“Vi assicuro che, pur con l’esperienza che ho dei più bei panorami d’Italia e d’altrove, non conosco nulla che si possa paragonare alla vista che si gode dalla torre e dal palazzo della Regina.” Così il poeta inglese Robert Browning ricorda la sua Asolo, patria d’elezione in una lettera del 1989.

Freya Stark sarebbe nata quattro anni dopo, e come lui farà del luogo una dimora stabile, lottando strenuamente perché si conservasse in tutta la sua bellezza paesaggistica, tanto che oggi può dirsi luogo letterario tra i più noti in Italia. Nel 1971 scriverà così di questo luogo consacrato dai giganti della letteratura, a partire dal Cinquecento con l’opera di Pietro Bembo Gli Asolani, sulla rivista Country Life: “Non potresti vedere altra cosa più bella di Asolo ora [...]. D’inverno, coperte di neve abbagliante, queste colline ci si avvicinano; ma in primavera assumono questo colore pallido e lontano, e diventano remote e intime come sogni. Nascondono il profilo merlato delle Dolomiti con una grazia vivente, quasi domestica, che si attorciglia sopra e intorno le loro profondità e precipizi come la vita stessa...”.

L’occasione del restauro del giardino di Freya Stark mi riporta, in questo settembre di sole e pioggia che fa fiorire gli ultimi arbusti, le salvie e le rose moderne, nell’entroterra Veneto dove Asolo su tante colline coltivate a vigneto guarda il Monte Grappa e il profilo a merli delle lontane Dolomiti, quasi delle antiche torri di avvistamento. Tutta la giornata è rivolta a lei poiché visito innanzitutto la mostra Vaghe stelle dell’orsa… Il viaggio sentimentale di Freya Stark, allestita nella Sala della Ragione del Museo Civico di Asolo, per poi proseguire a piedi fino alla Villa Freya e nel suo giardino, concludendo il percorso nel piccolo e romito cimitero di campagna che la accoglie accanto alla divina Eleonora Duse. Sembra che grazie alle Freyadi, il circolo di amiche ed estimatrici che l'hanno frequentata negli anni asolani, e alla sua assistente Anna Modugno, sia stato possibile ricostruire attraverso carnet di viaggio, schizzi, disegni, abiti come kaftani e burka, nonché oggetti personali, la vita avventurosa della viaggiatrice.

Nata a Parigi da madre tedesco-polacca di origini italiane, Flora, e da padre inglese, Freya vive durante l'infanzia prima in Inghilterra poi in Liguria, da dove proveniva la nonna, che sembra averla avvicinata al mondo della floricoltura, di cui la famiglia si occupava con un attività commerciale. Il padre, che lavora nel mondo della finanza, è il grande assente, per quanto non le faccia mai mancare nulla a livello economico e materiale. Freya, dopo gli studi al Bedford College di Londra e al London School of Oriental Studies, impara la lingua araba, tanta la sua propensione per il mondo levantino, e nel 1927 inizia il suo eterno viaggiare soprattutto in Medio Oriente. Siria, Libano, Iran, Iraq, Yemen e Arabia Saudita sono solo alcune delle sue mete, in un'epoca in cui alle donne era ancora precluso lo spostamento se non accompagnate. Oltre ad essere sconveniente, “le vere signore non viaggiano”, il viaggio da sole era scambiato per un oltraggio alla morale e al vivere secondo le regole di buon comportamento per una donna rispettabile.

Il trasferimento ad Asolo, dovuto alle attività in campo finanziario del padre, che apre una tessoria ad Asolo, avviene quando è ancora giovane. Il laboratorio asolano con gli antichi telai nasce nel 1840 e nei primi del Novecento viene gestito da Flora e Freya Stark, che riforniscono di sciarpe e borse la regina Elisabetta e arredano con tende e divani il palazzo reale di Buckingam Palace. Soprattutto durante il periodo natalizio la regina Elisabetta ordina stole e cravatte create con le preziose stoffe da poter regalare ai ministri e alle rispettive mogli, e in questo modo porterà la città di Asolo alla notorietà.

Sulla scorta di altre scrittrici inglesi di genere odeporico come Mary Montagu, di cui da poco sono state stampate delle lettere, Freya è annoverata tra le esploratrici e studiose della civiltà medio orientale fuori dagli schemi e dai paradigmi occidentali. Il suo spirito non è quello dell’osservatrice civilizzata alla ricerca di esotismi, fonte di ispirazione poetica e sentimentale, bensì quello di immedesimazione nello spirito del luogo e del pensiero degli abitanti a tal punto da viaggiare sola con mezzi di fortuna, a schiena d’asino, attraversando distese sterminate di territori desolati con guide locali ingaggiate di volta in volta. Non cerca il conforto di compagni di viaggio, né si mescola tra compagnie occidentali di espatriati, ma affronta da vicino realtà scomode, situazioni di civilizzazione imposta che stridono con le esigenze e le abitudini dei locali, mettendone in luce le contraddizioni. Per questo suo desiderio profondo di comprendere la vita e la gente di quei paesi, vuole fortemente imparare la lingua in cui pensa la gente. Desidera anche lei pensare nella stessa lingua per poter essere parte della comunità locale, da lì la sua ostinazione ad apprendere perfettamente l’arabo.

Sempre immortalata con un cappello che le copriva i segni di un incidente al viso e all’orecchio, subìto da piccola, Freya viaggia seguendo una stella – afferma in uno degli articoli sulla rivista The Spectator – l’orsa maggiore che illumina il suo cammino dal 1927 al 1993, anno della sua morte, conducendo una vita estremamente indipendente da esploratrice, fotografa, pittrice ma soprattutto scrittrice di saggi, racconti e romanzi riconosciuti dalla critica solo recentemente. E’ appena uscito l’ultimo libro sulle Lettere dalla Siria tradotte da Daria Angeli, il primo viaggio verso luoghi impervi e desertici nel lontano 1297, forse sulle orme di scrittori come T. E. Lawrence, con il suo Seven Pillars of Wisdom del 1912. Buona parte dei suoi reportage di viaggio sono ancora inediti o mai tradotti dall’inglese. Nonostante il nomadismo culturale e geografico non dimentica l’attaccamento alla sua patria d’elezione, l’Italia e Asolo, soprattutto l’affezione alla Villa e al giardino dove va a vivere con la madre e di cui diviene proprietaria nel 1941 grazie a una donazione del pittore e fotografo inglese Herbert Young (1854-1941) con cui inizialmente condivideva la dimora.

Il suo matrimonio con Stewart Perowne, diplomatico inglese, dura solo cinque anni, dal ‘47 al ‘52, e in quegli anni viaggia con lui in Libia e alle isole Barbados. Nel 1966 è così affranta dalla speculazione edilizia che aggredisce le valli limitrofe ad Asolo, da lasciare la sua amata Villa insidiata dai rumori del traffico cittadino, poiché da lì cominciava a scorgere l’avanzare del cemento e delle fabbriche ai piedi delle colline. Combatterà per tutta la vita battaglie contro l’onda di bruttezza che l’Italia chiama progresso. Asolo, dirà in un articolo sulla rivista Country life nel 1971, è una “ditta che tira”. Cercherà di ritornare nel 1973, quando ormai la Villa è stata venduta. Gli ultimi venti anni li trascorre ad Asolo in un'altra dimora nel versante opposto della città, in compagnia di Anna Modugno. La sua esistenza fu però funestata dall’accusa di spionaggio, per la quale verrà incarcerata a Treviso, e solo grazie all'amicizia influente di Marina Volpi, proprietaria di Villa Maser, sarà liberata. Nel 1964 le viene riconosciuta la cittadinanza onoraria, e anni dopo ospiterà nella sua dimora per un tè ufficiale la Regina Madre d’Inghilterra. Freya in Medio Oriente era stata al servizio del Ministero dell’Informazione d’Inghilterra mentre sosteneva la propaganda fra le popolazioni locali nella lotta contro il Nazismo e per la libertà e la fratellanza del popolo arabo.

Scendo verso Via Robert Browning e raggiungo il giardino di Villa Freya che oltre ad essere una terrazza aperta sul paesaggio contiene il parco archeologico della città, recentemente restaurato insieme al parco con i resti di un criptoportico e di un grande anfiteatro romano. Lo stile del giardino e della casa è molto sobrio, ma allo stesso tempo pieno di suggestioni poiché gli spazi sono suddivisi in stanze diverse che lo fanno apparire più ampio; dalle aiuole di aromatiche ed erbacee perenni nelle bordure miste di stampo inglese, alla pergola di vite di fronte alla casa, alla serra, ai grandi melograni; non manca una grande radura a prato che fa risaltare un leccio secolare, camminamenti in ghiaia e muretti di sostegno in ciottolato che esaltano una siepe di anemoni bianchi; prati fioriti naturali, il cui restauro ha riportato le quaranta specie presenti al tempo di Freya, rivestono le scarpate, che nei terrazzamenti portano piante da frutto miste a viti e agrumi come il Poncirus trifoliata che vegeta in un clima mitigato per l’esposizione riparata dai venti freddi. Non manca un boschetto di bambù, che protegge dagli sguardi dell’altra proprietà, la pergola di rose bianche, il viale con gli iris. Un giardino a cui Freya teneva molto per quanto fosse eternamente in giro per il mondo, essendo un rifugio dove forse aveva tempo di programmare nuovi progetti di viaggio, riordinare i taccuini, le memorie e le impressioni di vita. Non trascurò mai la città e la vita semplice quotidiana e le chiacchiere con la gente, che la ricorda ancora mentre passeggia nascosta da un cappello a larghe falde. Il viaggio le consentiva di lasciare alle spalle il passato, e lo riteneva un invito a liberare la mente dai pensieri ricorrenti, quotidiani.

La lascio ad Asolo nel suo bel giardino della rimembranza, il cimitero di Sant’Anna, in cima alla collina, in una tomba minimalista di pietra ruvida calda, insieme a Herbert Young, l’amico più caro. Non ci sono fiori, non c’è altro che la impreziosisce, se non un paesaggio che fa da sfondo necessario, a ricordare che ne fu una devota e incurabile estimatrice. A Freya sarà dedicata un esposizione permanente nel Museo Civico e resterà nella memoria al femminile di Asolo insieme a Caterina Cornaro ed Eleonora Duse.