In testa non ha serpenti, ma i capelli corti di un grigio luminoso li porta gentilmente ritti e scomposti; pensa che non sempre la piega a modino del parrucchiere sia il meglio per una donna. Con quest’acconciatura birbante, che dona molto al suo viso e al suo temperamento, nel 2013 ha ritirato il César vinto per il ruolo di Anne in Amour di Haneke, monsieur César, l’ha chiamato nel discorso di ringraziamento che sfuggiva a ogni convenzione: “Il film si intitola Amour. Non è l’amore, né un amore, ma Amore, un terzo personaggio, per me è il nome di una persona”.

E così pettinata, con citazione vaghissima del gusto punk, si è presentata alla cerimonia degli Oscar dove era candidata, ancora per Amour. Elegante, moderna, come coloro che sono sempre moderni perché vivono il tempo presente a tutte le età. Emmanuelle Riva, senza serpenti mitologici sulla testa, ma con i capelli gentilmente ritti, a ottantotto anni si è trasformata nella Medusa, la creatura che attrae, pietrifica con gli occhi e ferma il tempo.

Al Centro culturale Il Funaro di Pistoia, luogo diverso da tutti, l’attrice francese di Hiroshima mon amour, Thérèse Desqueyroux (Coppa Volpi 1961 per la migliore interpretazione femminile), Kapò, Gli occhi, la bocca, Film Blu e di tanto teatro, ha letto, nella sua lingua, Medusa suite, un suggestivo poema di Sheila Concari, attiva fra Parigi e la Toscana, autrice anche dei conturbanti video. Il pubblico di questa serata, unica data in Europa, ha taciuto, è stato immobile sulle poltroncine, pietrificato, non dallo sguardo della Medusa, ma dalla grandezza dell’interprete, benedetta oltretutto da una voce fresca, di quarantenne.

“Sviene,
d’amore non amore.
A-m-o-r-e
quella parola non abbastanza sognata,
sfiorita troppo presto.
Per un lungo momento trasuda l’onta”.

Emmanuelle Riva e Sheila Concari si sono conosciute nel 2009. Dalla loro intesa è nata questa nuova produzione, Medusa suite, un lavoro che l’autrice non può spiegare, ammesso che ci sia qualche cosa da capire: “In fondo l’autore desidera che anche l’ascoltatore sia perduto nelle spire di questa medusa, così come più volte lui stesso vi si è perso, per poi ritrovarsi e perdersi ancora. In questa storia “non storia” si incrociano animali acquatici ed umani, divinità e mostri, si mischiano acqua e lacrime, amore e odio, memoria ed oblio”.

Emmanuelle, non si fa chiamare madame, e Sheila, togliamo il madame anche a lei, solo Sheila, sono state cinque giorni in residenza artistica al Funaro, diventando habitué della caffetteria, dove hanno cenato anche dopo lo spettacolo con una dozzina di persone fra le quali una giornalista che, incantata dallo splendore delle commensali, non è stata giornalista; nemmeno una domanda. Per fortuna nel pomeriggio aveva fatto il suo mestiere Giuseppina Manin del Corriere della Sera alla quale Emmanuelle ha detto : “Con Sheila ci siamo incontrate per un lavoro radiofonico su Dora Maar, la fotografa amante di Picasso. Tra noi si è creata una sintonia speciale che ci ha portato a ragionare sulla femminilità e la sessualità, la maternità e il suo rifiuto, la metamorfosi e i suoi turbamenti. Come Sheila, anch’io non ho mai desiderato avere figli. Tanto meno sposarmi. Ho avuto i miei legami, s’intende. Ma gli obblighi di una famiglia non facevano per me. Il mio grande amore è stato un altro, il teatro. Il teatro è esigente, ti chiede tutto. L’ho sposato e gli sono stata fedele. Non ho avuto casa né famiglia, ma la libertà sì. E io sono pazza di libertà”.

La giornalista che non ha fatto domande questa libertà l’ha vista e percepita sedendo di fronte a Emmanuelle, accanto a un’amica cinefila che l’ha amata come lei. Ghiottissima del passato di carote servito in ampie ciotole dalle quali, con leggerezza di uccellino disinvolto, l’attrice ha attinto più volte, grata e quasi sorpresa dei complimenti per la sua carriera, naturale nell’essere Emmanuelle e non la primadonna della tavolata. Emmanuelle interessata alle vite degli altri, senza smancerie, con una affettuosità selettiva, se qualcuno le sembra horrible, lo dice. Gli altri sono fondamentali per lei, si capisce. Nella serata dei César Emmanuelle disse che intende il mestiere di attore come un’espressione di solidarietà, che da piccola cantava in un coro e amava cantare in un coro. Aggiunse che forse era una sua debolezza volere la vicinanza degli altri. E’ una forza, invece. E nessuno può rubarle la scena.