Nel 2007, Andrea Camilleri pubblica Maruzza Musumeci, storia fantastica di una sirena che sposa un contadino. Camilleri confessa in appendice: “Mi sono voluto riraccontare una favola. Perché, in parte, la storia del viddrano che si maritò con una sirena me l’aveva già narrata, quand’ero bambino, Minicu, il più fantasioso dei contadini che travagliavano nella terra di mio nonno”. Costruisce così sulla base di una leggenda popolare un romanzo avvincente, un po’ magico e sognante, scritto come di consueto con quel lessico siciliano che i suoi appassionati lettori affrontano senza alcuna difficoltà, avendo ormai imparato, tra l’altro, che il viddrano è il contadino, taliare significa guadare, acchianare è l’atto di salire a un piano, scantarsi vuol dire avere paura e la catananna è la bisnonna.

La protagonista Maruzza, è una meravigliosa creatura che ha un legame intensissimo con il mare, tanto che aleggia il sospetto che sia discendente di una mitica famiglia di sirene. La stupenda voce, la melodiosità del suo canto, e il fatto che le canzoni raccontino di accadimenti antichi e di magie marine, di cui nessuno ha memoria, accentua questo sospetto. Per di più Maruzza e la bisnonna, la catananna, parlando tra loro, si esprimono, per chissà quale arcano potere, in greco antico.

La vicenda è ambientata tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento in Sicilia, nell’immaginaria località di Ninfa, non lontano dalla ormai famosissima Vigata dove Camilleri ha ambientato la maggior parte delle sue storie, comprese quelle del commissario Montalbano.

Gnazio Manisco è un emigrante che torna dall’America con un bel gruzzoletto di dollari ottenuti dall’assicurazione per un infortunio sul lavoro, una caduta da un albero, che lo ha reso claudicante. Non è più giovanissimo, ha quarantacinque anni, ma si sente ancora pieno di energie. La cofanata di dollari ottenuti dall’assicurazione gli consente di comprare un pezzo di terra finalmente tutto suo in contrada Ninfa, nonostante il posto sia vicinissimo al mare che lui ha sempre odiato e del quale ha sempre avuto paura. È uomo di fatica, un po’ rozzo e sbrigativo, ma sveglio, intelligente e operoso, per nulla ostacolato dalla zuppia della gamba. Pratico e concreto com’è, non ha dato peso alle voci che dicono che Ninfa sia una località assai strana, che non è solo vicina al mare, ma addirittura galleggiante sopra il mare.

Deve costruirsi una casa e decide di metterla su nel modo più semplice ed essenziale possibile: un cubo di tre metri per tre con una porta e una piccola finestra accanto alla porta: lo stretto indispensabile per vivere al coperto sotto un tetto, mangiare e dormire. In quei tre metri quadrati ha tutto quello che gli serve.

Sposa poi Maruzza, che è assai più giovane di lui. Prima di maritarsi, però, amplia la casa e non trova niente di più naturale che costruire un altro cubo di mattoni da porre sopra al primo modulo, mettendo una scala interna di comunicazione tra l’uno e l’altro.

Poi i tre figli. E via via che arrivano, essendo stretta la camera da letto del cubo superiore, Gnazio aggiunge di lato a quello inferiore altri moduli abitativi sempre di tre metri per tre, inglobando tra essi anche lo spazio per gli animali e per la cisterna d’acqua. Tutte le aperture, porte o finestre, sono sempre da lato terra per la sua costante avversione per il mare, pur avendo per moglie una donna che del mare e col mare ama vivere.

Un giorno di maggio del 1908 – la data ha una sua importanza per quello che Camilleri racconta - giunge a Ninfa un forestiero armato di fogli e matita e di una vistosa macchina fotografica. Dice di chiamarsi Lyonel e di essere un americano trapiantato in Germania, ad Amburgo. Il miricano è accolto da Gnazio e dai suoi con l’ospitalità che è propria di gente semplice e alla buona. Lyonel resta subito ammirato del modo in cui è costruita l’abitazione di Gnazio, utilizzando un modulo cubico di tre metri per tre e la distanza tra un blocco e l’altro che è sempre un multiplo di tre.

Irresistibile il dialogare tra i due: l’uno coltissimo e raffinato, l’altro intelligente ma primitivo. “Continuaro a parlari in miricano – scrive Camilleri – il miricano in miricano bono, Gnazio in miricano bastardo”. Lyonel nota le proporzioni della costruzione e la razionalità con la quale è realizzata e gli chiede se abbia studiato architettura, parola del tutto sconosciuta a Gnazio, per cui è costretto a spiegargli che gli architetti sono quelli che progettano e costruiscono le case.

Quando vuol sapere a quali libri ha fatto ricorso per organizzare in quel modo la sua abitazione, si sente rispondere con grande naturalezza, col sorriso sulle labbra e col tono di chi sottolinea l’assurdità della domanda, che le case non si costruiscono mica con i libri, ma con i mattoni. Alla domanda: “Chi ve l’ha disegnata?”, il semplice contadino pensa che il suo interlocutore abbia detto una grande minchiata, non sapendosi spiegare come si possa pensare di poter “bitari dintra a un disegno”. L’Americano gli chiede allora se può disegnare e fotografare la casa ottenendone, con molta semplicità, il permesso. La giornata trascorre serena e piacevole; si mangia tutti insieme e Lyonel fa anche una caricatura del suo ospite della quale tutti ridono di cuore.

Qualche tempo dopo, un allarme! Una mattina di febbraio del 1921 Gnazio è a Vigata, si sente chiamare dall’impiegato delle poste che gli consegna una lettera. È la prima volta che gli succede. Apre la busta con molta apprensione. Chi sarà mai a scrivergli? Che vorranno da lui?

Ma è un allarme infondato. Si tratta di una foto che raffigura una casa che somiglia assà a quella so e un biglietto scritto in miricano. “Caro signor Manisco – è tra l’altro scritto nella lettera- sono Lyonel Feininger, quell’americano che nel maggio del 1908 ebbe la fortuna d’incontrarla, di fotografare e disegnare la sua casa. Alcuni anni dopo che ero tornato in Germania, un mio amico architetto (uno di quelli che fabbricano le case, si ricorda?) che si chiama Walter Gropius vide per caso le fotografie e i disegni della sua casa. Ne fu talmente interessato che volle che glieli regalassi. Da allora li ha studiati a lungo e il risultato è questa casa della quale allego la fotografia. È stato Gropius a volere che le scrivessi per ringraziarla”.

Geniale e fantasiosa trovata, forse un po’ irriverente, ma non priva di suggestione, quella di immaginare che il razionalismo di Gropius possa essere nato dallo studio di una casa fatta da un contadino, digiuno di letture e di studi, che ride all’idea della minchiata di una casa disegnata entro la quale abitare e del fatto che qualcuno possa avere la folle idea di costruire una casa con i libri. Altrettanto geniale, e paradossale, l’idea del ringraziamento del coltissimo Gropius al semplicissimo Gnazio.

Gnazio legge e si ricorda dell’americano che gli aveva fatto la caricatura, e strappa sia la foto che la lettera; non gli servirebbe a nulla conservare quella lettera e la foto che gli avevano fatto prendere tanta paura: uno scanto della malavita.

“La storia della casa che ispirò Walter Gropius – confessa candidamente Camilleri – me la sono inventata io”. Così come si è inventata l’escursione di Feininger nell’immaginaria località di Ninfa. Invenzioni, potremmo dire, un po’ maliziose, perché l’anno della visita a Ninfa, cui l’immaginaria lettera dell’americano si rifà, è il 1908. L’anno dopo, il 1909, Walter Gropius fonda a Weimar la scuola del Bauhaus. Bauhaus di cui il miricano Feininger fa parte, insieme agli altri fuoriclasse che Walter Gropius riesce a raccogliere intorno alla scuola, come Kandinskij, Klee, Schlemmer, Moholy Nagy, Mies van der Rohe, giusto cento anni fa.

È del 1909 il Programma del Bauhaus stilato da Gropius nel quale vengono sintetizzate le linee guida della scuola che tendono a saldare la frattura tra progettazione e produzione industriale e in architettura ad accentuare l’elemento costruttivo e il rigoroso rispetto delle regole della stereometria.

A leggere le pagine del romanzo dedicate alla cura con la quale Gnazio organizza gli ampliamenti della sua casa, per fare spazio alla famiglia che va crescendo e ai suoi bisogni, seguendo solo il suo istinto, sembra che, con la semplicità logica del contadino, metta in atto proprio quelle regole costruttive affermate dal Bauhaus, che hanno avuto profondissima influenza sull’architettura e le culture artistiche dell’avanguardia tra le due guerre mondiali.

E il sospetto che a un certo momento viene al lettore, che possa esistere davvero una casa di campagna simile a quella di Gnazio, vista da Camilleri in una località rivierasca della Sicilia e che sia stata in qualche modo di ispirazione, è fugato sul finale. Morto Gnazio e tornata Maruzza a Vigata dove abitava la sua catananna, la casa costruita con tanta cura e tanto raziocinio a Ninfa, è rasa al suolo da un bombardamento degli alleati.

Una lettura, quella di Maruzza Musumeci, appassionante con un finale magico e fantasioso, che varrebbe peraltro la pena di rifare quest’anno, perché no, in occasione del centenario della nascita del Bauhaus. Chissà, nell’immaginazione di Camilleri, quale delle realizzazioni di Gropius è ritratta nella fotografia spedita, come gli piace inventarsi, a Gnazio dal suo Lyonel dopo la gita a Ninfa. Gli si potrebbe chiedere.