Da qualche tempo, dopo pranzo, vado in studio e faccio esattamente quello che avrei fatto a casa, cioè, niente.
Immersa in cuscini, nell’accogliente futon costruisco ogni giorno la posizione più comoda per la lettura del quotidiano che a volte, dopo aver sentito al mattino, per radio, la selezione degli articoli, raddoppia. Nell’ultima pagina m’impegno con scarso successo nel sudoku e mi umilio nel tentativo di riempire almeno una casella del cruciverba - da tempo mi aggiro nei luoghi del pressappoco. Tolgo poi qualche cuscino e così distesa attendo che arrivi il sonno.

Mentre sto scrivendo penso che in realtà trascorro le mie giornate per più tempo distesa che in posizione verticale. Al mattino faccio ginnastica sul letto, in estate nuotando rimango sospesa tra l’acqua marina e l’aria, ma sempre in posizione orizzontale. E per due anni di seguito, nelle mie ultime Azioni, sul mosaico pavimentale “ L’albero della vita” di Mimmo Paladino, sono riuscita a far scendere a terra - questa sì che è è stata un’impresa epica - e lì stare, quaranta studenti del Liceo Classico “Dante Alighieri” e quest’anno quattro ragazz* bravissim* con la vocazione dell’eleganza e del disarmante abbandono dell’essere a contatto con la terra e a lei donarsi. La mia quindi è una passione che dall’esperienza quotidiana attraversa poi i luoghi del fare arte.

Ma anche le passioni hanno lunghe ombre nere; soprattutto quando capita, come capita a me, soffrire di depressione. Allora avviene un ribaltamento: ciò che ora è bile scintillava come cristallo, ciò che ora è melanconia brillava come un’alba… poi lo splendore dell’innocenza si oscurò… e gli occhi divennero ciechi. (Ildegarda di Bingen)

E da questo momento, nella violenza su me stessa, divento vittima e carnefice. Infatti, come tutti gli altri pomeriggi, so che mi sta precipitando addosso una depressione che tutto inquina. È dal mattino che si aggira attorno alla mia persona, la sento, ma reagisco. Mi muovo, esco, scrivo, d’estate nuoto, in primavera e in autunno vado in bicicletta e d’inverno faccio ginnastica. Si, al mattino reagisco, ma la depressione è paziente, lei sa che anche in questa giornata arriverà il primo pomeriggio. Potrei fare un scatto; alzarmi e riprendere a disegnare o a scrivere. No, no no no. Niente. Sono in attesa del supplizio quotidiano. Il mio corpo rimane lì steso immobile. Vengo avvolta da una tristezza mortale. Il desiderio di morte mi trascina nei luoghi dell’assenza. La depressione rende il mio corpo immobile legato da mille fili che m’impediscono qualsiasi movimento. E lì ancorata a terra vengo assalita dalla paura e in un nulla cupo precipito nella voragine del dolore.

Potrei fermarmi qui, ma come disse Suor Juana de la Cruz a Suor Filotea il silenzio è cosa negativa, anche se l’enfasi di non spiegare spiega molto, bisogna aggiungervi qualche breve commento affinché s’intenda quanto si desidera che il silenzio dica; altrimenti nulla dirà il silenzio, perché tale è il suo compito: non dire nulla.

Quindi dirò solamente che vengo colta da deliranti sensi di colpa perché mi è impossibile parlare, ma mi è ancora più insopportabile non ricordare. Oscillo quindi tra il supplizio della perdita della memoria e la disperazione che mi ha reso sempre impossibile la narrazione.

Memoria e narrazione stanno dentro di me in profondità insondabili per questa ragione non riesco a raccontare l’unica volta che il meglio per me e il meglio sulla terra hanno coinciso.
Con questo peso ormai insostenibile vivo come una mendicante aggrappata a casuali elemosine che nel mio caso si traducono nell’ostinazione al lavoro. Ecco. In realtà il mio lavoro è esclusivamente legato alla sopravvivenza.

Ma con l’avvento della vecchiaia i tempi si sono straniti e la mente quando rientra dai luoghi dell’assenza è in stato confusionale e per rimettere ordine faccio barchette. Faccio barchette di carta, poi esco in terrazzo e inizio a raccogliere montagne, alberi, campanili, torri, chiese, tramonti, lune. E lune, come questa qui, ora sopra la mia testa; il primo quarto che per via del cielo limpido è così carica di luce che mi lascia intravvedere quella che tra breve sarà. Ora sono pronta per riprendere in mano il mio lavoro, ma è tardi.

Devo ritornare a casa. Scendo a terra prendo la nuova bicicletta, l’altra ‘l’olandesina” me l’hanno rubata l’altro giorno, e mi pare e sento che anche oggi pomeriggio non ho combinato nulla.