Dalla spiaggia di Ambatoloaka, un motoscafo in 90 minuti mi porta a Nosy Iranja, due isolette collegate da una lunga striscia di arena bianchissima che affiora soltanto durante la bassa marea. Acque calde e limpide, stelle marine, conchiglie giganti, pesci volanti e minuscole tartarughe di mare appena nate, che liberiamo dalla sabbia seguendone il percorso verso l’oceano. Meraviglia delle meraviglie! Memorabile mega pranzo al villaggio, a base di pesce fresco e aragosta cucinati a regola d’arte. Il tutto, trasporto e pasto, per 27 euro.

Tornato ad Ambatoloaka, riprendo a conversare con Marianne, la cameriera della Pizzeria Nosy Bella, la quale propone con gentilezza di accompagnarmi l’indomani nel mio programmato giro dell’isola. Mi stupisce il tono amichevole da kamarat nell’offrirsi a farmi da guida. Penso di noleggiare uno scooter (8 euro al giorno), ma le condizioni dell’asfalto mi fanno cambiare idea: sarei costretto a guidare a zig zag, con gli occhi fissi sul percorso a svantaggio del paesaggio. Il taxi ci porta ad Andilana, la spiaggia più bella e remota di Nosy Be situata 26 km a nord, lungo una strada guastata da grosse buche. Scendiamo al Chez Loulou, il ristorante informale sulla spiaggia e camminiamo leggeri lungo la riva fino alla superba ed esclusiva baia dell’Andilana Beach Resort e del Bravo Club, gestiti da italiani.

Come Nosy Iranja, anche Andilana vanta una grandiosa scenografia da Oceano Indiano, simile a Seychelles e Maldive. Parliamo a lungo con le guardie che ci fanno passare. La vasta hall del resort sembra quella di un lussuoso aeroporto. Il responsabile mi mostra ogni angolo a condizione che non scatti foto e aggiunge: “Molti ospiti sono persone note che non amano essere identificate”. Sulla via del ritorno Marianne riassume così: “Questa è un’isola lontana dalla capitale, possiede un aeroporto internazionale costruito dagli italiani, tutelati da ogni genere di governo, perché qui arriva il turismo e quindi ricchezza”. In effetti Nosy Be è un luogo privilegiato in cui si parla anche la lingua italiana, tanto da sembrare una colonia italo-francese. Con Marianne ho passato una piacevole giornata. Nessuna pressione, anche vaga, riferita a un compenso in denaro, a proposte o a confidenze particolari. Spiego che dopo Nosy Be andrò a Majunga, 650 km a sud, e lei pronta: “Majunga? Se vuoi vengo con te. Basta dirlo, chiedo un permesso al lavoro, comme vous voulè”. Non ci siamo più rivisti ma il suo comportamento, anche se discreto, mi ha fatto riflettere sui labili confini di questa singolare e istintiva disponibilità femminile.

Man mano mi calo nella realtà del luogo, ritrovo analoghi comportamenti in tante giovanissime donne: da quella che vende involtini fritti ripieni di verdure a quella che lava i tegami davanti a casa. Basta un saluto per far loro sfoderare un sorriso ammaliante, in cui serpeggia una forma di seduzione latente disposta a sconfinare. Quando si arriva in un luogo sconosciuto si è portati a osservarne subito i dettagli del quotidiano. Noto una giovane donna alta, girata di spalle, che sta tagliando delle verdure su un tavolo posto sul marciapiedi. Indossa un pareo variopinto. Passa un suo conoscente e le mette la mano sul sedere, indugiandovi a lungo, mentre lei rimane immobile girando solo il capo divertita. In quel gesto pubblico riconosco l’audacia di persone istintivamente libere e disinibite.

Devo chiedere spiegazioni a qualcuno e quando alla taverna Ankoay, di fronte al mercato di Hell-Ville, sento tre signori parlare italiano, subito mi presento. Con loro c’è Jaqueline, una giornalista francese. Il più loquace è il siciliano Bruno Amore, sposato con una donna Sakalava e residente a Nosy Be da vent’anni. Bruno, capelli lunghi bianchi e collana di perline, immediatamente entra nel merito in modo esplicito: “Si viene qui più che altro per fare sesso, tutto il resto è irrilevante”. Continua: “Le donne sono precoci e prive di qualsiasi inibizione... qui, per le adolescenti è normale essere attratte da uomini molto più grandi di loro”. E conclude con un avvertimento: “Fai attenzione, mai accettare di andare a mangiare nelle loro capanne o falafa. Le donne mettono delle sostanze specifiche nel cibo che confondono la mente e, dopo, dipendi da loro. Qui lo sanno tutti”.

Dopo questo dettaglio che evoca le pratiche occulte tipiche dell’animismo, chiedo conferma ad Antonio di Lecce, rimasto in silenzio, che approva e aggiunge: “Devi capire che per le donne Sakalava ogni bianco è un vazha (pron. “vasà”), un semidio che oggi porta anche benessere economico. È sufficiente essere bianchi per suscitare il loro interesse”. In altre parole: “Non importa età, fisicità, stato sociale ma il colore della pelle”. Altro fattore decisivo: “Che tu sia una persona che trasmette una buona energia”. E aggiunge: “Se alzi la voce, sei tagliato fuori... nel loro dizionario non esistono parole cattive o frasi offensive”. Chiude senza tanti giri di parole: “È gente educata, qui non esiste la cafoneria tanto comune da noi”. Jaqueline dichiara in modo assertivo: “La seduzione è un tratto femminile di tutto il mondo, le Sakalava sono istintivamente carnali, materne e friendly. Per loro il colore della pelle definisce una sorta di privilegio innato a cui si deve ossequio, a prescindere. Una moglie può essere prestata consensualmente dal marito a un uomo bianco come segno di ospitalità e deferenza”.

I tabù e i sensi del peccato connessi alla sessualità, retaggi di una interpretazione rigida della religione cattolica, non appartengono a questa popolazione. Qui la morale comune non è collegata alla sessualità ed è priva di qualsiasi pensiero impuro, ma si gioca su altre cose. Immorale per loro è, ad esempio, rubare. Concludendo, posso dire che in questa isola non ho incontrato “vizio e perdizione” ma la simpatia e la cordialità di un popolo che forse non si rende conto di vivere in un luogo speciale. Nella loro semplicità, i Sakalava mi hanno regalato lezioni di vita sopite o dimenticate. La colonizzazione persiste sotto mentite spoglie, quelle per esempio legate all’economia e al turismo di natura diversa che però porta lavoro e maggiore benessere.

Nosy Be è dunque molte cose, non solo un eden naturale, con gente che sorride, folclore e colore, spiagge dorate e profumo di ylang-ylang ma è anche diventata, negli ultimi anni, un crocevia di associazioni Onlus finalizzate a combattere l’ignoranza, le malattie e la morte. Molte di queste sono italiane e intervengono in assenza di presidi sanitari e sociali. Purtroppo, invece di operare in sinergia sono in competizione tra loro e rischiano di complicarsi la vita a vicenda. In questo contesto variegato e ricco di contraddizioni ho conosciuto Manina Consiglio, insegnante di filosofia in pensione che abita nell’isola da tanti anni, presenza estremamente popolare per aver generosamente portato qualità alla vita della popolazione, in particolare a quella dei bambini e degli adolescenti.

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