Ei fu. Siccome immobile
Dato il mortal sospiro
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale.

Così inizia l’ode Il 5 maggio, che Alessandro Manzoni scrisse appena seppe la notizia della morte dell’uom fatale del secolo, Napoleone Bonaparte.

Un uomo ammirato e odiato, di cui Manzoni non aveva mai parlato in vita, ma celebrava da morto, ammirandolo senza elogio servile. In Napoleone, Manzoni riconosceva una grandezza che si vedeva raramente nella storia. Una grandezza da cui l’imperatore fu schiacciato, seguendo un’ambizione cieca che gli fece commettere numerosi errori. Napoleone aveva voluto tutto, ed alla fine gli era rimasto uno scoglio spoglio e la prigionia. Il sole gli aveva bruciato le ali.

Ci sono uomini destinati alla leggenda. Uomini che nascono per più alti fini, che sia governare una Nazione o portarne la rovina.

Grandezza e follia sono due facce della stessa medaglia, e sono aspetti fondamentali per capire un uomo come Napoleone Bonaparte.

La sua è una figura che a distanza di secoli fa ancora discutere. Protagonista di un recente film di Ridley Scott di cui si sta già molto discutendo, la figura dell’imperatore francese attrae e ripugna, causando reazioni discordi anche tra i suoi sostenitori.

Un vero Icaro che, come il ragazzino nel mito, aveva cercato di raggiungere obiettivi sempre più alti finendo per fallire e cadere.

Per come era iniziata la sua storia, nessuno avrebbe scommesso su quel piccolo corso: Napoleone nacque ad Ajacco, in Corsica, secondogenito di una famiglia della piccola nobiltà dell’isola, da poco entrata nell’orbita della Francia. Una famiglia numerosa, quella dei Bonaparte: dopo Napoleone, sua madre Maria Letizia Ramolino ebbe altri sei figli, e altre gravidanze che non portò a termine. Il giovane studiò in Francia in un’accademia militare, dove era spesso deriso per via delle sue origini italiane.

Nessuno avrebbe scommesso su di lui, ma Napoleone già da ragazzo sognava in grande: il suo modello era Giulio Cesare, di cui voleva ripetere le gesta. La carriera militare non sarebbe bastata a soddisfare le sue aspirazioni se non fosse sopraggiunto un evento destinato a cambiare il volto dell’Europa: la Rivoluzione francese.

La Rivoluzione nasceva da nobili ideali. Purtroppo, l’essere umano in sé incarna nobilità e crudeltà in egual misura, e quello che avrebbe dovuto portare una svolta alla Francia divenne il Terrore, un continuo bagno di sangue in cui innocenti e colpevoli, in egual misura, vennero giustiziati.

In mezzo al caos politico, sociale e militare, emerse la figura di Napoleone Bonaparte, la cui carriera dipese tutta dai suoi servigi posti al governo rivoluzionario, prima a Robespierre e poi al Comitato. Un uomo senza ideali, se non quelli di elevare se stesso e la sua famiglia ai più alti onori.

Napoleone era un parvenu venuto dal nulla. Un uomo che doveva tutto al caso e al talento: era stato nel posto giusto e nel momento storico giusto per diventare uno di quei grandi della Storia, al pari del suo mito Giulio Cesare, Augusto, Carlo Magno.

Per i suoi scopi, non esitò a tradire gli ideali della Rivoluzione che avrebbe dovuto rappresentare: Ugo Foscolo non gli perdonò mai il Trattato di Campoformio, che servì ad assicurare l’assetto dato da Napoleone alle regioni italiane, ma che pose fine all’indipendenza della Repubblica di Venezia; causò il colpo di Stato che portò alla sua nomina di primo Console; depredò i territori liberati dalle dinastie tiranniche dell’Ancien Régime.

Sognava di instaurare una dinastia che sarebbe durata secoli. I sogni però si scontrarono presto con la realtà.

Napoleone aveva troppi nemici. E commise l’errore di sottovalutare uno di loro, lo zar Alessandro I. La campagna in Russia fu un disastro che lo costrinse all’esilio la prima volta. Ma lo spirito non era domato, e per cento giorni, l’Europa tremò di nuovo, temendo il suo ritorno.

A Waterloo si decisero le sorti dell’Europa. Una battaglia che fu frenetica e dagli esiti incerti. Napoleone era sicuro di vincere. Non aveva fatto i conti col caso, che lo aveva tanto favorito negli anni, ma che nel momento decisivo, gli voltò le spalle: i rinforzi che sarebbero dovuti arrivare, guidati dal maresciallo Grouchy si persero mentre cercavano di inseguire i prussiani, e a ricevere i rinforzi furono i nemici inglesi. Napoleone perse per una strada sbagliata e un temporale.

Fu vera gloria?, si chiese Manzoni nella sua ode. La carriera di Napoleone fu sfolgorante, piena di vittorie e di successi. Cosa rimase alla fine? Quale fu la sua eredità, politica e spirituale? Manzoni non poteva giudicare la portata di un’esistenza come quella di Napoleone, non quando era un evento così vicino a lui. Qui il colpo di genio, ai posteri l’ardua sentenza.

Chissà cosa direbbe a vedere noi, i posteri, a discutere ancora di Napoleone come si faceva ai suoi tempi.