Un'installazione audio visuale

Nell'era contemporanea l'immagine, nell'arte e nel teatro, ha assunto un ruolo fondamentale e innovativo. La civiltà dell'immagine, grazie ai sistemi digitali e alla rete, si è sviluppata in maniera esponenziale, generando nuove estetiche.

Possiamo parlare di “democrazia dell'immagine” da quando la creazione delle immagini è alla portata di tutti, da quando è possibile condividerla in tempo reale, comunicarla ed espanderla nella rete. Questa possibilità genera una inedita simultaneità percettiva, una espansione permanente nel bene e nel male. Si può considerare, oggi più che mai, che la fotografia è dunque la Madre di un complesso processo metamorfico dei comportamenti umani, relazionali, comportamentali ed estetici del contemporaneo. Queste considerazioni costituiscono la base determinante dell'installazione dinamica TEATROIMMAGINE che ho voluto realizzare in quanto artista di teatro fortemente legato al rapporto tra reale e virtuale e da regista/scenografo, da sempre attento ai processi delle arti visive e alle contaminazioni disciplinari.

È per questo che la mia sperimentazione teatrale deve molto allo storico movimento teatrale definito Teatro-Immagine, nato e sviluppatosi in Italia tra la fine degli sessanta e la metà degli anni settanta, che già intuiva le potenzialità delle future tecnologie con le quali l'arte ed il teatro avrebbero dovuto confrontarsi. Il mio teatro di luce ormai attivo da quasi quarant'anni, ha assunto l'immagine, dapprima fotografica e successivamente video, non come semplice strumento ma come fondamentale elemento strutturale di un teatro nel quale potesse essere protagonista dello spazio scenico dinamico, in grado di relazionarsi ed amplificare l'azione e la narrazione del corpo dell'attore.

Questa mia opera, pensata per il MuVIM di Valencia, tenta di far sì che lo spazio espositivo non venga considerato come contenitore passivo che ospita opere concluse nella loro oggettività, ma diventi scenario attivo, opera totale, immersiva, nella quale gli attori siano gli stessi visitatori. L'installazione si espande nell'intero spazio che diviene dunque palcoscenico delle visioni, cosi da poter raccontare, attraverso l'immagine nell'immagine, i frammenti o i detriti del mio lungo viaggio teatrale che, sottratto alla materialità del palcoscenico, si fa luce, colore, memoria.

Le immagini procedono, camminano, per compiere un nuovo viaggio e imprimersi in un diverso spazio-tempo. Così come la parola nel suo succedersi partorisce la favola nella pagina del libro, il verso della poesia nel suo comporsi, genera il luogo speciale della parola, e i fotogrammi del film nel loro susseguirsi si fanno narrazione, così le immagini del mio teatro mutano in un nuovo racconto. I corpi, la luce, l'architettura, gli sguardi, le espressioni, le azioni, adesso monumentalizzate-storicizzate,nel trasformarsi in immagini, abbandonano la loro realtà del qui e ora dell'origine, e si congelano per abitare una nuova dimensione che solo gli sguardi disponibili dei visitatori potranno rigenerare portandoli nella loro complice percezione.

Testo di Giancarlo Cauteruccio

Il luogo della visione

Il "teatro", secondo il significato etimologico della parola, è il "luogo della visione": theaomai in greco vuol dire "guardare", mentre "tron" è un suffisso locativo. Si tratta, in particolare, di quella visione che coniuga l’immagine con il suo porsi in divenire: l’immagine nel tempo e nello spazio, condivisi in una dimensione congiunta dalla manifestazione della creazione artistica e dalla percezione dell’osservatore. La carriera di Giancarlo Cauteruccio si snoda lungo una ricerca che ha sperimentato questo binomio in tutte le possibili declinazioni: “quando si affaccia sulla scena all’inizio degli anni Ottanta rappresenta già una anomalia, un fenomeno che con difficoltà può essere ricondotto all’ambito del teatro quanto a quello delle arti visive”.

Spingendosi fino ai margini più taglienti dell’interdisciplinarietà e del multilinguismo, nel suo lavoro l’artista e regista italiano ha esplorato il teatro con un impiego sapiente e sempre mirato delle tecnologie, sia quelle della macchina scenica classica sia quelle più innovative, audio, video, laser. Lo sfruttamento delle tecnologie, condotto con coraggio e rigore, è diventato una cifra stilistica di immediato riconoscimento, emblema di un teatro capace di oltrepassare le frontiere della tradizione ma attento a inserirsi, in termini estetici e concettuali, nella continuità della storia del teatro stesso, che per vocazione punta a porsi avanti rispetto al proprio tempo: lo comprende, poiché ne fa parte, ma ne ricombina gli elementi in una immagine che esula dal presente prefigura il futuro.

L’immagine dunque sta al teatro come la ricerca di Cauteruccio sta alla continua sperimentazione di linguaggi e formati. E il rapporto con lo spazio costruito, quello architettonico e quello urbano, assume un ruolo nodale in questa ricerca. L’estetica maturata nel suo Teatro Architettura, praticato come pensiero e linguaggio autonomi dalla fine degli anni Settanta, totalizza il rapporto tra materiale e immateriale, tra la luce e la massa fisica, tra la sperimentazione e la storia, tra l’immagine e il teatro. Riportando quanto scrive Dario Evola “Cauteruccio amalgama l’architettura, come scrittura dello spazio, e la poetica del Barocco” e le utilizza entrambe, all’interno della loro dimensione spettacolare in una funzione conoscitiva, elaborando in tal modo “una possibile chiave per aprire la porta di uscita dal Novecento”.

Questa sua capacità di rinnovare costantemente il proprio sguardo, questo suo essere un artista affermato e sempre sperimentale, dipende tra i molti fattori dall’attitudine di Cauteruccio a individuare la potenzialità teatrale, o più precisamente scenica, che si nasconde dietro ogni luogo. Nell’installazione realizzata al MuVIM di Valencia viene attivata una vera e propria spettacolazione dello spazio. La sua identità solida, inerte, viene sollecitata in un modo che si potrebbe definire organico, penetrando lo spazio con la visione e trasformandolo in un dispositivo attivo e completamente immersivo, che a sua volta innesca un rapporto dinamico, multisensoriale, con chi vi interagisce. Il luogo così metamorfizzato viene abitato dalla proiezioni dei corpi e delle costruzioni sceniche, moltiplicandosi ulteriormente.

A partire da qui Giancarlo Cauteruccio rivela l’immagine attraverso un’ulteriore trasformazione della sua superficie. Quest’ultima non è più, o non soltanto, il luogo principale della visione, ma uno strumento attivo e cangiante che interviene sull’architettura e sulla natura, aumentando in modo esponenziale le possibilità della visione.

Testo di Pietro Gaglianò