Luisiana Lorusso possiede già un nome molto musicale. Origini pugliesi, musicista che ha scelto il violino e la voce per far risplendere la sua arte, a quattro anni da Upwards, il suo debutto da solista, è da poco uscita con un omaggio condiviso assieme al grande talento pianistico di Claudio Filippini nei confronti di Billie Holiday, ovvero l’incrocio obbligato e spesso impervio nei confronti di tutti coloro che si cimentano nel canto jazz.

Operazione riuscita nonostante l’atipicità di un organico volutamente ristretto e la difficoltà di un repertorio per molti intoccabile che invece suona convincente: “Si chiama My Billie’s Blue - ribadisce - ed è un progetto nato quasi per caso, da una commissione per questo duo di un concerto omaggio proprio a Billie Holiday. Dopo una mia iniziale comprensibile titubanza, discussioni e ripensamenti, abbiamo deciso insieme, Claudio Filippini e io, con coraggio e forse un po’ di spregiudicatezza da parte mia, di intraprendere questo viaggio. Abbiamo cominciato così a fare una cernita tra i brani più significativi della sua vita e della sua carriera e quelli più vicini al nostro gusto personale e che ci sembrano più “maneggiabili”, plasmabili e rimodellabili su di me, come ipotetici vestiti da riadattare a un corpo simile, ma diverso al contempo. Ci è stato chiaro da subito quindi che la cifra stilistica da scegliere per questo lavoro era la personalizzazione come unica via percorribile.

Come avete pensato insieme di sviluppare il lavoro scegliendo anche il repertorio, su cosa vi siete basati?

Dopo una prima scrematura, Claudio e io abbiamo scelto quali brani affrontare, considerando anche le nostre sensibilità, le potenzialità timbriche di un ensemble insolito (per la presenza del violino assieme alla voce) e la nostra eterogeneità musicale. Riteniamo d’altronde che proprio questi siano i punti di forza di questo duo. Abbiamo poi inserito un pezzo di Shorter dedicato a Lady Day, scoperto davvero per caso e Still We Dream di Monk (più noto come Ugly Beauty) che rappresenta per noi il vero messaggio di positività e speranza che Billie Holiday ci lascia, in barba alla sua storia personale tutt’altro che serena. Approfondendo infatti la conoscenza della donna e dell’artista Billie Holiday abbiamo scoperto un sorprendente approccio alla vita, che ci ha ammaliati e spiazzati: l’approccio disilluso tipico degli animi fanciulli, così impavidi, privi di sovrastrutture e preconcetti. Da qui lo slancio a legare questo progetto a una finalità che potesse onorare questa infinita bellezza dell’essenza della Holiday.

Un lavoro che possiede anche delle meritevoli finalità benefiche.

Abbiamo deciso di supportare Terre des Hommes in un progetto a sostegno delle famiglie e in particolare dei bambini profughi siriani nei campi di Erbil Basirma e Mosul in Iraq: raccogliamo donazioni volontarie durante tutti i concerti del duo e devolviamo parte del ricavato della vendita dei cd.

Quando e come ti sei scoperta musicista?

La parola “musicista” ha un grande significato per me, molto più che “cantante” o “strumentista” e il fatto che mi venga posta questa domanda, dando per scontato che io sia una musicista, mi lusinga non poco. Ad ogni modo non è facile rispondere: forse ci si scopre musicisti quando si trascende il tecnicismo del proprio strumento a favore del linguaggio e della comunicazione.

È stato duro il passaggio dalla musica colta fino al jazz, oppure una evoluzione del tutto naturale?

In realtà il jazz è sempre stato presente nella mia vita: mio padre è egli stesso jazzista, conoscitore e appassionato polistrumentista e musicista che ha fatto a suo tempo la professione. Da piccola ho “subìto” tutti i suoi ascolti. Sono cresciuta con i dischi di Parker, Coltrane, Dolphy, Montgomery, Pass (per citare alcuni tra i musicisti che mio padre ama di più) che suonavano dalla mattina alla sera sul piatto del nostro giradischi. Spesso si jammava in casa e anche io a volte partecipavo a queste serate, per quel che potevo e riuscivo, cantando quei brani che conoscevo non perché li avessi studiati, ma perché li conoscevo e basta. Il violino è arrivato dopo e con lui lo studio e il grande amore per la musica colta che ho praticato in modo esclusivo per molti anni, vivendo (lo confesso) con molto disagio questa netta dicotomia tra la cantante jazz e la violinista cosiddetta “classica” che convivevano in me. La svolta è arrivata quando ho deciso di abbracciare questi due linguaggi insieme e con grande coraggio mi sono iscritta ai seminari senesi estivi in qualità di violinista. Un’esperienza illuminante e frustrante al contempo: non avevo mai praticato col violino quel linguaggio che invece con la voce vivevo in modo del tutto naturale. Poi l’incontro decisivo con Stefano Battaglia, con cui ho frequentato per due anni di seguito il laboratorio annuale di ricerca musicale sempre a Siena. Stefano mi ha aperto un mondo, spingendomi a trovare il punto di incontro, a guardare i pieni piuttosto che i vuoti, a fare leva su tutto il mio bagaglio di conoscenza accademica e non, per intraprendere una strada che fosse mia e basta, che mi permettesse semplicemente di esprimermi per ciò che sono. Oggi sono su questa via, ricerco e sperimento e la cosa si fa ancora più avvincente quando tutto ciò avviene su composizioni originali.

A parte la Holiday, quali sono stati i miti a cui ti sei ispirata? E invece oggi chi ammiri fra i talenti in rampa di lancio?

I miei miti e le mie fonti di ispirazione nell’immenso mondo musicale sono innumerevoli e ci vorrebbero pagine e pagine per elencare nomi e spiegarne i perché. Citerò solo, tra le cantanti jazz che ho amato e che amo alla follia la Fitzgerald, che da ragazzina copiavo nei suoi funamboleschi scat e la McRae, oltre alla stessa Holiday. Ma come posso non citare l’immensa Callas, altrettanto straordinaria nella sua capacità comunicativa. E per il violino poi cito uno per tutti, quello che tuttora secondo me rappresenta la fusione perfetta tra suono “accademico” e linguaggio improvvisativo: Mark Feldman. Ma so che farei un torto a grandi violinisti di musica classica del passato, una per tutte la Neveu o l’immenso Oistrack. Se poi allarghiamo il campo alla musica in generale, nel suo aspetto compositivo, dico solo che amo profondamente la produzione musicale della prima metà del novecento, soprattutto russa. Sull’oggi mi trovi abbastanza impreparata: approfitto di tutti i momenti liberi per ascoltare musica, ma sono lontani i tempi in cui dedicavo interi pomeriggi ad ascoltare questo o quel disco o questo o quel musicista. Rimango molto curiosa, ma faccio fatica a emozionarmi o ad appassionarmi a qualcuno in particolare, pur apprezzando tanti bravissimi musicisti che pullulano nel panorama italiano e internazionale. Diciamo che amo molto il jazz europeo, la musica di matrice improvvisativa, molti dei musicisti della scuderia ECM, gli sperimentatori.

Se avessi a disposizione una macchina del tempo in che anno vorresti tornare? Per salire sul palco con chi?

Beh, sarebbe fantastico condividere il palco con Miles, fare musica con Mingus o con Monk, essere diretta da Stravinsky o da Prokofiev, poter ascoltare David Oistrak o Vadim Repim dal vivo.

A cosa pensi quando suoni, e in quali concetti potresti riassumere il tuo modo di suonare? Da cosa trai l'ispirazione per le tue idee musicali?

Quando suono cerco di non pensare, cerco solo di tuffarmi nel suono e quando ci riesco completamente è come se fossi in trance, come se il tempo si dilatasse fino a sparire: un attimo potrebbe durare ore e viceversa. Uno dei miei maestri di violino mi diceva sempre: pensa alla musica o la musica si ribella. Ci ho messo un po’ a capire che voleva dirmi semplicemente di suonare e basta, di essere lì nel momento in cui stava succedendo, di godermi l’attimo. Quello a cui penso, ma succede in particolare prima di cantare, e quindi se c’è un testo da onorare, è a ricreare, attraverso l’evocazione nel mio vissuto, quello stato d’animo o quella sensazione che ho scelto come chiave di lettura del brano, in modo che questo diventi in quel momento precisamente mio, che risulti autentico. Per quel che riguarda l’ispirazione non so; qualsiasi cosa può ispirarmi a fare o anche a non fare. In realtà credo che per quel che riguarda me tutto nasca da procedimenti di sedimentazione di emozioni (nel bene e nel male) che sgorgano poi così, rielaborate e metabolizzate, spesso all’improvviso e in modo inaspettato, in qualche posto, senza un apparente particolare pretesto.

Cosa c’è nel tuo futuro?

Ho fondato una mia etichetta che si chiama WizeUp, nata con l’intento di produrre e promuovere la mia musica, o comunque progetti musicali di ricerca e a carattere improvvisativo. A parte questo disco, ho già terminato da un po’ le preproduzioni di altri due progetti che vedranno presto la luce e che saranno le mie prossime uscite. Uno è un progetto in solo con brani miei e l’altro un atipico trio con Claudio Filippini e Michelangelo Del Conte di musica totalmente improvvisata e poi rielaborata anche con l’ausilio dell’elettronica. Spero poi di riuscire presto a ristampare il mio primo lavoro da leader Upwards di cui ho riacquisito tutti i diritti. Insomma, i progetti non mancano e spesso la mia testa è troppo veloce rispetto al tempo che occorre per la realizzazione fattiva delle idee che essa genera. Nella realtà ci si scontra con le numerose e paludose difficoltà di carattere pratico che la realizzazione fattiva delle stesse idee comporta, a partire dall’aspetto economico, per finire con quello organizzativo e gestionale, per le innumerevoli variabili in cui ci si imbatte. Poi c’è la vita di tutti i giorni, con le incombenze che tutte le persone, le donne madri e mogli conoscono bene, a fronte di una giornata che dura sempre e comunque, ahimè, solo 24 ore!