Spesso chi ha una posizione pacifista rispetto ai conflitti e alle guerre viene considerato una persona “fuori del mondo”, estranea alle conoscenze di base delle politiche internazionali, delle vicende, dei retroscena, delle ragioni economiche, religiose, sociali, o appunto politiche.

Al contrario, desiderare la pace è una posizione estremamente calata nella quotidianità, nella realtà dei fatti. Ora ve lo dimostrerò, con riferimenti comprovati alla psicologia ed alla pedagogia.

Chi è pacifista non è un ingenuo, è una persona estremamente realista, che spesso conosce come funziona l’animo umano, che ha visto e analizzato le escalation di violenza, che conosce bene l’irrazionalità di certe reazioni, o le pure ragioni idealistiche, che spesso sono fittizie coperture per puri interessi economici, che nulla hanno a che vedere con la religione, i valori umani o altro.

La conoscenza dell’animo umano implica come logica conseguenza il desiderare la pace, ma non come obiettivo lontano, bensì come qualcosa da attuarsi subito, oggi, adesso. Ma se tutti, chi più chi meno, in linea di principio desiderano effettivamente la pace, dal desiderio all’attuazione il passo non è semplice. O almeno, tanto semplice non appare.

Veniamo dunque al punto centrale, riassumibile nella domanda: ma come si fa ad ottenere la pace? Quale potrebbe essere la via migliore, più sicura, più duratura, più efficace? La pace si pratica. Si pratica a prescindere.

In altre parole, se si vuole ottenere la pace, è fondamentale, essenziale direi, che la pace venga attuata subito da chi la desidera. Se si risponde all’aggressività con altra aggressività, questa – da entrambe le parti – aumenta anziché diminuire. Ma come si fa ad ottenere che le persone, così come i popoli, gli Stati e le Nazioni attuino veramente questo modello?

Ovviamente io rispondo da psicologa. Certamente non sono addentro a dinamiche politiche o sociali se non come osservatrice privilegiata. Privilegiata sì, infatti ho gli strumenti - li ho acquisiti e praticati negli anni – per vedere le cose dal punto di vista del funzionamento della mente.

Ebbene, la pace si impara da piccoli e si coltiva anche da grandi. Si impara guardando gesti gentili, osservando adulti e figure di riferimento in genere, sperimentando la bellezza della serenità, del far andare bene le cose, la gioia nell’aiutare, la lode per aver compiuto un gesto di gentilezza anche e soprattutto nei confronti di chi in quel momento non è stato gentile con noi. Anche e soprattutto con chi ci ha attaccati.

Si impara distinguendo la persona dalle sue azioni: il comportamento è una cosa variabile, frutto di decisioni, di circostanze e di necessità. L’immagine che noi abbiamo di una persona non può basarsi su un comportamento, perché sarebbe fuorviata, distorta. Il comportamento non è la persona, la persona è altro.

Oltre a ciò, se vogliamo che la pace fiorisca, dobbiamo ridurre l’esposizione alla violenza: le immagini di violenza, le fotografie crude e dirette, i filmati di cose aberranti, i cartoni animati violenti, i film violenti. Tutto questo materiale, sostanzialmente inutile e oggi francamente eccessivo e ridondante, non fa altro che accrescere nelle persone le idee ed i comportamenti violenti, trasformando la violenza in una normalità aberrante e repellente.

La mente umana, lo si voglia o no, funziona così, i processi percettivi entrano nell’apprendimento, i comportamenti attuati da figure di riferimento entrano in gioco come modelli espliciti, come una sorta di manuale di istruzioni.

Io sono pacifista. E non mi ritengo un’idealista, ma una persona estremamente sicura di quello che afferma, che si basa sulla conoscenza della mente umana, che conosce la realtà da una posizione privilegiata. In altre parole, sono molto più realista di chi risponde alle armi con le armi.