Il luogo: un’acropoli naturalistica disposta in posizione dominante lungo le anse sinuose della strada che collega Ceccano con Pofi. L’oggetto: un vecchio casino di campagna edificato all’inizio del Settecento dalla famiglia Colonna e crollato quasi interamente per fatiscenza verso la fine del Novecento. Un contesto ideale per scegliere di costruire nel costruito, evitando di consumare ulteriore suolo ed evitando di cancellare un reperto del passato.

Da qui le ragioni per cui il progetto di Villa Micheli (commissionato da Mario Micheli e firmato nel 2006 dallo studio HOF), rigettando la riproposizione filologica e perseguendo la salvaguardia del lussureggiante quadro naturale circostante (qualificato da imponenti pini mediterranei e da cedri di alto fusto), si è ispirato alla sensibilità inclusivista espressa da Piero Bottoni nel restauro di villa Muggia a Imola e ha praticato una sorta di anastilosi creativa che evoca la voglia, tutta italiana, di abitare la storia. Ovvero ha assunto come velario il fronte principale (unica struttura originale residua), restaurandolo e configurandolo in guisa di belvedere panoramico, e ha introdotto un corpo edilizio stereometrico di pari ingombro, ma contrassegnato da un linguaggio espressivo schiettamente contemporaneo.

Laddove la terrazza di copertura, recuperando la suggestione moderna della tolda navale, è suggellata da un’altana sormontata da due lucernari ed è rivestita con un involucro di lamiera metallica di rame stagnato la cui innovatività fronteggia, tanto fisicamente quanto idealmente, la vetustà della facciata settecentesca. La centrale termica, denunciata all’esterno da una canna fumaria di forma troncoconica, e la cantina, disegnata rispettando puntualmente le raccomandazioni di Andrea Palladio, sono ipogee. Mentre le superfici murarie esterne dell’edificio sono rifinite con intonaco tinteggiato (di colore colore candido nel caso della facciata preesistente e di colore grigio nel caso del nuovo corpo edilizio), a differenza di quelle dell’altana sommitale, che sono rivestite con pannelli di lamiera di rame stagnato.

Ma soprattutto l’antinomia vecchio/nuovo che contrassegna la villa ciociara è amplificata sia dal contrasto tra il carattere scintillante della lamiera di acciaio inox (con cui sono state realizzate la scala elicoidale e le canne fumarie) e il carattere opaco delle pavimentazioni esterne (realizzate parte in pietra basaltina e parte in listelli di legno) sia dall’inafferrabilità del ballatoio che divide (ma al contempo unisce) la facciata del XVIII secolo dalla facciata del XXI secolo. E da cui si gode una vista sui monti Ausoni a dir poco struggente. Un sentimento che peraltro non è certo estraneo all’architettura. Perché “la costruzione – come ci ha insegnato Le Corbusier – è per tener su: l’architettura è per commuovere”!