Il mio incontro con la designer e architetto Elena Cutolo non è stato casuale, ci conoscevamo da tempo. Un giorno Elena mi ha invitato a casa sua, una volta entrata ho avuto la sensazione che qualcuno finalmente mi liberasse gli occhi bendati. In un attimo ho capito che davanti a me c’era una donna veramente straordinaria. Sono da sempre convinta che la casa rispecchi la personalità dei suoi abitanti, quella di Elena è tutta bianca, ma per niente minimalista, bensì molto carica di forme e colori. Mi trovo in un ambiente arredato con le sue creazioni: mobili, oggetti di design, disegni, modellini, appunti e schizzi, e ogni oggetto ha una propria storia. Abbiamo iniziato la nostra conversazione con un’introduzione, come se prima d’ora non ci fossimo mai conosciute.

Elena, mi racconti la tua storia?

Sono nata a Napoli nel 1966, timida, curiosa e piena di fantasia. Nel 1975 vedo in televisione un documentario in bianco e nero sulla villa Savoye di Le Corbusier e decido: “da grande farò l’architetto”. Nel 1985 mi iscrivo alla facoltà di Architettura di Napoli e nello stesso anno mi capita di sfogliare il libro Memphis e di scoprire il lavoro di Ettore Sottsass, e pensare: “sarebbe bello un giorno lavorare con lui”.

Incredibile, quindi il tuo sogno col passare del tempo si è avverato. Hai lavorato a fianco di Sottsass per parecchi anni. Che cosa ti ha dato questa esperienza?

Ogni tanto lui mi guardava entusiasta e mi diceva: ”Elena questo è il tuo lavoro, noi stiamo lavorando!”. Mi piaceva così tanto che mi sembrava di giocare: e ho capito che avrei voluto continuare a “giocare con il design” per tutta la vita. Sottsass mi ha indubbiamente influenzato. Il giorno in cui mi ha chiesto di lavorare al suo fianco, sono passata dalla sfera dell’architettura al design. Ettore mi ha consegnato gli strumenti che mi permettono di trasformare un’idea in realtà. Il tempo passato con lui nelle officine, nei laboratori, è stato fondamentale per il mio lavoro.

Adesso, passati alcuni anni dalla morte di Sottsass, senti che il suo stile sia ancora presente nei tuoi progetti?

Impossibile prescindere dalle esperienze passate. Se immagino qualcosa di nuovo ritornano i luoghi dove ho vissuto. Sono nata e cresciuta a Napoli, ho studiato a Barcellona, ho vissuto a Parigi e ora sono a Milano. In questi posti ho conosciuto delle persone diverse, ho vissuto vite diverse. Ho lavorato in situazioni diverse, sono passata dall’architettura all’urbanistica, dal design d’interni al design con Sottsass, e ho capito che era la cosa che mi piaceva più fare. Ettore Sottsass mi ha trasmesso soprattutto l’aspetto sensoriale del design: l’emozione prima della funzione.

Come avviene la creazione di un oggetto?

Ci sono tanti modi, ad esempio questa panca viene fuori da una piacevole serata trascorsa in un ristorante giapponese: dopo aver mangiato sushi, ho posato le bacchette sul piccolo piedistallo con forma leggermente concava che accompagna il cibo orientale e da lì è nato il progetto della panca. Cambio spesso tecniche di rappresentazione: disegno, schizzo, realizzo modellini. Quando facevo architettura, utilizzavo il tecnigrafo e la china, era tutto in bianco e nero, con Sottsass ho cominciato a disegnare a mano e a colori. Ora ho tantissimi quaderni dove faccio i miei schizzi e alcuni sono già diventati oggetti reali.

Qualche giorno fa c'è stato il Salone deI Mobile, che cosa hai presentato quest’anno?

Uno degli oggetti che presento è questo portafrutta. Si chiama OTTO + 4 coccodrilli, il suo nome e l’idea arrivano dal gioco dei bambini. L’ho fatto con una semplice rete metallica. Può essere piegato, così da diventare piatto e da essere facilmente trasportabile. Come appoggi ho utilizzato quattro morsetti elettrici che normalmente sono di due colori: rosso e nero. Mi servivano solo rossi, l’elettricista ha cercato inutilmente di convincermi a comprarne anche di neri. E’ un’idea semplicissima che mi è venuta in mente all'improvviso.

Vedo una forma che somiglia a un “tempio” buddista. E’ un altro progetto che hai presentato al Salone?

Milano Makers ha presentato la mostra Ceramics, Food and Design a cura di Maria Christina Hamel per la seconda edizione di Sharing Design alla Fabbrica del Vapore. A questo progetto hanno partecipato 10 designer donne e 10 uomini, fra i quali Denis Santachiara, Marco Ferreri, Sergio Calatroni e Elena Salmistraro. Ognuno ha progettato una ceramica realizzata dai Maestri artigiani di Faenza: un porta-alimenti con dimensioni massima 40x40x40. Per la mia ceramica Jaisalmer sono partita dal ricordo di quelle bellissime scatole di legno che gli indiani usano per conservare le ceneri degli antenati, ed è nata questa forma creata da 4 piatti da portata sovrapposti e capovolti. Un altro riferimento era il palazzo reale di Jaisalmer, pieno di specchi piccoli e grandi. La ceramica smaltata ha l’effetto del vetro, ho voluto creare questi piccoli specchietti d’oro, che richiedono una terza cottura, anche se viene a costare di più. In fiera è stata presentata anche la sedia Salvador in alluminio, prodotta dall’Azienda Altreforme, omaggio a Salvador Dalì, che fa parte della collezione festa-mobile parigi anni venti, dedicata alla mia amata Parigi e ai tanti artisti che lì hanno vissuto negli anni Venti.

Qual è stato il tuo primo progetto in assoluto?

A sei anni la casa duplex per la mia Barbie creata ribaltando il piano del mio letto a scomparsa. I mobili e la loro distribuzione variavano di volta in volta, erano gli oggetti che mi circondavano: libri, cubi, cestini. Finita la casa era finito e mai iniziato il mio gioco con la Barbie.

Come definisci il tuo stile di design?

Primitivo, libero, non coerente, emotivo.