Nella Roma antica troviamo complessivamente undici acquedotti che a partire dall’anno 441 dalla fondazione della città, come ricorda Tito Livio nel IX libro della sua colossale raccolta Ab Urbe condita, portava nell’Urbe un quantitativo di acqua tale da trasformare la città nella Regina Aquarum.

L’imponenza, l’eccezionalità architettonica e tecnologica degli acquedotti e più in generale dei complessi idrici realizzati dai Romani sono descritte da Plinio il Vecchio nei libri XXXI e XXXII della Naturalis Historia: “Chi vorrà considerare con attenzione la quantità delle acque di uso pubblico per le terme, le piscine, le fontane le case, i giardini suburbani, le ville; la distanza da cui l’acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso”.

L’edificazione di un numero così elevato di acquedotti è stata possibile anche dalle caratteristiche geomorfologiche del territorio circostante la città che favoriva la costante e adeguata pendenza dei condotti sino a Porta Maggiore, dove le acque confluivano per poi essere distribuite capillarmente nelle varie Regioni dell’Urbe.

Si pensi che la sola zona sud-est, oggi chiamata Parco degli Acquedotti, è attraversata da sei acquedotti di epoca classica (Anio Vetus, Marcio, Tepula, Iulia, Claudio, Anio Novus), databili tra il III sec. a.C. e il I sec. d. C., oltre a uno di epoca Rinascimentale (Acquedotto Felice). Quest’area è inoltre percorsa da un canale a cielo aperto, il fosso dell’Acqua Mariana, realizzato nel 1122 da papa Callisto II, e vi si trova ancora la vasta villa di epoca romana di proprietà di Quinto Servilio Pudente, detta “delle Vignacce”, il Casale medievale detto di “Roma Vecchia”, un tratto della via Latina, resti di sepolcri, torri, ville e la chiesa moderna di San Policarpo.

Molte zone limitrofe alla città rimangono ancora oggi un suggestivo frammento della Campagna Romana che in antico collegava i Colli Albani all’Urbe, caratterizzato essenzialmente dalla presenza di maestose e svettanti arcate, che Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) nel suo libro Viaggio in Italia definisce “una successione di archi di trionfo”, che hanno esercitato un forte richiamo e fascino negli artisti e viaggiatori del Sei-Sette-Ottocento che arrivavano in Italia, riconosciuta a buon diritto la culla della cultura europea, per effettuare il Grand Tour, nonché, a partire dalla metà del XIX secolo, negli esponenti della nascente arte fotografica quali Giacomo Caneva, Robert Macpherson, James Anderson.

Gli undici acquedotti romani

Aqua Appia (Acquedotto Appio)

Fu condotta a Roma per volontà dei censori Appio Claudio Cieco e C. Plauzio Venox nel 312 a.C. e veniva distribuita nelle zone del Foro Romano, Circo Massimo, Terme di Caracalla, Trastevere, Campo Marzio. L’acquedotto Appio non era gigantesco, essendo lungo solo 16.538 m, e aveva origine a pochi chilometri da Roma nella zona tra via Prenestina e via Collatina immediatamente ad occidente del Fosso di Nona. Oggi le sue vestigia sono totalmente scomparse.

Anio Vetus (Acquedotto Aniene Vecchio)

Frontino nel suo libro “De Aquae ductu” pone la data di inizio dell’edificazione dell’Aniene Vecchio nell’anno 481 di Roma (272 a.C.). L’Anio Vetus fu pagato con i proventi del bottino della guerra vinta contro Taranto e Pirro, fu inaugurato nel 269 e quindi realizzato in soli tre anni, prendeva origine dal fiume Aniene, tra Mandela e Vicovaro. Passando presso Tivoli, l’Anio Vetus deviava verso sud e raggiungeva la via Prenestina. Ancora oggi in questo tratto di percorso si possono vedere il ponte della Mola di San Gregorio e il Ponte Lupo. L’acqua a causa delle caratteristiche idrologiche del fiume, non giungeva in città sempre limpida; nonostante questo era distribuita in quasi tutte le Regioni di Roma.

Aqua Marcia (Acquedotto Marcio)

Nel 144 a.C. la popolazione di Roma era notevolmente aumentata, tanto da passare, da 370.000 abitanti nel 272 a.C. a 450.000 abitanti nel 144 a.C. Prescindendo dalle difficoltà di censire la popolazione di Roma antica, pur se le cifre riportate devono essere considerate indicative, in questa ultima data è certo che il Senato decise di restaurare gli acquedotti dell’Appia e dell’Aniene Vecchio, oltre che di dotare la città di una nuova acqua: la Marcia.

Costruito dal pretore urbano Quinto Marcio Re nel 144 a.C., portava in città l’acqua proveniente dall’alto bacino dell’Aniene, tra Arsoli e Agosta. Non attingeva acqua direttamente dal fiume, bensì da sorgenti di ottima qualità che per la loro purezza furono sempre vantate come il massimo desiderabile, tanto che Plinio il Vecchio ritiene la Marcia “la più famosa di tutte le acque del mondo per freschezza e salubrità”, definendola “la gloria della città di Roma” e celebrandola come “un dono fatto all’Urbe dagli déi”. Il suo percorso era di 91 chilometri, di cui 80 sotterranei e 11 all’aperto. La portata dell’acquedotto era gigantesca, seconda per quantità di tutti gli acquedotti dell’antica Roma: alle sorgenti misurava 4.690 quinarie. Un’opera così imponente richiese quattro anni di lavoro con una spesa considerevole di 180 milioni di sesterzi.

Nel 1585 appena eletto pontefice Sisto V (Felice Peretti, 1585-1590) commissionò la realizzazione di un nuovo acquedotto che porta il suo nome (Acquedotto Felice) che, per velocizzare i tempi di costruzione, fu realizzato con materiali eterogenei spesso di riutilizzo, innestandosi in parte sulle fondazioni dell’acquedotto Marcio, di cui segue il percorso a partire da Roma Vecchia.

Aqua Tepula (Acquedotto della Tepula)

Il quarto acquedotto romano fu realizzato nel 126 a.C. Il nome gli derivò dalla temperatura “tiepida” (in inverno circa 18 gradi) dell’acqua che scaturiva da sorgenti situate nella zona vulcanica dei Colli Albani, più precisamente vicino Tusculum, identificate con quelle attualmente denominate delle Pantanelle e dell’Acqua Preziosa. Il percorso dell’acquedotto era parzialmente comune a quello della Marcia e aveva una lunghezza di poco inferiore ai 18 chilometri, dei quali 9,580 sulle arcuazioni della stessa Marcia. La portata giornaliera era una delle più basse, 445 quinarie.

Aqua Iulia (Acquedotto Giulio)

Prese il nome dalla Gens Iulia, in onore di Augusto, peraltro non ancora insignito di questo titolo, e fatto realizzare nel 33 a.C. da Agrippa attingendo l’acqua nel territorio tuscolano identificato presso il ponte degli Squarciarelli a Grottaferrata. Il percorso era di poco inferiore ai Km 23 dei quali quasi Km 11 in superficie, la portata era di 1.206 quinarie. Il condotto correva unito a quello della Tepula in un cunicolo sotterraneo e fino alla piscina limaria nella zona odierna delle Capannelle. Da qui, diviso da quello della Tepula, secondo le proporzioni precedenti, proseguiva sopra le arcuazioni dell’Acqua Marcia. Nell’area dell’attuale Parco degli Acquedotti si conservano ancora brevi tratti superstiti che denunciano i tre canali sovrapposti: in alto quello della Giulia, al centro quello della Tepula, in basso quello della Marcia. La Giulia è acqua ottima, leggera, lievemente frizzante, di sapore squisito, le cui polle raggiungono la temperatura di 10-11 gradi.

Aqua Virgo (Acquedotto Vergine)

L’acqua Vergine entrò per la prima volta in Roma il 19 giugno del 19 a.C., festa delle Vestalia ad Janum. L’acquedotto, voluto da Agrippa, è in uso ancora oggi, e salvo lievi variazioni segue il percorso medesimo. Le sorgenti sono identificate nell’area che apparteneva all’agro luculliano, corrispondente alla moderna tenuta di Salone.

Aqua Alsietina (Acquedotto Alsietino)

Per realizzare la sua grande naumachia in Trastevere, nel 2 a.C., Augusto fece condurre a Roma l’acqua Alsietina che captava acqua dal lago Alsietino (oggi Martignano), non lontano dal più grande lago Sabatino (oggi Bracciano), a m 207 s.l.m. La sua portata ammontava a 392 quinarie e la sua acqua aveva pessime caratteristiche organolettiche tanto da essere utilizzata in alternativa per l’irrigazione dei giardini.

Aqua Claudia (Acquedotto Claudio)

L’ottavo e più imponente degli acquedotti di Roma, definito da Frontino magneficentissimus, venne iniziato da Caligola nel 38 d.C. e ultimato da Claudio nel 52. Prende il nome da quest’ultimo imperatore che l’aveva realizzato ad un costo altissimo, 350 milioni di sesterzi insieme a quello dell’Anio Novus, secondo Plinio il Vecchio, dovuto all’imponenza dell’impresa, all’aumentato costo di tecnologie più evolute, al maggiore utilizzo di maestranze e operai liberi.

Le sorgenti principali, indicate coi nomi di “Cerulea” (cosiddetta per la trasparenza azzurra, come la definisce Frontino) e “Curzia”, forniva acqua pregiata. Esse si localizzano nell’alta valle dell’Aniene e raggiungevano l’Urbe dopo un percorso di circa 69 chilometri, secondo l’iscrizione scolpita sull’attico di Porta Maggiore commemorativa dell’edificazione. La portata giornaliera del Claudio era di 4.607 quinarie, nell’odierna Capannelle usciva all’aperto su arcuazioni sempre più alte, fino a m 27,40: si tratta degli archi che da due millenni caratterizzano il paesaggio della campagna romana, a Sud della città, universalmente celebri.

Anio Novus (Aniene Nuovo)

Anche l’Anio Novus, fu captato dal fiume Aniene; ebbe l’appellativo di “nuovo” per non ingenerare confusione con il precedente, da quel momento denominato Anio Vetus. Frontino afferma che fu portato nell’Urbe insieme alla Claudia e fu inaugurato il 1 agosto del 52 d.C., genetliaco di Claudio. L’ìncile e la piscina limaria dell’Anio si trovava dopo Agosta nel tratto di fiume presso la Madonna della Pace alla quota di circa m 340 s.l.m. A causa delle caratteristiche idrologiche del fiume, l’acqua giungeva in città limosa e torbida, per questo l’imperatore Traiano avanzò l’ìncile di una decina di chilometri sino ad uno dei tre laghetti voluti da Nerone ad ornamento della sua sontuosa villa presso Subiaco.

Aqua Traiana

L’acquedotto Traiano (poi Paolo) è uno degli acquedotti ripristinati nel Cinquecento. Vari sorgenti lo rifornivano sul lato occidentale del lago di Bracciano.

Aqua Alexandrina

Prende il nome dall’imperatore Severo Alessandro (222-235), che ne commissionò la realizzazione. Le sorgenti si trovavano un miglio circa a sud del quattordicesimo miglio della via Prenestina, in una zona vulcanica, sotto il colle di Sassobello, a nord della fattoria chiamata Pallavicina.