Tre teste d’uovo assai controverse hanno contribuito in modi differenti a plasmare una nuova coscienza nella società di massa del tardo Novecento prima che internet cannibalizzasse opinioni e tendenze nel nuovo secolo. Sono il teorico tedesco della ragione negativa Herbert Marcuse (1898-1979), il sociologo canadese Marshall McLuhan (1911-1980), apostolo dello slogan: il medium è il messaggio, e lo scrittore-antropologo peruviano Carlos A. Castaneda (1925-1998), autore di rendiconti stranianti sul suo apprendistato tra gli sciamani del Nuovo Messico. Vale la pena documentarsi su come pensarono e quali reazioni suscitarono questi tre esponenti di punta di una vicenda intellettuale irreversibilmente alle spalle.

Herbert Marcuse (1898-1979)

“Maestro della controcultura”, “apostolo del caos” ma anche, nell’ottica sovietica “falso profeta” e “lupo mannaro” (!) è stato definito dalla stampa critica di mezzo mondo l’intellettuale tedesco che attraverso la contestazione e la lotta politica ha predisposto al salto oltre il confine del sistema in cui la cultura occidentale ha modellato se stessa soprattutto grazie a Marx, Nietzsche e Freud fino alla seconda metà del Novecento.

Nevralgicamente inserito nell’Università ma pronto a denunciare il carattere “senatoriale e servile” del discorso accademico, Herbert Marcuse ha contribuito a modellare la coscienza critica degli studenti in funzione di una strategia politica ed esistenziale, messa poi a confronto nel decennio successivo con l’altra fondamentale strategia del “risveglio” interiore propugnata per un verso dalle opere di Carlos Castaneda e per l’altro dalle tecniche sapienziali importate dall’Oriente asiatico. Marshall Mc Luhan, a sua volta, destò clamore su un piano diverso preconizzando la terza strategia, mediatica, che avrebbe presto conquistato il potere di un monopolio globale.

Herbert Marcuse nasce a Berlino nel 1898 da un’agiata e influente famiglia ebraica. Studia all’Augusta Gymnasium, e nelle università di Berlino e Friburgo, dove nel 1922 riceve magna cum laude il dottorato in filosofia. Membro per breve tempo di un Consiglio dei soldati, assiste a Berlino alla repressione della rivoluzione comunista. Nei dieci anni successivi si dedica alla ricerca, prima a Friburgo e poi, insieme a Max Orkheimer e Theodor W. Adorno presso l’Istituto di Ricerche Sociali di Francoforte. I suoi studi di sociologia sono influenzati in quegli anni dalle teorie marxiste e psicoanalitiche di Wilhelm Reich. Con l’assunzione al potere di Hitler nel 1933, ripara a Ginevra e l’anno dopo negli Stati Uniti, dove insegna fino al 1941 presso l’Institute for Social Researches della Columbia University, acquisendo nel 1940 la cittadinanza americana.

Nel periodo di massima tensione della contestazione studentesca, compie infaticabili tours in Europa legando il suo nome a quello degli esponenti più rappresentativi dello student power. L’allarme propagato dalla catena di giornali Copley sul probabile invito a Rudi Dutsche a studiare a San Diego, procura a Marcuse la sospensione del contratto d’insegnamento. Nel luglio 1968 minacce di morte lo costringono a una sparizione strategica. Una ridotta attività seminariale di «Teoria della società» lo vede ancora discretamente impegnato nel campus la Jolla negli ultimi dieci anni.

Erano noti il suo sobrio stile di vita, la passione per la musica classica, i sigari, gli animali e le lunghe passeggiate in riva all’oceano. Alto e canuto, ottimo parlatore in un inglese di marcato accento tedesco, piaceva agli studenti e perfino ai più perfidi columnists a caccia di difetti, ad alcuni dei quali appariva charming, even lovable!

Il mondo in cui si forma Marcuse è la Germania del primo dopoguerra in cui, crollato l’edificio guglielmino e il sogno riformistico socialdemocratico, nascono dappertutto i Consigli di soldati e operai ai quali va l’appoggio, la dedizione, la capacità organizzativa degli intellettuali anche vagamente marxisti e comunque legati agli estremi sviluppi della sinistra hegeliana.

È sullo sfondo di una sociologia corretta dalla dialettica hegeliana che i presupposti hegeliano-marxisti si incontrano con la psicanalisi di Freud. Questa forza dirompente si volgerà soprattutto contro il sistema delle comunicazioni di massa che in quegli anni stava diventando il tramite sempre più perfezionato della propaganda nazista.

Dopo il 1933 la Scuola di Francoforte emigra negli Stati Uniti, ma finita la guerra si ritrasferisce a Francoforte, e la violentissima condanna del sistema dell'industria culturale americana elaborata ormai con meticolosa conoscenza di causa da Horkheimer e Adorno, specie nella Dialettica dell'Illuminismo, che esce nel 1947 in Olanda, non viene quasi recepita negli USA per molti anni.

In Mass Culture, antologia fondamentale per gli studi sull'industria culturale, è contenuta la più fedele registrazione dei «valori» riconosciuti in quel periodo. Dwight Mc Donald ha una parte di rilievo non minore di Marcuse, e ad Adorno è attribuita un'importanza sicuramente superiore a Marcuse. Lo stesso valga per Günter Anders.

Nel suo primo scritto del 1928, Contributi per una fenomenologia del materialismo storico, Marcuse indica la linea di sintesi in cui possono a suo giudizio incontrarsi l'esistenzialismo heideggeriano e la prassi rivoluzionaria suggerita dal materialismo storico. Da un lato bisogna svolgere l'indagine nella direzione della scienza della natura, della storicità in generale, delle leggi del movimento e delle possibili forme di esistenza dell'esserci storico; dall'altro accentuare la comprensione del soggetto storico sia nella sua dimensione corporea che in quella della società: vero soggetto della storia è infatti, per Marcuse come per Lukács, la classe.

In Sulla filosofia concreta del 1929, il concetto di storicità è posto a fondamento di una metodologia delle scienze sociali, e per la prima volta nell'opera di Marcuse i fenomeni della tecnicizzazione e della spersonalizzazione sono analizzati come aspetti caratteristici della società industriale e principali responsabili dell'alienazione del singolo; in tal caso «la strada della rivolta industriale passa attraverso il cambiamento della società».

In Ragione e rivoluzione, la sua prima opera in inglese pubblicata nel 1941, un rilievo speciale è dato al concetto di «filosofia negativa». Il compito della ragione è negativo nel senso che essa dice no ad ogni tentativo di far coincidere il dover-essere con l'essere. In tal modo Marcuse prendeva posizione contro gli accenti positivistici della cultura statunitense sulla quale si era appena affacciato. E seguendo Freud sosteneva tuttavia che la civiltà è sublimazione, ossia soddisfazione differita, trionfo del principio di realtà sul principio del piacere.

Così formulata, la teoria critica della società repressiva imponeva quale unico rimedio efficace la postulazione di un nuovo rapporto tra istinti e ragione. Armonizzando la libertà istintuale e l'ordine, la morale civile viene rovesciata: liberati dalla tirannide della ragione repressiva, gli istinti tendono verso relazioni esistenziali libere e durature, e generano un principio di realtà nuovo. É il tema dominante di Eros e civiltà cui segue nel 1964 L’uomo a una dimensione, al centro del famoso dibattito nel 1967 alla Libera università di Berlino Ovest diretto da Jacob Taubes, con la partecipazione di Richard Löventhal, Alexander Schwan, Rudi Dutschke, Wolfgang Lefevre, Dieter Claessens, Peter Furth e Marguerite von Brentano. La registrazione dell'incontro fu successivamente pubblicata col titolo La fine dell'utopia. Oggi esistono tutte le forze materiali e intellettuali necessarie per realizzare una società libera - sosteneva Marcuse.

Il fatto che non vengano utilizzate è da ascrivere esclusivamente a una sorta di mobilitazione generale della società che resiste con ogni mezzo - tra cui la tolleranza repressiva - alla eventualità di una propria liberazione. Nel saggio sulla Tolleranza repressiva Marcuse inoltre osservava: «Libertà significa auto-determinazione e autonomia [...] Ma il soggetto di questa autonomia non è mai l'individuo contingente, privato, è piuttosto l'individuo come essere umano che è capace di vivere libero con gli altri. Il vero positivo è la società del futuro mentre il positivo esistente è ciò che deve essere superato. Esiste una verità obiettiva che può essere scoperta soltanto nella comprensione di ciò che è e che potrebbe e dovrebbe essere fatto al fine di migliorare la sorte dell'umanità [...]».

L'analisi della società opulenta nel Saggio sulla Liberazione (1969) metteva in luce l'esigenza di nuove categorie morali, politiche, estetiche, e di una rifondazione del concetto stesso di «biologia». Nel pensiero di Marcuse l'estetica, soprattutto nelle formulazioni più tarde, è l'unica dimensione in cui si ravvisa la possibilità di un distacco dal materialismo dialettico, soprattutto perché l'angustia di quella prospettiva, avvertita con chiarezza nelle inquietudini sempre più «private» e meno «politiche» delle masse giovanili dopo il 1968, aveva reso necessario apportare alcune modifiche a certe linee di fondo del sistema.

Nel capitolo IX di Eros e civiltà l'estetica era stata indagata alla luce dell’idealismo tedesco, soprattutto della Critica del giudizio di Kant e delle Lettere sull'educazione estetica dell'uomo di Schiller. Secondo Kant la percezione estetica non è una nozione ma essenzialmente un'intuizione. Ed è in virtù di questo suo intrinseco rapporto con la sensorialità che l’esperienza estetica assume una posizione centrale.

Nel proclamare l'imperativo dei sensi contro l'ordine della ragione, il progetto marcusiano di una vita estetica, veniva a espandere le potenzialità esperienziali dell’uomo a una dimensione senza invocare affatto una trascendenza ma una piena liberazione nella realtà civile e politica. Pertanto, citando Schiller, la cultura estetica presuppone «una rivoluzione totale del modo di concepire e di sentire», e una simile rivoluzione diventa possibile soltanto se la civiltà ha raggiunto la massima maturità fisica e intellettuale.

A proposito delle varie fasi e tendenze delle avanguardie, Marcuse osservava: «i disperati tentativi dell'artista di fare dell'arte una diretta espressione della vita, non riescono a colmare il distacco tra arte e vita. Esistono differenze sociali invalicabili tra la "fabbrica" di Andy Warhol, l'action painting e la vita reale circostante. La rinuncia alla forma estetica non colma il dislivello tra arte e vita, mentre annulla la differenza tra sostanza e apparenza in cui dimora la verità dell'arte determinandone il valore politico. L'arte non può cambiare il mondo ma può contribuire a mutare la coscienza e gli obiettivi degli uomini e delle donne che potrebbero cambiarlo».

Così Marcuse, in tarda età, rispetto alla posizioni iniziali che ne avevano fatto l’apostolo di una ‘controcultura’ fondata sulla ragione negativa, imboccava suo malgrado nella riflessione estetica quella «via d'uscita» dalla caverna su cui aveva aspramente polemizzato col filosofo americano Norman O. Brown, fino ad affermare: «la fuga nell'interiorità e l'insistenza sulla sfera privata possono rappresentare un valido baluardo contro una società che reifica tutte le dimensioni dell'esistenza, e offrire lo spazio interiore e intersoggettivo per una rivoluzione dell'esperienza, per l'avvento di un'altra realtà».

Nei deserti verso le sierras del Nuovo Messico dove il cielo e la terra sembrano congiungersi, l’avvento di una realtà totalmente altra capace non di far uscire dal mondo ma di farvi entrare più addentro, si faceva strada nel corpo, nella voce e nella mente di un apprendista stregone chiamato Carlos Araña Castaneda. Cambio radicale di scena nel tardo Novecento, la vicenda continua...

Ultima pubblicazione della scrittrice recentemente scomparsa.
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