Dobbiamo decidere: vogliamo segmentare o vogliamo unire? Vogliamo praticare la guerra o la pace? Pare ormai evidente che l’unica forma evoluta di risoluzione dei conflitti sia rappresentata dalla pratica della pace e sia perseguita ed ottenuta unicamente attraverso la via diplomatica. La via diplomatica è in definitiva la via che antepone la risoluzione alla vittoria, la razionalità all’emotività pura, il buon senso all’ostinazione, l’avere pace all’avere ragione.

Assistere alle guerre da spettatori non è la stessa cosa che assistere da attori, ma è comunque in ogni caso una posizione, significa comunque giocare un ruolo. Chi fornisce le armi ma dichiara di volere la pace si chiama complice.

Queste non sono vie evolute per la risoluzione dei conflitti. Queste sono vie infantili, rappresentano modalità ostinate, più o meno velate di perbenismo, di prendere posizione a favore di una parte o di un’altra. O, peggio ancora, a favore di un’escalation dei conflitti al fine di ricavarne qualche forma di beneficio. La mente umana, quando si muove così, si muove secondo modalità non integrate, dove cioè le varie istanze della persona non riescono ad arrivare ad una soluzione di livello superiore, in grado di effettuare opera di mediazione tra istanze opposte, tra emozione e ragione, tra istinto di sopravvivenza individuale e sociale, tra rigidità e flessibilità.

I conflitti esistono, ma esiste anche il modo adulto di risolverli. Con la parola “adulto” o “infantile” non mi riferisco certo all’età anagrafica. Spesso i bambini dimostrano una capacità di mediazione, puntando ad un benessere gruppale o amicale che prevale sul tornaconto individuale. Spesso gli adulti antepongono interessi economici, soggettivi, personali, ostinazioni a prescindere da tutto, rispetto alla ragionevolezza. La modalità adulta è una forma mentis, una modalità di pensiero matura, frutto di crescita e di ragionamento.

Di fronte ai crimini verso l’umanità non possiamo più rimanere insensibili, fermi sulle posizioni iniziali, non possiamo più essere complici che si fingono inconsapevoli. Il crimine verso l’umanità è, se vogliamo, l’ultima frontiera dell’irrazionalità, dell’assurdo, della psicosi. E’ l’ultima spiaggia, forse l’ultimo monito perché si attivi la macchina diplomatica, perché le parti rinuncino agli interessi personali, perché prevalga il compromesso sull’ostinazione cieca e bieca.

Ho intitolato questo articolo con un riferimento esplicito ai luoghi di culto. Perché? Che cosa mai dovrebbe fare un luogo di culto?

Ebbene, io auspico la nascita di luoghi unici di culto, di luoghi cioè dove le persone possano incontrare e valorizzare la loro componente spirituale, religiosa o laica che sia, indipendentemente da tutto. Le religioni, tutte le religioni, come pure le pratiche di meditazione, sono l’espressione anche comunicativa di concetti elevati, di collegamenti con la spiritualità dell’uomo e del mondo, parlano in fondo la stessa lingua e valicano senza problemi ogni differenza data dal luogo in cui si ha avuto il destino di nascere, dal ceto sociale, dall’orientamento politico, dallo stato di appartenenza, dal confine entro il quale la persona decide, o le è toccato in sorte, di collocarsi.

“Non di solo pane vive l’uomo”. Noi siamo spirito, in nome di questo dobbiamo volere i luoghi unici di culto, perché il nostro spirito possa essere considerato e come tale unito.

La bieca miscellanea delle guerre e delle religioni è la cosa più aberrante e contraria ad ogni processo di pensiero sano si possa immaginare. La risposta a tale aberrazione è il luogo unico di culto, luogo in cui chiunque possa andare a riflettere, a meditare, a pregare con le modalità ed i pensieri che vuole. Il luogo unico di culto è uno schiaffo ad ogni divisione, è uno schiaffo ai confini, alle limitazioni, alle prevaricazioni, alle guerre. E’ un messaggio di opposizione ferma e fiera ad ogni ostinazione bellicosa, è un fiore in mezzo al nulla della ragione, è un segno di salute mentale.

Ecco il futuro dell’umanità: gli stati uniti del mondo e il luogo unico di culto.