Intervista ad Amedeo Fago, autore, drammaturgo, regista e attore dello spettacolo Risotto. La storia di un'amicizia nel tempo di cottura di un risotto... d'eccezione.

WSI: Da quanti anni lo spettacolo Risotto è in scena, con quante repliche, in quanti paesi?
AF: Risotto è stato rappresentato per la prima volta nel dicembre del 1978, quindi sono passati esattamente 34 anni. Ma non è stato certo riproposto continuativamente in tutti questi anni... Ogni tanto si manifesta un risveglio di interesse a cui ho sempre risposto con piacere. Diciamo che, nel corso degli anni, ci sono state circa 500 repliche in 8 paesi (Italia, Francia, Olanda, Spagna, Germania, Svizzera, Russia, Brasile). Il paese in cui è stato più rappresentato è la Francia.

WSI: Questo spettacolo è nato tra i banchi di scuola del Liceo Tasso di Roma nell'ottobre del 1955, e racconta la storia di un'amicizia che dura da cinquant'anni tra lei e Fabrizio Beggiato, è così?
AF: Tra i banchi di scuola non è nato lo spettacolo, ma è nata l’amicizia... Lo spettacolo è nato molti anni dopo.

WSI: Come mai scegliere il risotto e il suo tempo di cottura per narrare un'amicizia, non è forse il piatto più difficile da cucinare e quello di cui si sbaglia più spesso la cottura?
AF: Il perché del risotto è raccontato nel corso dello spettacolo. Non ci sono motivi tecnico-culinari che ne hanno determinato la scelta. E' che Fabrizio è molto bravo a fare il risotto!

WSI: Risotto parla anche della società italiana e delle sue trasformazioni, a volte non del tutto radicali. Come vedevano l'Italia Amedeo e Fabrizio dai loro banchi di scuola negli anni '50, e come la vedono ora?
AF: Il clima culturale che si viveva negli anni ’50 era da una parte molto bigotto e dall’altra legato ai valori del dopo guerra e della resistenza, anche se, nei programmi scolastici permanevano ancora tracce dell’epoca fascista. Un elemento che però caratterizzava quegli anni era la speranza nel futuro, cosa che ai giovani di oggi manca quasi completamente...

WSI: Risotto è stato rappresentanto la prima volta nel 1978 al teatro Politecnico di Roma e ha festeggiato il trentennale nel 2009 alla Triennale di Milano. Come mai, secondo lei, questo spettacolo è ancora così seguito e sempre attuale?
AF: Credo che lo spettacolo riesca a trasmettere, dietro la semplicità e forse la banalità dei temi trattati, contenuti molto più profondi, quali l'identificazione e il furto di identità; temi che trovano riscontro nella vita di ognuno.

WSI: L'ironia che è protagonista del vostro spettacolo è una grande arma contro la crisi a suo avviso? E la filosofia una giusta chiave per interpretarne i fenomeni?
AF: Certamente l'ironia è un prezioso strumento di sopravvivenza, specialmente nei momenti di crisi. Non so pero' quanto questo strumento possa essere valido a livello sociale. C'è tantissima gente assolutamente priva di ironia… Più che la filosofia penso che la giusta chiave per interpretare i fenomeni sia lo studio e la conoscenza delle dinamiche psichiche.

WSI: Come far durare un'amicizia tanti anni in un'epoca in cui i sentimenti vengono spesso messi in secondo piano?
AF: Non credo nei buoni sentimenti. L'amicizia, come ogni altro rapporto umano, resiste finché ci sono possibilità di trasformazione. In un certo senso quello che si propone in Risotto, specialmente attraverso il finale, è la possibilità di trasformazione: un rapporto ripetitivo non più vitale puo' essere trasformato e rigenerato attraverso un rifiuto.

WSI: In una sua dichiarazione, ho letto di una barba lasciata crescere, di una crisi profonda, della follia e della rassegnazione e non rassegnazione, come si collegano tutti questi elementi nella sua esistenza?
AF: La domanda si riferisce alla performance "autoritrattazione" che feci il 24 settembre 1978, a dieci anni di distanza dal '68. Anche in quella circostanza il tema della rappresentazione era la possibilità di cambiamento, simbolizzata dal taglio della barba; solo attraverso il rifiuto è possibile una rinascita.

WSI: Il concetto di nostalgia è molto presente nello spettacolo? Quale è la sua valenza? E' giusto avere nostalgia del passato, oppure come ci racconta Woody Allen in Midnight in Paris non esistono tempi passati migliori e non ha senso averne nostalgia, perché è solo una nostra percezione?
AF: Qualche anno dopo Risotto feci un altro spettacolo che si intitolava _Segreteria telefonica _e che si concludeva con un questo messaggio: "Cercatemi altrove…dove non c'è nostalgia." La nostalgia è un sentimento inutile e paralizzante. Indubbiamente la conoscenza del passato è uno strumento indispensabile per la costruzione del futuro, ma non bisogna cadere nella trappola del rimpianto o della nostalgia, appunto, di una ipotetica età dell'oro che non credo sia mai esistita.

WSI: Che fase vive il teatro e in particolare quello sperimentale?
AF: Non seguo molto la vita teatrale, ma ho l'impressione che lo "stile televisivo" abbia, in questo periodo, il maggiore indice di ascolto, come si dice per i programmi televisivi. Ci sono sicuramente esperimenti teatrali che vivono ancora in una situazione sotterranea…

WSI: Dove approderà ora Risotto e avete in mente altri progetti da portare in scena con il suo collega e amico Beggiato?
AF: In questo momento siamo a Narbonne. Penso di riproporre lo spettacolo a Roma, il prossimo anno. Fabrizio ha avuto il merito, con la sua proposta di pubblica cucinazione, di mettere in moto il processo creativo di Risotto e di averne accettato l'impostazione drammaturgica che contiene una buona dose di "crudeltà", mettendosi in gioco in prima persona; ma è stato un episodio che risale ormai a 34 anni fa. Successivamente, non ho mai pensato ad altri progetti con lui anche per i suoi impegni accademici come cattedratico di filologia romanza.

WSI: Lei e il suo compagno di banco Beggiato sicuramente eravate già dei giovani talentuosi, ma avreste mai immaginato di poter diventare attori? E' un qualcosa che si può imparare o si ha dentro fin dalla nascita? Cosa consigliare ai giovani attori di oggi? Forse di coltivare il talento e trovare un'idea geniale da raccontare al pubblico?
AF: La mia passione per il teatro risale all'infanzia, trasmessami sicuramente da mia madre; non ho mai pensato specificatamente a fare l'attore, anche se ho cominciato a recitare a 17 anni, al Teatro romano di Ostia antica, in una Ifigenia in Tauride messa in scena per le scuole romane, nel ruolo di Pilade. Sono poi diventato architetto e solo dopo la laurea ho cominciato a occuparmi professionalmente di spettacolo, con percorsi piuttosto complessi che vanno dalla scenografia, al cinema, alla drammaturgia. Ho coltivato l'idea di un teatro legato alla vita e questo è quello che posso consigliare a un giovane: partire dalla propria vita… Per quanto riguarda Fabrizio, non credo che abbia mai pensato a fare l'attore. E' capitato cosi', come è raccontato in Risotto

Auguriamo a tutti di gustare questo speciale _Risotto _di Amedeo Fago e Fabrizio Beggiato, restando in attesa di una nuova loro ricetta.