Quest’anno Misteri e Fuochi, progetto internazionale organizzato da Teatro Pubblico Pugliese ha scelto come spunto tematico il pellegrinaggio “cammino spirituale e catartico che attraversa I territori e si interseca con visioni sulla passione e sulla sofferenza contemporanea”.

Quando parliamo di “pellegrinaggio” siamo soliti pensare alla religione. Per esempio la Terra Santa è una meta immancabile per tutte quelle religioni abramitiche come Giudaismo, Cristianesimo, Islamismo. “Samsara” che in Sanscrito è usata per indicare il ciclo morte/resurrezione nelle filosofie orientali significa proprio pellegrinaggio. Ad ogni modo dobbiamo ripensare questo tema in un senso più universale: come viaggio alla ricerca di significati (viaggio verso luoghi sacri, viaggio per cercare fortuna o per trovare qualcosa nascosto in noi stessi). È il viaggio che ci connette con il sacro qualsiasi cosa questo significhi. Ogni viaggio reale o metaforico con una relazione alla memoria o alla spiritualità è un pellegrinaggio. La Puglia, la regione nella quale sono nato, terra di fuochi, misteri, processioni e Santi, ospita una delle tre vie del pellegrinaggio che porta alla Terra Santa ed è da sempre considerata la Porta d’Oriente. “Qui in Puglia la via del ritrovo è anche via della passione, lo ricorda la miriade di processioni e riti santi legati alla via Crucis; un luogo dove tradizioni spirituali antichissime possono incontrare riflessioni sulla condizione dell’uomo contemporaneo, un luogo di passaggio in cui lasciare il segno”.

Uno degli spettacoli più attesi di questa edizione è stata la performance Passage through the world commissionata da TPP Teatro Pubblico Pugliese, curata da Franco Laera e prodotta da Change Performing Arts. Per questa occasione speciale la famosa artista internazionale Shirin Neshat e il suo compagno, il regista Shoja Azari, hanno lavorato su immagini, video e concezione degli spazi del progetto mentre il musicista iraniano Mohsen Namjoo ha lavorato sulla musica, le voci e la performance live al fine di creare un grande capolavoro che si avvalso della partecipazione del Faraualla Vocal Ensemble e delle “lamentatrici” di Bari vecchia. Infatti dopo aver visitato la città di Bari emblematicamente proiettata per secoli come ponte ideale tra cultura europea e medio orientale i tre artisti hanno coinvolto un gruppo di donne della città vecchia, ultime testimoni dei lamenti rituali nelle cerimonie funebri e il gruppo vocale Faraualla, impegnato nella conservazione della musica tradizionale e delle canzoni pugliesi. Il progetto ha mescolato “forme musicali ed echi della cultura islamica in un’esperienza di sovrapposizioni creative e artistiche, una dura risposta all’eco delle violenze e intolleranze dei nostri giorni”.

Sotto la cupola del foyer del Teatro Margherita di Bari la scena è occupata da due gruppi di donne che si dispongono e muovono attorno all’unico uomo posto al centro. Il pubblico è disposto a cerchio mentre ai quattro angoli emergono quattro monumentali proiezioni di donne quasi immobili sempre in bianco e nero. Gli unici colori visibili sulla scena sono quindi il bianco e il nero. Le donne vestite di nero sono dieci lamentatrici di Bari vecchia che intonano preghiere come negli antichi rituali funebri dei quali in Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna ancora resta qualche sporadica traccia. Ad essere vestite di bianco invece sono le quattro componenti del gruppo barese Faraualla, le vocalizzazioni delle quali intersecano le vocalità e la musica del musicista iraniano Mohsen Namjoo che suona il setar, un tradizionale strumento a corde iraniano. Dunque gli unici colori diversi dal bianco e nero presenti sulla scena sono i colori del suono, della musica che come ha spiegato Shirin Neshat “è l’unico linguaggio che non necessita di traduzioni e produce emozioni istintive”. Sono i colori del suono che uniscono Oriente e Occidente, Islam e Cristianesimo, il bianco e nero, la vita e la morte, la luce e il buio.

Da non sottovalutare anche il legame tra il tema (pilgrimage) e la condizione degli artisti. Infatti la radice latina del termine “peregrinus” indica lo straniero, l’esule, l’immigrato. Shirin Neshat e Shoja Azari vivono in esilio da trent’anni mentre Namjoo è stato esiliato nel 2007 per aver incluso un verso del Corano in una sua canzone (Shams).

Questa performance mi ricorda almeno due precedenti lavori della Neshat: la doppia proiezione video Turbulent (1998) e il video Passage (2001) creato in collaborazione con il compositore americano Philip Glass. In Turbulent il tema era l’assenza delle donne iraniane nel mondo musicale. L’opera concepita intorno agli opposti (bianco/nero, maschio/femmina, pieno/vuoto… ) mostrava un uomo (Shoja Azari) che cantava canzoni d’amore con testi del mistico iraniano Rumi di fronte a una platea piena e una donna (Sussan Deyhim) che cantava con grande intensità emozionale di fronte a una platea vuota. Passage invece era un’opera sull’inevitabilità di certi cerchi (vita e morte, buio e luce, ecc.). qui un gruppo di uomini vestiti di nero trasportano una salma in un lungo viaggio che termina nel deserto mentre un gruppo di donne velate scavano una fossa intonando un canto primordiale come in un rituale collettivo. Con le parole dell’artista: “Ho usato il simbolismo per meditare sulla tradizione e raccontare la storia dell’umana sconfitta, speranza e rinnovo di fronte al mistero esistenziale, alla meraviglia, stupore”.

Passage through the world probabilmente parte da queste tematiche acquisendo caratteristiche proprie date dalla possibilità di collegare mondi e culture differenti. Il pellegrinaggio è un viaggio e in quanto tale è un’allegoria della vita, un simbolo della condizione umana, del desiderio di conoscere e di andare oltre l’ignoto, di nutrire la nostra spiritualità e vita.

Immagini, video e concezione spaziale di Shoja Azari e Shirin Neshat.
Musica, voci e live performance di Mohsen Namjoo con la partecipazione di Faraualla Vocal Ensemble e delle “lamentatrici” di Bari vecchia.
Progetto commissionato da TPP Teatro Pubblico Pugliese, curato da Franco Laera e prodotto da Change Performing Arts. Photo credit: Luciano Romano.