Due chitarre elettriche rileggono il leggendario 'International Popular Group': un'operazione dissacrante e audace che parte dalla musica di Demetrio Stratos e compagni per avventurarsi tra improvvisazione e libertà creativa.

A bruciapelo: perché la musica degli Area era – ed è – “galattica”?

Merlin: “Galattica” è un aggettivo che ci è stato appellato dal nostro produttore, Saul Beretta, dopo aver sentito come manipolavamo quel materiale musicale. Ci sta per diversi motivi, lo spazio, la Kosmische Musik, la componente scientifica, perfino la fantascienza, hanno sempre avuto un addentellato stretto con la psichedelia. E certamente con Valerio, spesso ci spingiamo in territori che a quell’estetica, onirica e spaziale, si rifanno.
Scrignoli: La galassia è un insieme composto da stelle, gas e polveri. Qualcosa che sta lassù, che ci affascina e che ancora ha tanti segreti da scoprire. Gli Area sono stati una galassia nel panorama musicale italiano, un mix unico e irripetibile di materia musicale. Nella quale io e Enrico – come due scienziati pazzi – ci siamo tuffati per tentare di scoprirne i segreti.

Tra Led Zeppelin e Miles Davis, non siete nuovi nell’arte della rivisitazione. Quale “chiave di lettura” avete adottato nell’affrontare il repertorio Area?

Merlin: Inizialmente, quando Viviana Bucci di Musicamorfosi ci aveva proposto di affrontare il repertorio degli Area, ho pensato che fosse una follia. Musica in cui gli elementi improvvisativi erano generati o strettamente collegati a composizioni molto strutturate, complesse, ricchi di polimetrie e multiritmie. Ci abbiamo lavorato un po’ su, e come per gli altri repertori “sacri” siamo riusciti (credo) a trovare una via alternativa all’interpretazione dei materiali, sui vari parametri musicali. Scrignoli: È un caso diverso da altri progetti in cui sono stato coinvolto, mi riferisco ad esempio a quelli di Giovanni Falzone con cui ho l’onore di collaborare da anni. La sua è scrittura, sapiente composizione. Giovanni ha riletto magistralmente i Led Zeppelin, Miles ma anche Verdi e Rossini in chiave jazz rock. Noi Maledetti abbiamo preso dei frammenti tematici della musica degli Area e lì dentro ci siamo buttati. Lasciandoci andare a quello che ci passava per la testa; molto è improvvisazione e anche il disco è un “live in studio” registrato in sei ore, quasi tutto d’un fiato.

Maledetti contiene brani diversi per annata, provenienti da album diversi, differenti anche per scrittura, contenuti ed esecuzione, tanto per fare un esempio pensiamo a Luglio, agosto, settembre (nero) e Vodka Cola. Se volessimo trovare un filo conduttore che lega i brani, quale sarebbe?

Merlin: Ecco, la scelta del repertorio è stata determinata proprio dal tipo di approccio interpretativo. In parte i brani che ci piacevano sin da ragazzi, ma anche quelli che permettevano di essere meglio manipolati secondo la nostra estetica.
Scrignoli: Non c’è un filo conduttore. Abbiamo lasciato che la selezione fosse “naturale” per tornare ai termini della scienza… Anche qui la scelta è venuta da sola, forse sono i brani che hanno scelto noi!

Siete entrambi degli improvvisatori e la musica degli Area ha attinto molto dalla “composizione estemporanea”, sempre in chiave originale (pensiamo a Caos Parte Seconda). È stato così anche per voi in Maledetti?

Merlin: Per noi è stato molto importante provare a raccontare come queste composizioni siano senza tempo, e attraverso il nostro intreccio chitarristico, l’improvvisazione non è solo espediente narrativo, ma anche sostanza intrinseca del fare.
Scrignoli: Si certamente. L’improvvisazione è “composizione estemporanea”.

Tre pezzi del disco provengono dall’ultimo album degli Area con Demetrio Stratos, ovvero 1978 Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano. Disco nel quale la chitarra di Tofani era assente…
Merlin: Questo, a maggior ragione, dovrebbe già raccontare come i riferimenti all’originale siano per noi davvero poco importanti. Ovvero, lo sono come forma di rispetto, ma tutto avremmo voluto tranne che fare la “cover band” degli Area. Lo stesso tipo di operazione, come precedentemente sottolineato, lo abbiamo infatti utilizzato rispettivamente anche con Miles Davis e i Led Zeppelin, ma si potrebbe fare anche con Derek Bailey, i Beatles o Stravinskij.
Scrignoli: Quello a mio parere è uno degli album più jazz, nonostante non ci fosse la chitarra di Tofani. E in fondo, anche se sia io che Enrico non amiamo troppo le etichettature stilistiche, il jazz è il mondo da dove entrambi proveniamo.

Entrambi avete praticato e praticate jazz – in forme anomale e molto personali: che tipo di elementi jazz avete trovato nella musica degli Area?

Merlin: Elasticità ritmica, improvvisazione di carattere armonico, melodico e timbrico… Provare una forma di “what if”, partendo da lì è per me sempre una sfida interessante.
Scrignoli: La musica degli Area è stata una musica di incontro, fra i primi esempi in Italia (e non solo) fra jazz, etnica, elettronica... Per quanto mi riguarda questa dovrebbe essere la vera anima del jazz. Senza barriere, sempre aperta al nuovo. Purtroppo spesso non è così e spesso il jazz tende a rinchiudersi nel suo “genere” con un ottuso orgoglio che non condivido assolutamente.

A proposito di assenze: Area senza la voce/strumento di Demetrio è per molti inconcepibile. Per voi?

Merlin: Chiunque riproponesse il repertorio degli Area con un cantante si metterebbe in una posizione davvero scomoda. L’opzione “coverismo” sarebbe dietro l’angolo ad ogni battuta. Ma sarebbe come Demetrio avesse voluto registrare un “tributo” a Leon Thomas… Solo se lo espliciti nella forma di “tributo a…”, puoi provare a non uscirne con le ossa rotte, da un punto di vista artistico.
Scrignoli: L’approccio che abbiamo avuto in questo progetto ha la presunzione di essere “rivoluzionario”. Per rendere un omaggio non solo musicale ma soprattutto culturale a questo grande gruppo italiano. Intervenendo con una nostra personale rilettura che ne rispettasse l’anima oltre che le note. Demetrio manca, e anche tanto. Ma qualche volta torna giù e si infila fra le corde delle nostre chitarre, ne siamo certi!

Un vostro parere sul chitarrismo del collega: ovvero Enrico cosa pensa di Valerio e Valerio cosa pensa di Enrico…

Merlin: Per me Valerio è uno più forti chitarristi in Italia. Lui SA! Sia che si muova nel contesto del linguaggio mainstream, sia che si spinga nei territori dell’informale rimane sempre coerente ed efficace... E in più suona con il cuore in mano, qualità, che mi spiace dirlo, non è di molti (pur tecnicamente fortissimi) musicisti in questo scorcio di XXI secolo.
Scrignoli: Enrico è un musicista straordinario che trae la sua unicità e originalità dalla sua esperienza d’ascolto e dalla sua conoscenza. Questo gli dà una libertà unica e gli permette di confrontarsi, con energia e sicurezza, con ogni tipo di musica. È un vero creativo, con lui niente è banale. Sono veramente fiero di questo progetto con lui; per me è stato motivo di crescita e sono sicuro che lo sarà ancora.

Nel riascolto degli originali, cosa vi ha colpito di più della musica degli Area? Ancora oggi si discute se sia progressive, world music, jazz-rock o altro…

Merlin: Chi continua – ancora oggi – a voler incorniciare gli stili musicali, ha perso il treno della contemporaneità, e la memoria del quindicesimo secolo, ah ah ah…
Scrignoli: Riascoltare oggi la loro musica è come ascoltare una cosa NUOVA. Nel panorama odierno direi NUOVISSIMA. Mi colpisce sempre la loro freschezza al di là della collocazione di genere. Sono affari di cui non mi occupo.