Breve premessa

Appunti di un viaggio iniziatico di 50.000 km intrapreso nel 1969, quando esplorare il mondo rappresentava un sogno giovanile da realizzare in qualsiasi modo. Tre studenti ventenni di Modena (Adriano, Paolo, Giò), una Fiat 500 del 1959, pochi soldi in tasca e destinazione Bali in Indonesia. In questo brano, estrapolato dal diario di bordo, la meta è vicina … la realizzazione del sogno è a portata di mano. In questo racconto è rintracciabile un linguaggio generazionale di strada, semplice, istintivo e scarno, a tratti ironico e incalzante come il ritmo del viaggio stesso vissuto fra la cruda realtà e il gioco. Un tuffo nel passato aperto allo sguardo critico del presente…

Singapore - Jakarta - Bali (23 Agosto/6 Settembre)

Lasciata l’auto nel garage del consolato italiano di Calcutta. Da Singapore, con la nave cargo/passeggeri panamense Belle Abeto attraversiamo la linea dell’equatore e siamo finalmente a Jakarta, nell’isola di Giava in Indonesia. Tre treni, una carrozza a cavalli, un ferry, un autobus, e dopo 70 giorni dalla partenza da Modena arriviamo all’agognata meta di Denpasar, capoluogo dell’isola di BALI.

In navigazione … Le ragazze della nazionale indonesiana di calcio femminile sono molto espansive, desiderose di fare conoscenze, e in breve diventiamo tutti amici. Dalla coperta un gruppo di queste invoca a viva voce: “Adriano, Adriano”, che sta in plancia, quattro metri più in alto. Preso dall’emozione, Adriano ha un momento di sublime smarrimento e lancia alle fan il passaporto ed altri documenti che teneva tra le mani. Per fortuna non sono caduti in acqua. Si è innamorato della più bella: Endang di Bandung, la figlia del farmacista. Bella storia. Seconda serata di danze, musica rock e beat, tutti in pista scatenati. Adrenalina a mille!

… Finalmente DJAKARTA, la Batavia di Salgari: Lofissima! [1]
Equatore, Sumatra, Djakarta, Giava, Indonesia: tutti in un colpo! Gli indonesiani sono stati colonizzati per 350 anni dagli olandesi. Liberi e indipendenti da soli 24 anni.

La polizia che sale sulla nave per il controllo passaporti, ci concede il permesso di soggiorno valido 21 giorni, 3 weeks. Ogni 375 rupie indonesiane sono 1 US$. Sulla nave Belle Abeto grandi saluti. Adriano in auge come ai vecchi tempi: idolo della nave. Maria Sujono mi da una sua foto. Scendiamo a terra alle 15. Ora siamo un gruppetto di sei: noi tre italiani, i due professori americani Mark e Frank e lo svedese Pio. Appena scesi, subito a razzo, alla stazione dei treni, ma sbagliamo stazione. Di corsa alla stazione giusta, rimediato. Paghiamo 930 rupie a testa, per dei posti in piedi. Partenza ore 17 per Surabaya, arrivo previsto alle ore 10.30 del giorno dopo.

Viaggio allucinante. Treno super affollato. Tutti in piedi, sudaticci e appiccicati l’un l’altro per ore ed ore ed ore. Nel convoglio è stipata una massa umana proibitiva per numero di corpi. Siamo gli unici stranieri presenti e tutti ci osservano ritti e muti, insperato diversivo contro il tintinnio cadenzato delle rotaie. Ad ogni stazione i venditori di bevande e cibi fatti in casa, provano a salire o allungano le vivande dai finestrini o da dove è possibile. Il vitto è assicurato. Mangiamo banane fritte e Paolo si becca le emorroidi, ma non per colpa delle banane.

Con l’arrivo del buio, quando viene a mancare anche il sostegno visivo del paesaggio, la nube nervina s’impossessa dell’intero treno e, uno dopo l’altro, ci ritroviamo accasciati al suolo esausti, in un groviglio di corpi che senza più remore si intrecciano al solo scopo di trovare una qualsiasi posizione sopportabile per riuscire a riposare. Un po’ come svenire. Com’era dolce il legno della nave… ! Nostalgia di quelle “soffici” assi della Belle Abeto. Qui è normale così, è lampante che questo è il modus sopravivendi degli indonesiani: sdraiati sul pavimento del treno, una gamba che passa sotto a quella di qualcuno, un braccio che si adagia sulla gamba di qualcun altro. Odori che si amalgamano e sovrappongono. Per fortuna ci sono molte donne. E quella che s’intreccia con me è graziosa, ed anche un po’ birichina. Di proposito mi mette il piede proprio nel “cavallo” dei pantaloni. Al buio, per un’oretta si alletta col piedino erotico ed io la lascio fare. Sfortunatamente per un attimo si accendono le luci, qualcuno la vede ritrarsi: per lei una vera “squagliata” (brutta figura). La profonda stanchezza vince poi ogni cosa, dormo per terra di gusto e gli altri anche.

26 Agosto (martedì). Con le prime luci dell’alba, sulla distesa di ossa rotte ed inermi, si intensifica il via vai di ambulanti. Ogni attimo passano rompi balle con frutta, bibite, pane, pappagalli: di tutto. Tranquilli, camminano a zig zag infilando ad arte i piedi negli spazi lasciati liberi da gambe e braccia. Pian piano ci si comincia ad alzare, tra scatarrate e sputacchi generali dal finestrino, di nuovo tutti ritti, uno accanto all’altro, in versione diurna. Due o tre persone mi separano dalla giovane donna di fronte, quella del piedino: un bel musetto che ora guarda altrove.

Viaggio pericolosissimo a causa dei cosiddetti ladruncoli, di cui pare sia pieno il treno. Assistiamo a controlli scatenati della polizia in cerca di borsaioli. Al mattino ne arrestano 2, anzi 4. Mangiamo un ottimo secondo venduto da bambini, preparato in chissà quale capanna dell’entroterra.Ogni tanto qualcuno si avvicina con fare curioso, sia uomini che donne, per chiedere gentilmente di poterci accarezzare i peli delle braccia. Essendo loro glabri, rappresentiamo una curiosità; lo fanno senza malizia e bisogna fare attenzione a non equivocare. Arrivano anche coi bambini, come avessero davanti un’attrazione da baracconi. Ad Adriano, vittima di una calvizie precoce, passano addirittura la mano sulla peluria della testa e ringraziano.

Dopo 17 ore e mezzo di viaggio, alle 10.30 arriviamo puntuali a Surabaya. Pranziamo in stazione: la sala d’attesa è gremita di passeggeri in transito grondanti di sudore, seduti su sedie, panche e sacchi, a ingerire cibo senza fine; tutti quanti sputano a raffica sul pavimento e lo strato di saliva che s’impasta al suolo ci obbliga a fare attenzione a dove mettiamo i piedi. Ogni tanto interviene un inserviente che da un secchio getta al suolo acqua fetida e asciuga con uno straccio appena usato per lavare i gabinetti.

Ci trasferiamo poi su un treno di una stazione minore, che in altre 6 ore di viaggio, seduti, ci porterà a Jember. Sconto ferroviario studenti 50%, pagato 125 rupie (200 lire it.) a testa. Infine, ci sarà da fare un ultimo tratto in treno prima del ferry: con questo ritmo da Battaglione San Marco dovremmo arrivare domani, nel mezzogiorno, a Bali. Durante queste sei ore Pio ci indica, con disegno e mappa sul diario, alcuni luoghi di Bangkok frequentati da viaggiatori, utili al nostro ritorno. When back in Bangkok go to:
Mosquito Bar, bus 4; Thai Song Hotel & Restaurant in Rama IV; Starlight Hotel in Sukumvit, Soi 25, bus 15. Il suo indirizzo in Svezia: Pei (pronuncia Pio) Holmomist, Batsmansg 2, 29100 Kristianstad, Sweden. Fino al Maggio ’70 è al Saftra Tegnergatan 55, Stockolm: “You always welcome, hotel free, including blond Swedish girls”.

Arriviamo a Jember, che si scrive Djember, dove cerchiamo un albergo economico per tutti e sei senza però riuscirvi. Ma in breve veniamo agganciati da un gruppo di maestri, per trovarci tutti loro ospiti gratis: G. Graptakusuma, Djl. Trunodjajo 22C, Djember, Djava Timur, Indonesia. Insegnante di francese, latino, indonesiano, italiano; Fraus X. Hurdjanto, stesso indirizzo di collega. Ci portano prima a una chiesa cattolica e poi alla scuola. Credo che a tutti gli insegnanti del Sudest asiatico piaccia da impazzire parlare, scambiare informazioni, con degli occidentali. In questo caso Mark, essendo professore di Barkley, una delle università più famose d’America (nell’occhio del ciclone del movimento hippy), pendono dalle sue labbra, lo adorano. Inoltre, noi siamo italiani e loro cattolici in un paese di musulmani. I presupposti per trattarci coi guanti ci sono tutti. Parliamo molto delle differenze tra le scuole dei nostri rispettivi paesi e di politica: “5 anni fa in Indonesia hanno fatto una strage di comunisti, ne uccidevano 1000 al giorno, compreso donne e bambini. Esistono ancora grossi gruppi di quelli che il governo locale definisce terroristi. Una settimana fa una bomba messa qui a Jember ha causato 5 morti”. La scuola ci accoglie tutti. Ceniamo, dormiamo e facciamo colazione.

27 Agosto (mercoledì). “BALI DAY”
Prendiamo il treno per Banjoewangi, il costo del biglietto è di 75 rupie: 3.30 ore di viaggio. Da Banjoewangi, ad una manciata di chilometri, raggiungiamo in carrozza a cavalli il molo di Ketapang. Bali è di fronte, ben visibile oltre lo stretto. Incredibile! Al traghetto ci fanno lo sconto studenti 50%, siamo in sei e paghiamo per tre, vale a dire 17 rupie a testa. Attendiamo la partenza sino alle 16 e l’attraversata dura 20 minuti. Sul ferry fotografo una ragazza carina, circondata da un gruppetto di giovani bulli da operetta che viaggiano in Mercedes.

Ore 17 sbarco a BALI.
Wow! Grande emozione… paradiso in terra! Anche se arrivarci, chilometro dopo chilometro, diventa quasi una meta familiare. E' il sogno che si smitizza nel diventare realtà. Tuttavia rimane la nostra meta ambita, luogo magico coltivato da tempo nel nostro immaginario. Ora, il passo successivo sarà quello di provare a capire il perché di tante cose. I balinesi ritengono che l’isola sia proprietà degli dei, affidata in sacra custodia al popolo. Per esprimere la propria riconoscenza verso questa grande fiducia, la popolazione dedica molto tempo a cerimonie religiose, riti, danze, feste. Andiamo a vedere se è vero.

Adesso sappiamo che Bali dista 70 giorni da Modena.

Riassumendo l’ultima tratta, quella giavanese: da Djakarta ci sono volute 17.30 ore di treno per Surabaya, altre 6 ore per Jember, ancora 3.30 per Banjoewangi, un tratto in carrozza e 20 minuti di ferry, più il bus per la meta finale di Denpasar.

Siamo sulla costa occidentale dell’isola di Bali, nel villaggio di Gilimanuk, gli autobus per Denpasar partono ogni mezzora ma solo dalle 6 alle 14. Ora non c’è nessun mezzo che ci vada, non esiste traffico. La gente del villaggio è cordialissima. È qui che, nell’attesa, Adriano mi scatta quella bella foto in mezzo al gruppo di indigeni, tanto usata in mostre e articoli negli anni a seguire. Dormiamo alla stazione di polizia, tutti sei per terra (sempre peggio). Ai due americani, Pio sta un po’ sulle balle. Appena possono lo sganciano.

28 Agosto (giovedì). Alle 7 prendiamo l’autobus, brutta strada ma bei paesaggi e villaggi: tre interminabili ore per 125 km sino a DENPASAR, l’agognato capolinea.

La scelta di questo viaggio, l’averlo onorato a qualunque costo, ci ha proiettato in una realtà di enorme privilegio, sentiamo che è così, che abbiamo fatto la cosa giusta nel momento giusto, ma ovviamente è ancora presto per rendercene conto. Intanto prendiamo atto che il mondo è piccolo e che la gente è come noi, basta parlarle dritto al cuore.

Pensavamo che Denpasar fosse sul mare e siamo rimasti un po’ delusi. A 11 km c’è la spiaggia di Kuta Beach che però non ha alberghi; a 6 km c’è un’altra spiaggia, Sanur Bali Beach. Che ha solo un hotel di lusso. Denpasar è piena di alberghi e alberghetti, tutti spartani per giovani freak, perlopiù australiani e neozelandesi. Visitiamo un primo hotel: non buono. Pio, in un momento di confusione, è andato in un altro hotel per conto suo. Con Frank e Mark non si trova bene. Noi e gli americani scegliamo l’Adi-Yasa Hotel, Djalan Nakula 12, tel. 2679: 200 rupie al giorno. Un recinto in pieno centro con tanti bungalow, come un minuscolo villaggio privato. Molto bello, di fronte, sulla sinistra c’è il ristorante delle Three Sisters, dove si mangia bene e si spende pochissimo. Tre sorelle simpatiche, dall’energia contagiosa, brave ed oneste, il ché non è poco. Bali ci pare abitata dalla gente più simpatica e buona del mondo. Belle donne, è sempre festa. Tutto ci ripaga del viaggio, ne è valsa davvero la pena.

Denpasar deriva da Dengan Pasar che significa “al mercato”. E infatti siamo i nuovi arrivati e i mercanti non esitano a bussare alla porta del nostro bungalow. Souvenir in cambio di magliette, camicie e oggetti, fatto scambi tutto il giorno. Per l’orologio mi danno una scultura ricavata da un unico blocco di legno. Si tratta di Malù, il dio della timidezza, che si tiene il viso coperto tra le mani. Tra i Malù che ho visto in giro il mio è il più bello. Anche Paolo e Adriano stanno contrattando scambi analoghi. Alla sera in paese c’è festa, con danze, ma io crollo nel sonno…

Brano tratto dal libro Modena Bali Modena 2.

Si conclude così la prima giornata a Bali. Il viaggio overland verso l’ambita Bali mi ha dato la possibilità di prendere le misure con l’intero pianeta rappresentando il primo importante riferimento che ha ispirato gran parte della mia vita.

[1] Lofi – scadente/deludente