Sabato 9 luglio, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, nell’ambito della rassegna Luglio Suona Bene 2016, si terrà l’unica data italiana della nuova tournée di Jean Michel Jarre, pioniere della musica elettronica e star mondiale del sintetizzatore.

Il concerto rientra in quella serie di tappe in programma presso alcuni dei principali festival dell’estate (europei e non) che precede l’“Electronica Tour” vero e proprio, la cui partenza è prevista a ottobre. Per entrambe le tranche comunque il repertorio sarà chiaramente incentrato sull’ultimo monumentale progetto, intitolato appunto Electronica, pubblicato in due volumi fra 2015 (The Time Machine) e 2016 (The Heart of Noise), oltre che sui principali temi di una carriera che compie 40 anni.

Era infatti il 1976 quando venne pubblicato il disco che lo pose all’attenzione del mondo: Oxygène. Sebbene prima fosse stato preceduto da altre due pubblicazioni sempre in veste elettronica (Deserted Palace, una raccolta del 1972 di materiale composto per i media televisivi, e la colonna sonora del 1973 Les Granges Brûlées), questo album ha rappresentato senza dubbio l’inizio di un percorso preciso, di una filosofia di suono che contribuirà in modo sostanziale a cambiare la “pelle” della musica del XX secolo e a creare nuovi contenuti e orizzonti artistici (anche dal punto di vista dello spettacolo).

In classifica i sintetizzatori avevano già da qualche anno iniziato a plasmare le forme più in voga e a farsi strada nei gusti della gente, si pensi a lavori quali Phaedra dei Tangerine Dream (1974), o a Autobahn (1974) dei Kraftwerk e alle sperimentazioni in tal senso di David Bowie, presentate in Station To Station (1976) e culminate poi nell’epica trilogia berlinese (registrata e in buona parte composta insieme al padre dell’ambient Brian Eno); con la sua atmosfera densa attraversata da parti tematiche dal forte carattere melodico e uno stile assolutamente personale, Oxygène segnò però un ulteriore passo avanti, definendo nuovi canoni che avrebbero influenzato non soltanto il genere di riferimento ma molta altra musica, compresi il pop e il rock.

Negli anni in cui il punk, molto rumorosamente, voleva fare piazza pulita delle culture dominanti, Jarre con lucidità e conoscenza del mestiere ci indica il futuro. E non si tratta di una frase ad effetto: primo perché dà vita a un’estetica sonora che, pur essendo diventata “classica”, nel senso più nobile del termine, è ancora oggi fortemente legata a un immaginario di futuro dominato dalle macchine e di evoluzione tecnologica; secondo perché quest’album da 18 milioni di copie vendute in tutto il mondo è stato registrato in totale autonomia in uno studio allestito nella piccola cucina di casa, inventando molto prima che fosse possibile il concetto di home recording, adesso tanto di moda. E siccome gli audaci chiamano audaci, l’unico disposto a pubblicare un lavoro totalmente strumentale, realizzato con sintetizzatori analogici di prima o quasi generazione (come il VCS3), senza titoli (se non appunto quello del disco numerato in sei parti), con un unico musicista e autoprodotto, fu il marito di un’amica, il discografico Francis Dreyfus (peraltro non poco spaventato dall’impresa).

Deve rivedere del tutto le proprie idee anche chi crede che la musica elettronica sia “fredda” o “vuota”: questa è un’opera dotata di un calore vero, con un cuore pulsante e un messaggio ben definito (proveniente dall’interazione con la pittura) e teso a sensibilizzare su questioni ecologiste. L’ispirazione per la musica giunse difatti a Jarre dal quadro di Michael Granger il quale gli diede poi l’autorizzazione di utilizzarlo sulla copertina del disco. Il pensiero di Granger che sta dietro quel teschio affiorante dallo squarcio della crosta terrestre raffigurato sulla tela è stato espresso dal pittore stesso con le seguenti parole: “Non dobbiamo uccidere il pianeta, non sapremmo dove seppellirlo”. Jarre l’ha fatto suo e messo in musica, la musica di un futuro che si preoccupa giustamente della salvaguardia di ciò che di più vecchio l’uomo conosce: il mondo.

E di colpo Jean Michel Jarre è un personaggio internazionale, tanto da essere eletto nel 1976 “Personalità dell’Anno” dalla rivista americana People. Niente male insomma per un giovane completamente fuori dalla cultura mainstream dell’epoca e di un paese non anglofono come la Francia. Il punto è che Oxygène è “solo” l’inizio. Cerchiamo dunque in breve di raccontare chi è e cos’altro ancora ha fatto Jean Michel Jarre.

Figlio d’arte del grande compositore di colonne sonore Maurice Jarre, Jean Michel nasce a Lione nel 1948 e in seguito alla separazione dei genitori cresce con la madre e viene educato a una sensibilità musicale da lei e dal nonno paterno André. Fra jazz club, lezioni di piano e musicisti di strada osservati dal balcone del nonno, comincia a sviluppare una propria concezione della musica. Dopo aver suonato come chitarrista in una rock band, si iscrive al “Group de Recherches Musicales” di Pierre Schaeffer, l’inventore della musica concreta, e qui mette a fuoco e sviluppa l’idea di un genere che tramite le nuove strumentazioni elettroniche raccolga il bagaglio classico e lo fonda con il potere comunicativo della popular music.

La sua personale ricerca continua ancora oggi, dopo aver composto quasi 20 album che grazie a elementi innovativi hanno influenzato generazioni di artisti delle più svariate estrazioni. Ogni lavoro meriterebbe una menzione speciale, tuttavia non si possono non citare Equinoxe (1978) con il quale Jarre introduce i sequencer (ossia macchine che programmano le note da suonare e le ripetono automaticamente), Magnetic Fields(1981), fra i primi dischi della storia a utilizzare campioni di suoni naturali, Zoolook (1984) con cui tratteggia una sua particolare visione della world music attraverso un Fairlight CMI (la macchina responsabile della moda del campionamento digitale), usato qui per campionare parti vocali di musica etnica, Rendez-Vous (1986), disco best seller realizzato in concomitanza con due delle sue esibizioni da record (a Houston davanti a un milione e mezzo di persone e a Lione davanti a un milione), sempre caratterizzate da proiezioni, laser, fuochi d’artificio ed effetti fra i più sbalorditivi, ripresi poi in seguito anche da vari esponenti della scena pop e rock, Chronologie (1993) che mette insieme la techno con l’elettronica degli esordi, l’emozionante ritorno all’analogico del sequel di Oxygène, intitolato con la stessa logica essenziale del capostipite Oxygène 7-13 (1997), e Métamorphoses (2000), il primo disco di Jarre interamente cantato che fu presentato in concerto fra le piramidi di Giza la notte del capodanno del 2000.

A tutto ciò si aggiunga che Jean Michel Jarre è stato il primo musicista occidentale a suonare nella Repubblica Popolare Cinese (quei concerti si trovano su disco nello storico The Concerts in China del 1982) e che è suo il record per il più grande evento all’aperto mai realizzato, stabilito a Mosca nel 1997 in uno spettacolo seguito da 3 milioni e mezzo di persone (sopra il palco vi fu anche una dimostrazione acrobatica aerea dei MiG sovietici).

Oggi Jean Michel Jarre torna sulle scene con una delle sue opere più importanti e personali, un progetto che ha richiesto anni e anni di preparazione e che per l’enorme quantità del materiale assemblato è stato diviso in due volumi. Electronica 1: The Time Machine e Electronica 2: The Heart of Noise è una sorta di concept che riunisce artisti di generazioni e ambiti differenti che hanno influenzato o che comunque sono stati fonte di ispirazione per il musicista francese e che allo stesso tempo hanno contribuito in un modo o nell’altro all’evoluzione della musica elettronica. Jarre ha contattato tutti di persona senza l’intromissione di manager ed etichette discografiche e ha voluto che le varie collaborazioni avessero luogo fisicamente, mettendosi spesso e volentieri in viaggio, e non, come succede di frequente oggi, attraverso lo scambio di file senza nemmeno incontrarsi.

Fra gli oltre 30 artisti coinvolti figurano i Tangerine Dream, Pete Townshend degli Who, Moby, Laurie Anderson, gli Air, 3D dei Massive Attack, Lang Lang, John Carpenter, i Pet Shop Boys, i Primal Scream, Gary Numan, Hans Zimmer, Peaches, The Orb e Cyndi Lauper. Ognuno dei brani è stato composto da Jarre con bene impressi nella mente il genere, la personalità e lo stile del destinatario, lasciando anche il giusto spazio perché ciascuno potesse esprimersi liberamente, sentendosi veramente coinvolto e parte attiva del progetto. Dice il compositore fra le note di copertina del primo volume: “Tutta la mia vita e la mia carriera di musicista sono coperte dai diversi stili e sfaccettature della musica elettronica presenti in questo progetto”.

Due dischi dunque da avere assolutamente e un concerto/evento che sarebbe un gran peccato lasciarsi sfuggire.