facendomi ripartire sempre da zero; dopo quel periodo abbandonai la tromba per sei anni. Penso che l’impostazione migliore sia quella “naturale” e se lo avessi capito quando avevo quindici anni avrei forse potuto evitare molte sofferenze.

Quali sono gli eroi a cui ti sei ispirato? I tuoi padrini sono stati Enrico Rava e Paolo Fresu, hai condiviso tanta umanità con loro, raccontami un paio di episodi emblematici, cosa vorresti dire loro che finora hai solo pensato?

Come ti dicevo sono stato influenzato da tutto quello che trovavo “bello” e fortunatamente di cose belle ce ne sono state e ce ne sono ancora tante. Ho conosciuto Enrico Rava e Paolo Fresu nel 1995 durante i seminari estivi di Siena Jazz e sono stato naturalmente attratto dalla loro figura e dal loro modo di vivere la musica. Un aneddoto su entrambi ce l’ho eccome: quando nel 1995 frequentai i seminari di Siena speravo tanto di fare musica d’insieme con Enrico ma purtroppo lui seguiva solo il terzo livello e io ero stato assegnato al secondo. Così tutte le mattine, appena finite le mie lezioni, andavo davanti la classe di Enrico per seguire i suoi corsi, standomene zitto in un angolino. Dopo una settimana, vedendo tutti i giorni questo ragazzino di quindici anni con la tromba in spalla, Enrico mi chiese se volevo fare un brano con loro. Nonostante l’emozione accettai, così lui mi chiese: “Cosa vuoi suonare”? Non sapendo che dire risposi: “Dimmi tu… ” Lui replicò: “Conosci Joy Spring di Clifford Brown”? E io: “Ehmmm sì… ”La cosa buffa fu che Joy Spring è stato uno dei primi brani che imparai a suonare con la tromba in quanto Clifford Brown fu uno dei miei primi modelli, dunque la conoscevo benissimo. Oggi mi capita spesso di condividere il palco con Enrico e gli sono grato per tutte le cose belle che ha fatto per me. Con Paolo la cosa è andata un po’ diversamente: Subito dopo i seminari ci perdemmo di vista. Molti anni dopo presi parte alla registrazione di un disco di Giovanni Mazzarino, Light, e le note di copertina furono scritte proprio da Paolo. Dopo aver ascoltato quel disco fui contattato dallo stesso per entrare a far parte della sua neonata etichetta Tùk Music, era il luglio del 2010. Da quel momento è incominciata una fitta collaborazione artistica che continua tutt’oggi e che ha arricchito il mio mondo interiore. Paolo, con il suo silenzio parlante, mi ha insegnato molto e gli sono tanto grato. Lo scorso anno eravamo in Spagna per dei concerti in duo e una sera a Madrid venne ad ascoltarci Tonino Carotone, noto cantante spagnolo. Prima di iniziare il concerto Paolo chiese a Tonino se voleva unirsi a noi per cantare qualche brano ma lui rifiutò. Finito il primo set Tonino passò nei camerini ed entusiasta ci chiese se poteva unirsi a noi per fare un brano. Paolo accettò più che volentieri, io mi accodai con un sorriso. Quando Paolo invitò Tonino sul palco il pubblicò impazzì letteralmente. Facemmo una versione di Guarda che Luna immersi in un clima surreale, tipico della Spagna. La serata con Tonino proseguì fino alle cinque del mattino e fu davvero esilarante.

Dimmi anche di questo tuo anno a Parigi e delle difficoltà di essere oggi un musicista jazz in Italia...

Da un anno vivo a Parigi e ho iniziato a collaborare con musicisti quali Riccardo Del Fra e Aldo Romano. Penso che fare il musicista sia difficile ovunque; forse la Francia ha più apertura mentale e il pubblico va a sentire i concerti anche se in cartellone ci sono nomi di giovani sconosciuti. Personalmente mi auguro di trovare il giusto spazio, in Italia, in Francia e nel mondo, che mi dia la possibilità di esprimermi per come desidererei.

Il jazz è diventato un linguaggio che non appartiene più a una sola cultura, sei d'accordo?

La parola Jazz per me significa libertà e in quanto libertà non può essere relegata a una sola cultura: tutto ciò che è vero e onesto è libero, di conseguenza infinite sono le culture e i linguaggi che permeano e vivono nel jazz.

Se avessi a disposizione una macchina del tempo in che anno vorresti tornare? Per salire sul palco con chi?

Sinceramente la lista degli artisti che avrei voluto conoscere e con cui mi sarebbe piaciuto condividere il palco è lunga dunque mi limito a scrivere i primi tre mi vengono in mente adesso: John Lennon, Nick Drake e Chet Baker.

Apprezzo molto la tua capacità di restare te stesso in qualunque contesto ti trovi, alternando la tromba al piano subordinando la tecnica all’espressione... In questi (relativamente) pochi anni, hai sviluppato un tuo stile personalissimo. A cosa pensi quando suoni, e in quali concetti potresti riassumere il tuo modo di suonare? Da cosa trai l'ispirazione per le tue idee musicali?

L’unica cosa che cerco di fare quando suono è essere me stesso, cercare qualcosa di vero in quel nucleo intimo che vive in ognuno di noi e condividerlo con gli altri. Delle volte ci riesco, altre no. Penso che la riuscita di questo processo sia un mistero legato alla vita, inspiegabile con concetti razionali o intellettuali; un po’ come la fede.

Una domanda per trombettisti. Che tromba/e e flicorno usi? Quale/i bocchini?

Ultimamente ho ripreso a suonare una Conn Connstellation del 1962 anche se dal vivo utilizzo più il flicorno, un Oiram costruito dall’artigiano olandese Hub Van Laar. Riguardo i bocchini uso Bach 5C per entrambi gli strumenti.

Cosa c’è nel tuo futuro?

Negli ultimi mesi l’ispirazione compositiva è venuta a farmi visita dunque ho scritto molta musica, musica che intendo registrare nel prossimo disco. Adesso la scelta dell’organico e dei musicisti e poi spero di registrare tutto entro la fine dell’anno.