È raro oggi imbattersi in un talento e una personalità artistica come quelli di Selah Sue (vero nome Sanne Putseys), cantante e musicista belga classe 1989 notata grazie ai social musicali di “prima generazione”, quando Myspace dettava ancora legge in materia di nuove voci.

La “Cenerentola” di questa favola però non rincorreva una carriera, non aveva alle spalle una famiglia di musicisti che le spiegasse come muoversi e non sapeva di preciso nemmeno lei cosa andava cercando quando negli spazi liberi dalla scuola si faceva aiutare a registrare, negli studi casalinghi improvvisati dei suoi amici, le sue canzoni. Quello che sapeva, soffrendo di depressione (situazione che ha rivelato più avanti negli anni), era che la musica era la migliore terapia possibile, la “scatola” nella quale ordinare i propri pensieri e le proprie paure e vedere il tutto sotto un’altra luce.

Da bambina il suo sogno era di diventare una ballerina professionista, e probabilmente anche la danza, disciplina a cui si è dedicata a lungo, in un qualche momento l’ha aiutata a calmare la mente. La musica è arrivata così, come un lampo incontrollato, con una chitarra imparata a suonare da sé ad oltranza sopra gli accordi delle canzoni di Lauryn Hill, vero idolo, insieme a Erikah Badu e Bob Marley, della giovane Sanne. Una miscela “black” con sincopi reggae, piglio rock ed eleganza fiamminga, la quale spruzza pure il perfetto inglese (imparato in gran parte dai Simpson alla tv) di una certa magia. Ecco chi è Selah Sue (il nome d’arte stesso le è stato ispirato da Lauryn Hill): un misto estemporaneo e non progettato di passioni, istantanee di vita, affetti, sofferenza e “invenzioni” per venirne fuori. Dopo le superiori si iscriverà pure a Psicologia, sostenendo anche molti esami, per realizzare poi che la musica è l’unica cosa che vuole e che le serve: la musica, perché la carriera è invece un discorso a parte che da subito mette dopo la vita privata e la famiglia, altro segnale importante della sua personalità.

Tornando agli inizi, la svolta, o meglio la rivelazione (a se stessa in primis) arriva grazie al brano Raggamuffin, quando parte il tam-tam del popolo della rete e si accorge di lei l’etichetta indipendente Because Music: questo “grido di battaglia” (“The raggamuffin is one of the friends, and what you see is what you really need in the end”) un po’ “ragga”, un po’ R&B, con un qualcosa di rétro e allo stesso tempo di terribilmente innovativo, scandito con la destrezza di un rapper nei versi più veloci, melodico e all’occorrenza graffiato, incastrato a meraviglia nelle ritmiche per nulla banali della chitarra, non lascia scampo a chi vi si imbatte, mettendo d’accordo i gusti e le età più distanti.

Viso pulito, capelli indomabili, occhi giovani ma di chi lotta e ha lottato già tanto con le proprie ombre e che quindi sanno rivolgersi a chiunque con grande credibilità, versi profondi ma diretti che trasudano intelligenza e forza: il personaggio c’è perché è vero, le canzoni sono meravigliose, trascendono in un certo senso i generi di riferimento in una sorta di “melting pot” inedito e suonano come un diario personale rivelato; la casa discografica non deve far altro che lasciare che sia lei a condurre il “gioco”. In attesa del disco vero e proprio, nel 2010 Raggamuffin viene prodotta e pubblicata in digitale in vari formati (singolo ed EP) e l’attenzione che le guadagna la porterà ad aprire il concerto di Prince ad Anversa su richiesta dell’artista stesso.

Al primo album intervengono produttori e musicisti noti della scena hip-hop, Farhot e Patrice fanno la parte del leone ma anche altri contributi si rivelano fondamentali nel sottolineare certe coloriture della scrittura e dell’ecletticità interpretativa di Selah Sue, come per esempio quello della cantautrice e bassista jazz (qui presente “soltanto” nei panni di produttrice) Meshell Ndegeocello al brano Mommy. Non manca nemmeno il duetto con la star, tanto che Please vede appunto la partecipazione di Cee Lo Green: se sulle prime il famoso rapper statunitense accetta quasi dovesse fare un regalo, una volta inciso il pezzo dovrà togliersi il cappello e chiedere alla musicista il permesso per poterlo inserire anche nel proprio disco. Le atmosfere del debutto omonimo (Selah Sue, 2011) sono davvero tante e alternano pieni strumentali e ritmi serrati a momenti intimi e delicati.

Oltre alle precedenti, impossibile non citare This World, che sarebbe stata perfetta come “main theme” di un film di James Bond, e Crazy Vibes, che tiene alta la bandiera del “black sound” contemporaneo, ma l’intera tracklist ha una solidità, una classe e un magnetismo che si va a colpo sicuro anche in modalità “random”. Non a caso l’album venderà 720.000 copie in Europa (facendole vincere il premio EBBA, che sta per “European Border Breakers Award”) e negli USA (dove verrà pubblicato l’anno successivo, nel 2012) la prima settimana supererà i 400.000 download (e la rivista Rolling Stone la eleggerà fra i volti più promettenti del 2012).

Arriva quindi Reason (2015), opera ispiratissima che fornisce un’ulteriore prova dello spessore e dell’arte di Selah Sue, esplorando terreni a metà fra soul ed elettro-pop e arruolando uno stuolo di produttori fra Scandinavia, Gran Bretagna e USA (Ludwig Göransson, Robin Hannibal, Hudson Mohawke, Salva, Matt Schwartz, Itai Shapira, Jerren Spruill, Troy Taylor e Utters) per siglare il suono perfetto per ciascuno dei brani. Il canto e la scrittura provengono dalla stessa sorgente a cui l’artista non ha mai smesso di attingere e toccano vertici assoluti, e la produzione la pone veramente in un confronto alla pari coi grandi nomi mondiali della scena musicale al femminile.

Fear Nothing è poesia pura, forza e struggimento, la ballad che oggi in pochissimi riescono ad estrarre dal cilindro, I Want Go For More il link al reggae e alle atmosfere dell’esordio con un’interpretazione da brividi, Alone il confronto con il mercato americano senza rinunciare alla propria identità, Reason il migliore esempio di new soul, Together pop sopraffino con virtuosismi vocali che incrociano più linguaggi. Questi i singoli (5!). Inutile dire che l’album non arretra di un millimetro neanche nelle tracce meno in vista.

Si dia comunque uno sguardo ai video dei pezzi succitati per rendersi conto del tipo di produzione e del fatto che la forma non rinuncia mai al contenuto. Il disco ha venduto benissimo in tutta Europa ma si è fatto notare in tutti i mercati. In più fra i 3 premi a cui era candidata nell’ambito dei Music Industry Awards, la cantautrice ha vinto quello di Best solo female artist (per la quinta volta). L’anno successivo Selah Sue ha cofirmato il brano che la cantante belga Laura Tesoro ha portato all’Eurovision Song Contest 2016 (arrivando 10°) e ha cantato in Bang Bang, una collaborazione fra DJ Fresh e Diplo in cui erano coinvolti anche Craig David e il duo americano R. City.

In questo momento Selah Sue è in attesa del suo primo figlio. Per quanto i numeri e i riconoscimenti ci siano già – e, come si è visto, pure in abbondanza – il suo è un talento che per originalità e qualità rimanda direttamente a personalità artistiche di grande rilievo, quali Adele o Amy Winehouse, giusto per citarne un paio, e che quindi meriterebbe ancora di più. Ma è solo questione di tempo.