Sapendo della mia dilettantesca passione per la scrittura di canzoni, talvolta mi si chiede come nasca un testo, più che la musica: la risposta, come si può immaginare, non è semplice, perché dipende innanzitutto a chi sono rivolte le parole. I bambini hanno bisogno di un certo tipo di linguaggio e di storie, i ragazzi di altri linguaggi ma non necessariamente di storie mentre gli adulti, non sapendo bene che cosa vogliano, non si accontentano facilmente e tutto diventa più complicato. L’esempio che utilizzerò per cercare di dare concretezza al mio punto di vista è un brano che ho scritto da poco pensando (utopicamente) di mettere d’accordo grandi e piccini sfruttando la semplicità e la leggerezza di una vicenda in bilico tra realtà e favola.

Cadde un giorno il discorso con mia suocera sulle vecchie filastrocche e sui giochi di parole per bimbi in voga negli asili degli anni settanta e scoprii così la vicenda di Ada, Gino, Pia e Nino: non ricordo bene i particolari della storiella ma il finale del racconto giocava sull’ambiguità Ada/Gino (adagino) e Pia/Nino (pianino) generata dalla fusione dei nomi propri. Solo successivamente venni a sapere che Gianni Rodari aveva utilizzato gli stessi quattro nomi nella sua Grammatica della fantasia (1973) presentandoli però all’interno di quello che definisce come falso indovinello, cioè un enigma la cui risposta è contenuta nella domanda di partenza. Questo il gioco:

Ada, Gino, Pia, Nino andavano a coglier fiori.
Chi sì chi no ne colse: chi fu che ne raccolse?

Risposta: "Chi si chinò".

L’indovinello era simpatico ma ormai ero rimasto affascinato dal semplice doppio senso che si veniva a creare con i nomi se pronunciati velocemente, e iniziai a scrivere una storia che mettesse in relazione i quattro personaggi. Inventai un incontro casuale al parco di due coppie di fratelli e da quell’incontro di bambini e dai loro dialoghi (‘roba minima’ direbbe Jannacci) avrebbe dovuto nascere qualche cosa. Il passo successivo fu allora costruire una storia che li legasse mantenendo però un velo di malinconia, magari dettato da una separazione successiva. Fino a qui l’operazione si è svolta tutta nella mia mente, fantasticando a voce alta negli spostamenti in auto o scarabocchiando qualche appunto: il primo verso del testo può nascere – per me – solo quando trovo una ritmica funzionale e un’idea di melodia.

Non so per quale motivo avessi in testa in quei giorni il quadro preraffaellita di Henry Holiday Dante incontra Beatrice al ponte di santa Trinita (1882 ca.) ma se la vita è l’arte dell’incontro, al primo incontro al parco avrebbe dovuto seguirne uno simbolico, che destasse memorie e ricordanze, ed ecco perché lo ambientai a Firenze, come quello di Dante con le tre donne del quadro. L’innamoramento descrittoci nella Vita nova divenne così la base della storia di due dei quattro fratelli. Si capisce pertanto come mai Ada all’inizio della canzone frequenti la quarta elementare e sia vestita di rosso: “[…] a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare. Ella era in questa vita già stata tanto […] che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono. Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno” (Vita nova, Cap. II). È scontato dire che l’incontro di Ada e Gino avviene alle tre del pomeriggio.

Arrivato a questo punto, con una storia quasi a metà, diventò necessario iniziare a versificare: la scelta di un tempo ternario, banale se si pensa alle canzoni per bimbi, divenne quasi obbligata quando decisi che il tutto avrebbe dovuto concludersi con un valzer di gruppo, magari in un campo di grano con un sole al tramonto, italianissima immagine da film. Sull’andamento un po’ zoppicante del valzer lento è nata una melodia semplice in grado di adattarsi alla vocalità sia di un bambino sia di un adulto (ecco perché del brano ne esistono due versioni: la prima in fondo all'articolo e la seconda qui). Il verso, con i suoi accenti e le sue cadenze, fluisce sempre spontaneo sull’arco melodico: è sufficiente raccontare ciò che si vuole dire con parole che rispettino il metro ed eventualmente (ma senza obblighi) inserire assonanze o rime.

Non rimaneva che concludere la vicenda: il tema del tempo che passa e del distacco forzato proietta la seconda parte dell’azione ovviamente a Firenze, città nella quale avverrà il secondo incontro. Nove anni sono passati ma i quattro hanno continuato a tenersi in contatto fino al giorno in cui, al termine di un ponte sull’Arno, avviene la casuale folgorazione magistralmente dipinta da Holiday: “Poi che fuoro passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto di questa gentilissima, ne l’ultimo di questi die avvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo” (Vita nova, Cap. III). Malinconia e ricordanze: il tempo che passa, il ritrovarsi dopo anni, il padre che non c’è più e un rosso tramonto sul placido Arno sono gli ingredienti finali utili a chiudere il cerchio dopo l’esplosione sonora del ballo dei personaggi.

Naturalmente quello che è successo con Quattro fratelli non è detto che funzioni con altre canzoni: come si è detto le variabili sono molte ma di norma il mio lavoro sui testi trova soluzione in questa modalità operativa. Una nota conclusiva: qualunque artigiano musicale può cimentarsi, come faccio io a tempo perso, in questo lavoro e far nascere così la sua canzone; essere nati aedi è ben altra cosa. Ecco il testo della canzone:

Ada andava al parco, per mano suo fratello;
quarta elementare o forse poco più.
Biagio che la nota nel vestito rosso:
neanche una parola ma la storia già si sa.
Tre del pomeriggio di un giorno di sole,
Gianni e l’altalena volan sopra il campanile.
“Ciao! Mi chiamo Pia, fermati un momento:
spingimi ti prego e fai provare pure me”.
E così tutti i giorni, l’estate che corre,
settembre alle porte oramai
“Sai andremo in un’altra città;
fra non molto papà verrà a prenderci, mamma è già qui”
Ada e Gino si inseguon, Pia e Nino si lanciano in alto
nel sole e nel blu.
“Questa sera saremo a Firenze:
le nostre vacanze finiscon laggiù”.

Biagio va di fretta nei suoi ventun anni:
attraversa il ponte ma quel giorno c’era lei!
Lei che andava a scuola, bianco il suo vestito:
Ada lo saluta e poi la storia già si sa.
“Se Nino sapesse”. “Pia se potesse!”
“Faccio il cameriere in un locale in via Renai”
“Non mi sembra vero, sai ti trovo bene:
vienimi a trovare questa sera o quando puoi”
E così tutti i giorni, l’estate che arriva
portandosi Pia in città.
Nino l’aspetterà, “Ci vedesse papà,
quanto tempo ormai; mamma è già qui…”
Ada e Gino che corron, Pia e Nino che ballano;
un valzer si sente più in là.
Quattro cuori che battono a tempo
nel rosso tramonto sull’Arno che scivola e va.
Ada e Gino che parlan, Pia e Nino che sognano
quello che forse sarà:
“Questa sera vivremo a Firenze le nostre vacanze e la felicità”