Non è un segreto che Blackstar, il testamento di David Bowie, comprendeva un robusto quartetto jazz accreditato all’ottimo sassofonista Donny McCaslin, che proprio in questi giorni pubblica per Motema Music\A buzz supreme, il suo nuovo album, intitolato eloquentemente Beyond Now, che comprende anche due cover da (ri)scoprire tratte dal vasto repertorio della rockstar inglese. Di questo e altro ci ha parlato in esclusiva.

Anche il titolo riporta all’esperienza con Bowie, immagino sia stato uno snodo decisivo della tua carriera, un qualcosa a cui sarai sempre associato…

Non poteva essere diversamente, vista la poca distanza dal lavoro effettuato insieme. Questo disco ne è stato molto influenzato ed è dedicato al suo grande spirito assecondando la volontà di Mark Guiliana, Jason Linder e Tim Lefebvre, ovvero gli altri componenti del gruppo. La title-track trae origine da un brano che doveva fare parte di Blackstar, scartato nel mix finale. Abbiamo scelto di interpretare due brani parecchio diversi, tratti da momenti differenti della sua carriera: A small plot of land è un estratto di Outside, un album che ritengo persino sottostimato, nonostante la sua modernità e l’alto spessore delle sue collaborazioni come Brian Eno nell’episodio specifico. Warszawa, invece arriva da Low, un Lp storico che è sempre piaciuto a tutti noi e quando la suono mi sento in uno stato di catarsi. La eseguimmo dal vivo subito dopo la sua scomparsa, ci è sembrato giusto farne una versione anche per questo lavoro dove il resto degli originali comunque è stato composto prima della sua morte. Abbiamo reinterpretato entrambe con grande rispetto e immaginazione, cercando di evidenziarne il respiro orchestrale. Lavorare con David è stato fantastico, intanto per le sue straordinarie doti umane e artistiche, ma anche per l’umiltà e il senso dell’umorismo. In questo nostro disco c’è molto di lui e della sua impareggiabile anima: lo abbiamo designato come guida spirituale e quindi in grado di suggerirci un cambiamento costante, qualcosa che andasse fuori dai canoni comunemente intesi, ovvero da quell’ortodossia incapace di contenere le direzioni impresse a queste composizioni. Essere associato a lui rappresenterà sempre un onore: non la considero una negazione di quanto ho fatto prima o di quello che mi aspetterà in futuro.

Difatti dalla dimensione acustica a cui il tuo quartetto ci aveva abituato siete passati a inserire molti elementi propri all’elettronica…

È vero anche se lo abbiamo fatto alla nostra maniera. Probabilmente ti riferisci alla rilettura di Coelocanth 1, che arriva dal repertorio del dj canadese Deadmau5, guru della progressive house. Si tratta di un pezzo particolare, dal mood estremamente scuro. Un qualcosa che si differenzia parecchio dalle atmosfere di Beyond Now, che comprende anche un bel pezzo dei Mutemath, un altro gruppo di alternative rock che mischia parecchio. Ritornando all’elettronica mi piacciono molto anche Aphex Twin, Skillex e Baths.

Dicevi che Beyond Now è ispirata dalle session di Blackstar, cosa è rimasto secondo te di quelle session e che atmosfera si respirava in studio?

Penso che sia rimasto del materiale sufficiente per un altro album. Molti dei pezzi che abbiamo registrato hanno una doppia versione, sa tutto il produttore Tony Visconti e ci sono già dei rumours che parlando di un cofanetto che conterrà vari bonus. In studio la connessione fra di noi era veramente fantastica, circostanza che ha prodotto un evoluzione anche al rapporto che c’è fra i membri del quartetto. C’era molta libertà e fertile incoraggiamento che proveniva da lui: abbiamo parlato di letteratura e jazz, genere di cui era appassionato e conoscitore, mi ricordo un pomeriggio speso nel ricordo di Charlie Parker. Davvero una bella atmosfera, leggera e profonda. Tutte cose che ci hanno portato a un diverso e più profondo livello di espressività nel quale siamo ancora adesso coinvolti nonostante siano passati mesi da allora. Voglio solo aggiungere che fino alla fine, ovvero fino al giorno della sua uscita, non sapevo quanto del nostro contributo sarebbe effettivamente apparso nella sua versione definitiva. Finito il lavoro praticamente non lo abbiamo più incontrato, fatta eccezione qualche mail. Ascoltare il disco e sapere al contempo della scomparsa di David ha rappresentato un doppio shock.

Il produttore in studio per Beyond Now è stato ancora il sassofonista David Binney, com’è stato lavorare ancora con lui?

David è molto intuitivo e viscerale, quindi all’opposto del mio approccio che parte sempre dalla testa. Arriviamo alla musica da prospettive molto diverse, perché io sono cresciuto in una comunità eterogenea dove diversi stili coabitavano senza particolari distinzioni, mentre lui è proprio un jazzista ortodosso, però il tutto funziona alla grande e mi fido molto dei suoi feedback. Sono molto soddisfatto di questo lavoro e non vedo l’ora di eseguirlo dal vivo in Europa, anche se al momento non abbiamo date in Italia, circostanza sempre molto spiacevole visti i tanti amici che ho anche lì.