“Non si può pensare all’architettura […] se non come una continua evocazione” (Arduino Cantafora, 1999).

Le parole scritte da Arduino Cantafora nel 1999 come commento all’opera di Aldo Rossi descrivono efficacemente il rapporto tra memoria e contemporaneità che caratterizza il centro artigianale nell'ex Conservificio Drommi a San Martino in Campo a Perugia (1998). Laddove l’intervento progettato da Paolo Belardi e Vittorio De Feo dimostra che il recupero dell’edilizia recente, anche se degradata, non deve passare necessariamente per mere operazioni di demolizione-ricostruzione, ma può essere perseguito anche con iniziative di “ridisegno conservativo”.

Il Conservificio Drommi di San Martino in Campo è un complesso industriale novecentesco che si affaccia lungo la strada Tiberina nel tratto compreso tra Madonna del Piano e Pontenuovo, a pochi metri di distanza dalla E45 (Strada statale 3 bis Tiberina); tale complesso è cresciuto per addizioni successive intorno a un nucleo originario degli anni Trenta e poi dismesso, per cessazione dell’attività produttiva, nei primi anni Settanta.

Anche nel suo stato d’abbandono, l’ex conservificio tradiva elementi architettonici forse non eccellenti, ma certo pregevoli, quali la ciminiera, le due raffinate palazzine padronali e le schiere degli essenziali capannoni annessi, che costituiscono un prezioso reperto delle tecniche costruttive moderne. D’altra parte, ad eccezione della monumentale ciminiera in laterizio, il complesso non era sottoposto ad alcuna forma di vincolo. Inoltre la committenza (costituita dai fratelli Adalberto e Siro Carboni) non solo respinse l’ipotesi di demolire al fine di ricostruire ex novo (magari “in stile”), ma confermò la destinazione d’uso produttiva e accettò la proposta di articolare il complesso in un piccolo “strapaese”, dove oggi svolgono la propria attività alcuni artigiani, tra cui un orafo, un ebanista, un fabbro e uno stilista.

Il progetto, infatti, dando credito all’invito di Aldo Rossi d’intervenire sull’esistente con “poche e profonde cose”, ha minimizzato le demolizioni, confinando le innovazioni nei margini interstiziali. Ma senza rinunciare alla contemporaneità. Conseguentemente il complesso è stato sì restaurato negli elementi architettonici di pregio e ristrutturato nelle componenti ordinarie, ma, soprattutto, è stato riorganizzato intorno a una piazza interna inedita, compiuta sullo sfondo dalle folte alberature che descrivono l’ansa del vicino fiume Tevere e punteggiata da elementi vernacolari che tendono a evocare la climax pittoresca dei borghi artigiani: il vicolo, il viale alberato, il portale, l’orologio pubblico, il giardino segreto. Mentre la giacitura dell’unico corpo di fabbrica aggiunto contesta l’ortogonalità dell’impianto originario.

Tale configurazione è ribadita dal piccolo oratorio mariano di Vittorio De Feo che conclude prospetticamente un viale di cipressi appositamente impiantato. L’oratorio, ubicato nel baricentro percettivo della piazza, è dedicato alla “Madonna della Ceramica” ed è stato concepito non come architettura, ma come installazione artistica. Visto dal viale alberato, l’oratorio, che si presenta come un tempietto bramantesco, sembra simmetrico, ma non lo è, perché in realtà presenta una pianta triangolare sghemba. Un artificio illusionistico “radicato nel baricentro percettivo dell’invaso spaziale” che chiama in causa la galleria prospettica di palazzo Spada a Roma di Francesco Borromini.

Così come, in deroga a qualsiasi regola funzionalista, per accedervi, invece di transitare da un portale, bisogna aggirare la stele anteposta; stele che peraltro ostenta volute apicali che, così come ama fare Robert Venturi, alludono alle fattezze di Micki Mouse. Per di più l’icona sacra non è stata dipinta completamente, ma è stata lasciata incompiuta alla maniera dei Do it yourself di Andy Warhol. Con straordinaria disinvoltura quindi, così come solo i grandi artisti sanno fare, De Feo ha contaminato ludicamente Bramante, Borromini, Venturi, Walt Disney e Warhol ovvero rinascenza, barocco, postmodern, cartoni animati e pop art. E l’intervento artistico, oltre a valorizzare l’architettura, ha inciso anche da un punto di vista sociale, promuovendo l’attivazione di un rito popolare per cui, in occasione del Ferragosto, gli artigiani insediati nel complesso, dopo avere percorso in processione il viale, offrono alla “Madonna della Ceramica” i prodotti più rappresentativi del proprio lavoro.

L’intervento oltre ad avere un'ampia eco pubblicistica nelle riviste, del settore e non, ha avuto anche riconoscimenti prestigiosi, quali il Premio speciale della giuria al Premio Nazionale Dedalo Minosse alla Committenza di Architettura nel 1999 e la selezione al Premio Nazionale di Architettura Luigi Cosenza nel 1998. Peraltro, a suggellare la sua tendenza evocatrice, Davide Germini ambienta un fumetto nel conservificio, così come recuperato. Valorizzando il ruolo svolto dal “Progettista-Tempo”. Perché, a ben guardare, la forza di una città non sta solo nella sua capacità di preservare gli edifici nobili, quanto piuttosto nella sua capacità di adattarsi a ogni nuova esigenza funzionale. Anche a costo di mettersi in discussione e, quindi, di doversi reinventare continuamente.