È aprile e mi trovo sul lungomare di Majunga, città portuale sulla costa occidentale del Madagascar, in cerca di una nave che mi conduca alle isole Comore. Mi accompagna Juliana, l’inserviente della locale Camera di Commercio che, per un piccolo compenso, propone di aiutarmi a trovare la compagnia di navigazione giusta poiché qui “tutto è vago e incerto”. Giriamo per ore tra il dedalo di stradine di questa sonnolenta e assolata città, in un carosello di anonimi uffici posti in angusti scantinati, fino a trovare il mio atteso passaggio per l’indomani sulla nave cargo della Mohoro Shipping, al costo di 100 euro (l’aereo ne costa 300).

Nelle 36 ore di navigazione verso l’estremità settentrionale del Canale di Mozambico, tra Africa e Madagascar, realizzo che da tempo sono incuriosito dallo Stato insulare delle Comore, quattro punte vulcaniche affioranti nello sperduto Oceano Indiano, sulle quali esistono solo rare notizie e nessuno ne parla. Il loro nome è stato sempre associato prevalentemente ai suoi frequenti colpi di stato organizzati da fantomatici mercenari ed ex legionari, senza capirne mai le ragioni, e ciò stimolava ancor più il mio desiderio di venirci. La mia narrazione sarà quindi quella di un visitatore ignaro di tutto, che si limita a osservare e a fare domande agli abitanti per cercare di carpire la storia, l’atmosfera e l’anima comoriana, iniziando dalle piccole cose del quotidiano.

Sbarco a Moroni, la capitale dell’Unione delle Comore, Repubblica federale abitata da 750 mila anime e composta da tre isole: Grande Comore, Moheli e Anjouan, mentre la vicina Mayotte è reclamata dalle Comore ma ha rifiutato l’indipendenza dalla Francia. La storia, in sintesi, ci dice che tutte le isole rimasero disabitate fino al Cinquecento. La sua posizione geografica ha fatto di questo arcipelago un crocevia di popoli: prima gli indonesiani, poi gli arabi, quindi gli africani e infine gli europei. A partire dal IX secolo arrivarono gli arabi, che vi fondarono dei sultanati e, dal 1500, gli europei: prima portoghesi e poi a seguire francesi, olandesi e inglesi. In quest’epoca furono una base per la tratta degli schiavi, condotta sia dagli arabi che dagli europei. Furono anche la base della pirateria, che intercettava le navi dirette al Capo di Buona Speranza e alle Indie Orientali.

Ciò nonostante, i sultanati riuscirono sempre a mantenersi indipendenti, pur facendo delle concessioni agli europei. Solo nel 1912 la Francia completò la conquista dei sultanati costituendo un’economia fondata sulle piantagioni, per la coltivazioni di prodotti da esportazione, che tuttora sfrutta gran parte del territorio come la vaniglia, la cannella, i chiodi di garofano e l’ylang-ylang, da cui si estrae un’essenza usata nell’industria dei profumi. Le Comore tornarono indipendenti nel 1975 costrette, dall’esito di due referendum, alla rinuncia di Mayotte. Inizia così il periodo dei complotti secessionisti e delle insurrezioni popolari con puntualità stagionale, tanto da guadagnarsi il nomignolo di “Coup-coup Land”. Nel 1997 pure le isole di Anjoun e Moheli dichiararono la loro indipendenza dalle Comore. Il tentativo del governo di ristabilire il controllo sulle isole ribelli con la forza fallì e, dopo la riconciliazione, nel 2005, venne approvata la Loi des compétences, una legge che definisce il tipo di autonomia e le responsabilità di ciascun organismo di governo. Il giorno 25 marzo 2008 l'esercito, con il sostegno di truppe della Unione Africana, ha assunto il totale controllo di Anjouan, mettendo fine alla secessione dell'isola. Oggi, ciascuna delle tre isole costituisce una unità amministrativa indipendente, con un proprio presidente mentre le strutture amministrative centrali hanno scarsi poteri. La politica comoriana è caratterizzata da un ampio numero di fazioni e partiti politici, basati sulle varie comunità tribali presenti nel Paese. Tuttavia, l’esercito gioca un ruolo importante nella politica interna. Gli abitanti sono in grande maggioranza di cultura arabo-islamica, tranne una significativa minoranza sull'isola di Mayotte (i Mahorais) costituita da cattolici fortemente influenzati dalla cultura francese.

Il primo impatto è sorprendente, come sbarcare su un altro pianeta: Grande Comore, per i locali Ngazidja, è molto diversa dal Madagascar, anzitutto per la scenografia arabo orientale da fiaba, mista a un’architettura che rivela le origini swahili della popolazione. Gli uomini indossano lunghe tuniche bianche (kanzus), accompagnate da zucchetti ricamati (kofias), mentre le donne hanno il capo coperto da scialli. Fascino tipico di un mondo in via di estinzione, dai tempi lunghi, del dolce far niente che infonde nell’anima una profonda serenità: il tempo è dilatato, nell’aria non c’è niente che indichi dei ritmi precisi, nulla di impellente da fare, nessuno chiama, aspetta o impone dei tempi, delle scadenze, dei doveri ... degli obblighi. È proprio ciò di cui avevo bisogno!

Posso rimanere due settimane. Cerco un alloggio nella strada delle compagnie aeree, con prezzi che variano da 20 a 30 euro per notte, ma sono tutti al completo. Non rimane che la camera della più spartana Pension Le Rapido di Madame Maman-Omar, con bagno del genere mandi (acqua nel bidone), finestre senza infissi e arredamento iper-basic. Per farmi la barba, mi insapono sul water e mi rado in camera dove c’è lo specchio. Un ridicolo avanti e indietro che riesce a mettermi di buon umore. Non esiste un generatore e la corrente elettrica va e viene a intervalli di ore, sostituita da candele quando ci sono. L’assillo maggiore viene però dall’attacco di minuscole ma fameliche zanzare. Ci sono anche formiche grosse come cavalli e sono guai se un insetto qualsiasi riesce a entrare nella zanzariera. Non ho fatto alcuna profilassi antimalarica e la presenza di tante zanzare mi preoccupa. A riguardo, chiedo informazioni alla graziosa Djae, l’impiegata dell’Air Mad dagli occhi come perle, che mi risponde con una battuta per niente rassicurante: “Moustiques? ... Sont les principales criminales du pais!”.

Per i più esigenti, appena fuori città, sulla via per l’aeroporto, c’è il 4 stelle Itsandra Beach Hotel ( ...direi un buon 3 stelle; tsc@snpt.km), che rappresenta l’unica soluzione di standard internazionale esistente alle Comore, con una bella baia di sabbia bianca incorniciata da palme. Qui, al tramonto, va in scena il balletto delle volpi volanti, pipistrelli giganti che ruotano in cielo, forse è per questo spettacolo gratuito che i prezzi della lavanderia e dei servizi extra, specie al ristorante e al bar sono eccessivi. Tutt’altra cosa è la vicina e pubblica Itsandra plage, che ospita il bar ristorante Le Sim-Sim, in stile yacht club, con veranda posizionata verso un tramonto vergato di rosso, rosa, viola, giallo e arancio.

In giro per le vie ad annotare dettagli, subito colpisce il carosello di colori e di merci che rendono la città una perenne sagra all’aperto, incentrata nella superba Babele del mercato coperto di “Volovolo”. Le donne indossano sari e scialli sgargianti dai disegni geometrici insoliti che si intrecciano l’un l’altro con i colori della folla e, nonostante questo sia un paese prevalentemente musulmano, nei portamenti esprimono indipendenza e cordialità, tanto da incuriosirmi e da spingermi a fermarmi per dialogare con loro senza riserbo. Usano un linguaggio esplicitamente civettuolo e ammiccante, come Neema, la giovane impiegata della libreria che propone garbatamente di sposarci. È forse un modo meno rigido della nuove generazioni di interpretare l’Islam, rispetto agli anziani ancora fortemente ancorati alle tradizioni. Anche i ragazzi e gli uomini mi appaiono decisamente aperti e amichevoli mentre giocano a M’raha lungo la via, spostando sassolini da un buco all’altro con gesti decisi ma armonici, allo stesso tempo altri si accalcano attorno a vecchi televisori dai colori sbiaditi che proiettano film di Bruce Lee. Mi fermo, osservo, chiedo, fotografo: nessuno si lamenta o mi ostacola, anzi, ne sembra gratificato. Sempre attenti a non disturbare, spesso salutano con un cordiale bon jour monsieur, ca va?

Sento che viaggiare solo mi piace ancora molto. Già essere in due è un altro genere di viaggio, rassicurante nei luoghi a rischio, ma percepito dai nativi, poco abituati alla presenza di stranieri, come una complicità contro qualcuno o qualcosa, tale da incutere diffidenza. Il viaggiatore solo li rassicura, basta mostrarsi bendisposti e tutti ti invitano a bere e a mangiare nelle loro case, senza paranoie. Se sei solo vieni accolto e protetto.

Le donne, dai movimenti garbati e dagli occhi che parlano, vendono baguette, ortaggi, uova, noccioline, acqua, bibite, stoffe, abiti, scarpe, tegami, profumi, sigarette sciolte, stecche di vaniglia, legni scolpiti, cappelli di rafia, biancheria per la casa, gioielli in argento, articoli in vimini, oggetti in plastica e ogni cosa. Dovunque, grossi avocado cremosi e succhi freschi di avocado, ottimi, densi, verdi. Ogni giorno ne compro un bottiglione da due litri (0.60 euro) e lo tengo nel frigo della pensione ... mai vissuto questo frutto in modo più intenso. Per dissetarsi, ci sono acqua sigillata, bibite, tè o succhi di frutta diluiti con acqua bollita, mentre per molti nativi è d’uso comune il bidone pieno d’acqua non potabile e lo stesso bicchiere in alluminio per tutti. Per mangiare, nessun problema: prediligo il Nassib, un ambiente ampio e easy sulla via del mercato, con sala ristorante, il forno, una fornita pasticceria per le colazioni e tv France24 che permette di seguire le vicende del mondo in diretta. La cucina comoriana è semplice ma saporita, grazie alla presenza di spezie come il cardamomo, la vaniglia, la cannella e, soprattutto, la crema di cocco, che accompagna la maggior parte dei piatti. Il pesce al cocco infatti è il piatto nazionale. La legge islamica proibisce ufficialmente il consumo di alcol, ma si trovano comunque birra e bevande alcoliche nella maggior parte dei supermercati.

Al Nassib ti puoi sedere anche senza consumare, non ci sono occidentali e la mia presenza è gradita, mentre se entro nei locali frequentati da residenti francesi, come Le Select, nella piazza della posta, o il Café de Flore sulla Corniche (la via che costeggia il mare, a tratti “incorniciata” da montagne di rifiuti), l’atmosfera è decisamente più formale: mi scrutano per valutare l’abbigliamento, i modi, il linguaggio. Dopo la percepibile diffidenza iniziale per “lo straniero”, tesa a tutelare il proprio status, tutti ci tengono a sottolineare la più assoluta mancanza di criminalità: “Si può girare dovunque, di giorno come di notte, senza alcun pericolo ... per certo è la nazione più sicura al mondo!”. Sono locali che rappresentano punti d’incontro privilegiati anche dalla borghesia indigena, con tronfi clienti ben vestiti che devono dimostrare di parlare bene il francese e di essere spigliati come a Parigi.

Continua il 17 Novembre...