Viviamo nell’era urbana. La maggior parte della popolazione mondiale ha ormai lasciato i contesti rurali per trasferirsi nelle città che hanno conseguentemente assunto un ruolo sempre più centrale nei processi decisionali di maggiore rilievo della società, dalla politica all’economia. Se il 2007 ha segnato un punto di svolta, per la prima volta nella storia dell’umanità la popolazione nelle città ha superato quella nelle campagne, i prossimi trent’anni potrebbero veder crescere ulteriormente questo andamento con il 70% della popolazione residente in contesti urbani.

Nonostante la loro estensione sia limitata al 2% dell’intera superficie terrestre, le città sono al contempo responsabili per il 70% delle emissioni di CO2, e quindi direttamente coinvolte nel dibatto internazionale sullo sviluppo sostenibile, oltre ad essere dei “giganti economici” che producono più della metà del PIL globale. Pertanto si discute molto sulle città, sulla loro gestione e soprattutto sulla loro riconfigurazione spaziale alla luce delle mutate condizioni al contorno, ma lo si fa spesso utilizzando degli assunti che non rispecchiano appieno la realtà delle cose. Città, regioni e intere nazioni continuano ad essere identificate dai loro confini istituzionali non prestando sufficiente attenzione alle dinamiche dell’epoca globale caratterizzata da relazioni economiche, strategie statuali e rapporti sociali che non seguono i limiti “convenzionali”.

Un importante spunto di riflessione su questi temi arriva dal sociologo Neil Brenner, professore di Teoria Urbana presso l’Università di Harvard, che focalizza il suo lavoro sulle dinamiche inerenti la ricomposizione spaziale nel mondo globalizzato. In particolare, Brenner contesta l’immagine canonica che si ha delle città, ovvero di agglomerati urbani circoscritti, nella misura in questo porta a distinguere in maniera netta gli spazi interni (urbani) da quelli esterni (rurali). Superando la visione contrapposta fra urbano e rurale, fra dentro e fuori, si arriva a considerare un contesto più variegato che deriva del mondo capitalista dove “i centri di agglomerazione e i loro paesaggi operazionali sono legati l’uno con l’altro secondo modalità mutualmente trasformative, essendo al tempo stesso co-articolate in un sistema capitalistico mondiale” (Brenner).

Quindi la città non esisterebbe più come unico fulcro della civiltà umana, come motore economico e centro indiscusso della vita politica. I paesaggi operazionali, nelle loro mutue trasformazioni con gli agglomerati, ottengono da Brenner una sorta di riscatto rispetto al ruolo di second’ordine che gli viene tradizionalmente attribuito. Se è vero che i contesti urbani si sono arricchiti appropriandosi delle risorse, le dinamiche di potere asimmetrico che si sono create nel tempo vengono ora messe in discussione attraverso una diversa visione dei confini urbani che ne ridefiniscono lo spazio.

Nell’era della globalizzazione, i processi di sviluppo ed estensione del capitalismo producono condizioni urbane diverse che si estendono al di là dei confini cittadini in senso stretto. Nel momento in cui ciò che prima era considerato non-urbano viene inglobato nei processi di urbanizzazione è evidente che il significato di urbano necessiti di una nuova definizione teorica con un riscontro anche nella pratica. Se consideriamo, ad esempio, alcune grandi città famose in tutto il mondo come New York, Londra oppure Shanghai, notiamo come le loro relazioni spaziali non siano di fatto contenute entro i confini cittadini. Dalle catene di produzione a quelle del consumo, dai circuiti di infrastrutture ai processi migratori, è facile constatare come il bacino spaziale si estenda a livello planetario.

Interpretando quindi i processi urbani sotto una luce diversa, considerando la reciproca influenza fra gli agglomerati e i loro paesaggi funzionali, è possibile contrastare l’approccio dominante che centralizza le città perpetuando lo sfruttamento del territorio, attraverso l’estrazione ad esempio, ad uso e consumo dei flussi economici e produttivi che arricchiscono le grandi urbanizzazioni, ma che nel corso del tempo hanno alterato in modo permanente il clima della terra. In questo modo, quindi, verrebbe completamente rivisto il ruolo delle città sia come emettitori di CO2 nell’aria che come produttori di PIL.

Questo nuovo approccio teorico che mette in discussione la distinzione fra urbano e non-urbano, rivedendo la superiorità del primo sul secondo, può diventare la chiave di lettura che governa numerosi ambiti operativi quali quello della pianificazione e della sua normativa di riferimento. Le scelte progettuali in ambito urbano andranno analizzate e confrontate con problematiche a scala più ampia dove convergono non solo territorialità fisicamente più estese ma ambiti operativi più numerosi che spaziano dalle tematiche sociali a quelle ambientali con l’intento di sopperire alle mancanze in termini di tutela ambientale o inclusione sociale che negli anni sta accrescendo l’ormai noto fenomeno della gentrificazione.