Terminata l’altalena d’alta quota dettata dalla Pamir Highway nel Tagikistan, ora mi trovo nella stupenda città medievale di Kashgar, nell’estrema provincia occidentale cinese dello Xinjang. Preso atto della reale pericolosità a percorrere oggi la Karakorum Highway sino ad Islamabad in Pakistan, mia destinazione prefissata, decido di cambiare completamente scenario, sostituire cioè i monti dell’Himalaya con la costa del Pacifico. Mi reco così alla biglietteria dei treni, situata sul lato est di Renmin Square, la piazza del Popolo dominata dalla statua gigante di Mao, e acquisto il biglietto per Urumqi (25 ore, 40 euro); da lì in altri 3 giorni (75 ore, 84 euro) mi trovo a Shanghai, sulla promenade del cosiddetto Bund, il lungofiume simbolo storico e turistico della città, che fiancheggia la riva destra dello Huangpu, collocato nel soffice delta del fiume Yangtze.

Resto sbalordito dalla selva di grattacieli avveniristici, edificati in profondità con pali di cemento per impedire di sprofondare, essendo il sottosuolo di carattere alluvionale. Edifici enormi, in linea con i più importanti centri finanziari d’occidente, frutto di una dinamica e florida economia che si avverte per strada, man mano mi inoltro e confronto il centro storico di Puxi ad altri quartieri. Il benessere generale si respira ovunque. Dagli anni ’90 Shangai, abbreviata in “Shen”, è stata teatro di un rapido sviluppo e oggi è tornata a essere il centro economico della Cina continentale, peculiarità commerciale che riporta alla mente la Shanghai degli anni ’30, quando questa città era il centro più grande e fiorente dell’Estremo Oriente. Nel 2010 il suo porto ha superato Singapore come volume di traffico e ora è secondo soltanto a Rotterdam.

Mi sposto con metrò affollatissimi, fra una marea di gente che si muove ordinata nella metropoli più popolosa del pianeta, con oltre 20 milioni di abitanti. Non è più la Cina cupa delle visite passate, avvenute negli anni ’80, quando “tutto” era proibito. Nell’ultimo ventennio si è aperta al mondo più di quanto non abbia fatto nei suoi millenni di storia, adesso vedo strade piene di giovani scattanti, curati nel look, disinvolti, con le coppiette che addirittura si baciano per strada: pare d’essere in una qualsiasi metropoli occidentale. Il motto attuale affisso ovunque parla chiaro: “China, Progress in Motion” e Shanghai è da sempre la sua finestra sul mondo, con una ricca economia basata su seta e cotone. Già dalla seconda metà dell’800 era una capitale cosmopolita brulicante di vita, illuminata a luce elettrica e aveva telegrafo, telefono, gas, acqua potabile, corse di cavalli, regate, fiere, teatri, quotidiani inglesi, americani e francesi, assieme a una distesa di fumerie d’oppio e a infiniti traffici illeciti. La Cina di oggi non è solo diversa o lontana, questo continente dagli occhi a mandorla è proprio un’altra cosa. Una identità collettiva parallela difficile da decifrare se non si tiene conto anche dell’ideologia marxista miscelata con i dettami di Confucio, di Tao, con il pensiero geomantico Feng-shui e tante altre antiche dottrine basate sul senso di rettitudine e sull’importanza dell’armonia nelle relazioni sociali, codificate secondo precise norme etiche e rituali, molto radicate.

Anche al lindo e confortevole City Central Youth Hostel (12 euro al dì), gestito dal simpatico nano di nome David, pare d’essere in un albergo di New York, per il genere di musica e il perpetuo viavai di viaggiatori yankee che scambiano informazioni, usano i computer o giocano a biliardo. Girando per Shanghai, lo scorcio d’obbligo da non perdere comincia da People’s Square e prosegue lungo Nanjing Road, la lunga via pedonale dello shopping che conduce al belvedere del Bund, da dove si gode la magnifica veduta d’assieme di Pudong, il moderno e scenografico distretto raccolto sulla riva opposta del fiume. Qui le ragazze mi fermano per il solo piacere di farsi fotografare assieme a un occidentale, esercitare il proprio inglese e fare confronti. Finisco in una Traditional Chinese Teahouse ad assaggiare decine di differenti intrugli serviti in minuscole tazzine: “Si beve tè per dimenticare il frastuono del mondo”. Scopro che i cinesi tengono in grande considerazione il colore della pelle, ne catalogano le gradazioni fino al bianco in una stratificazione di carattere sociale comune a molti paesi del cosiddetto terzo mondo. Parecchi sono i locali aperti 24 ore e di sera il bagliore delle luci al neon rende questa parte della città una specie di Broadway. Nonostante sia un’immensa metropoli, e la segnaletica incomprensibile, la gente è gentile, educata, sempre ben disposta ad aiutare.

Sulla Nanjing Road, poco a ovest di People’s Square, non perdetevi l’Art Museum, che ospita una delle migliori collezioni di reperti storici e archeologici cinesi del mondo. E’ un grande edificio degli anni ’30, facile da localizzare per la torre con l’orologio. Qui si svolge anche la biennale dell’arte cinese iniziata nel 1996 e si ha inoltre l’opportunità di venire in contatto con un repertorio artistico notevole, grazie alla presenza di mostre permanenti e di mostre itineranti. Per l’arte contemporanea occorre invece recarsi a Pudong e visitare il rosso palazzo avveniristico del China Art Museum, sede Expo 2010. In virtù della sua tradizione e cultura cosmopolita, Shanghai è dotata di un interessante mix di religiosità, nel quale tento di districarmi non senza fatica, ma con la piacevole sensazione che il progresso e il comunismo abbiano lasciato intatto gran parte del patrimonio architettonico, culturale e religioso del passato come dimostrano i numerosi edifici di culto e le istituzioni ancora sparse per la città.

Da vedere, nel Yu Garden a sud del Bund, il tempio taoista di Chenghuang (City God Temple), magnifico complesso di palafitte erette su di un laghetto artificiale ricoperto da fiori di loto. L’Islam è presente a Shangai da 700 anni e ha il suo principale luogo di culto nella moschea di Sogjiang, mentre gli ebrei arrivarono durante la Seconda guerra mondiale, per sfuggire il regime di Hitler, stabilendosi nel “ghetto” dove ora sorge la sinagoga di Moishe Ohel. Tra le chiese cattoliche, la superba cattedrale di San Ignazio (di Loyola), all’interno del Xujiahui Park, fu costruita dai francesi della Compagnia del Gesù nel 1905 e all’epoca era la più grande dell’Estremo Oriente. Nel 1966, le Guardie Rosse la profanarono, abbattendo le due guglie, demolendo il soffitto e distruggendo le vetrate, oggi è tornata Diocesi di Shanghai, completamente restaurata. Un altro superbo esempio di comunità cattolica fa capo alla panoramica Basilica di Sheshan, affacciata sulla città dalla collina omonima, e rappresenta l’unico luogo di pellegrinaggio attivo in Cina. Alla fine di questo tour nelle religioni, tornate a vivere tra passato e modernità, in un clima di reciproca tolleranza e rispetto, a testimoniare che la convivenza civile passa attraverso il riconoscimento delle idee di tutti, quelle religiose e quelle laiche, sintomo di un’apertura mentale tipica dei paesi aperti alle contaminazioni.

In quanto alle strade, e ai relativi trasporti pubblici, Shangai possiede anche la più ampia rete mondiale di linee di autobus urbani con quasi un migliaio di tratte gestite da numerose aziende di trasporto. Il progetto comprende anche la più antica rete di filobus del mondo e un nuovo sistema di autobus a trazione elettrica "ultra capacitor" in grado di ricaricarsi a ogni fermata. Ancora una volta mi trovo di fronte a un altro esempio capace di mettere in luce l’abilità dei cinesi di coniugare le straordinarie intuizioni e imprese del passato con quelle del presente che fiutano il futuro, fra tradizione e innovazione. Credo che i cinesi, al di là dei governi che si sono succeduti, qui come altrove, abbiano mantenuto oltre alla loro gentilezza innata, la grande capacità di conservare la loro storia e le loro tradizioni e, allo stesso tempo la straordinaria, antica curiosità e l’attenzione verso il cambiamento e le altre culture. Questa loro schematica lucidità ha anche, però, generato nel popolo cinese un evidente e a volte fastidioso “complesso di superiorità”.

Prima di salire sul treno diretto a Kowloon, distretto di Hong Kong, l’immigrazione della Shanghai Railway Station timbra sul passaporto l’uscita dal paese, così il treno diventa una sorta di terra di nessuno. Il ticket con cuccetta in classe Soft per 1450 km, pari a 19 ore di viaggio, l’ho pagato 48 euro. Quattro cuccette per scomparto che restano sempre aperte; meglio quelle del piano basso. Le partenze, le soste e gli arrivi sono misurati al secondo, documentati da un display luminoso posto all’estremità di ogni vagone. Ogni dettaglio è ben curato e lustro: tende, pizzi ricamati, tovaglia, lenzuola e cuscini, tutto è immacolato. Già a due ore dalla partenza passa l’addetta di vagone in uniforme, camicia e cravatta, che con garbo assoluto consegna quotidiani e pantofole in omaggio, aggiunge acqua calda ai thermos, usati per il tè, e cambia i sacchetti dell’immondizia di ogni scompartimento. La classe Hard costa meno ed è più austera, con 6 letti e niente porte. Dal finestrino si susseguono villaggi, fiumi, laghi, monti vellutati e sconfinate risaie: paesaggi tipici da poster della Cina rurale già vista in tanti documentari. Vedute idilliache, di verde intenso, fino a Guangzhou (Canton) e ai grappoli di condomini a grattacielo che annunciano l’arrivo a destinazione.