Le grandi esposizioni che sono state realizzate tra la seconda metà del 1800 e la prima del 1900 hanno visto, attraverso esse, il confronto economico, produttivo, tecnologico, igienico ed artistico tra le nazioni, e le esposizioni stesse erano la spinta e l'impulso ad una competizione tra di esse. È da considerare la differenza tra le esposizioni generali o universali e quelle specialistiche o internazionali.

Erano varie le differenze tra di esse: le universali si tenevano ogni 5 anni; i padiglioni venivano realizzati dalle ditte o enti partecipanti; la durata era almeno di 6 mesi ed il tema interessava la gamma completa della esperienza umana.

Le esposizioni internazionali invece si tenevano nell'intervallo tra una universale e l'altra; i padiglioni erano realizzati dall'organizzazione ed affittati; la durata era di 3 mesi ed il tema era specialistico, di alcuni determinati settori. Le grandi scoperte furono presentate alle esposizioni universali ed internazionali come eventi sensazionali che davano pregio e lustro alla nazione di appartenenza. Nel 1851 a Londra fu inaugurato il Crystal Palace, il primo grande edificio prefabbricato costruito in ferro e vetro e Mc Cormick presentò la prima macchina agricola che miete e trebbia il grano in una sola operazione. Il chimico John Mercer vince il primo premio della mostra, avendo inventato il processo di mercerizzazione che si realizza facendo passare il filo di cotone attraverso la soda caustica rendendolo più setoso e lucido oltre che più resistente.

Ugualmente a New York, nel 1853, Elisha Otis presentò un nuovo tipo di ascensore di sicurezza, dotato di un sistema di arresto nel caso in cui la fune si rompa.

A Parigi, all'Esposizione Universale del 1855, erano in mostra le prime macchine da cucire automatiche della ditta Singer. Proseguendo la carrellata, vediamo all'Esposizione Internazionale di Philadelphia del 1876, le macchine da scrivere, il telefono Bell ed il fonografo. Nel 1878 a Parigi verrà presentato il prototipo di illuminazione esterna con la lampadina di Edison.

Ancora a Parigi, ma stavolta nella esposizione Universale del 1889 per il centenario della Rivoluzione francese, si inaugura la Torre Eiffel, monumento alla ingegneria del ferro che darà il via ad una lunga serie di opere che vedranno questo materiale al centro di innumerevoli realizzazioni architettoniche. Si presenterà inoltre la prima macchina alimentata a gasolio. A Chicago, nel 1893 si assisterà della meraviglia della prima ruota panoramica, ed a San Francisco, Henry Ford mostrerà il prototipo della prima linea di assemblaggio delle automobili e verranno presentate le prime pellicole fotografiche kodachrome.

Le esposizioni internazionali o quelle universali rappresentavano un labirintico sistema di padiglioni e chioschi che contenevano riunite le novità di una nazione oppure, per tema, tutto ciò che l'opera umana aveva concepito in quel determinato settore, oltre a queste grandi costruzioni vi erano numerose strutture più piccole di ditte o società private. Il periodo che vide il fiorire di queste esposizioni fu contraddistinto da una forza propulsiva verso la modernità in ogni senso e settore.

Anche l'architettura rifletteva un modernismo non ancora ben codificato che lasciò perplessi e molto critici alcuni esperti d'arte, tanto da sottoscrivere pubblicazioni di totale dissenso verso la nuova arte. Tra questi, Ugo Ojetti, influente scrittore, critico d'arte e giornalista esternò frasi taglienti verso la progettazione e realizzazione delle strutture che costituirono la prima grande esposizione internazionale italiana, Milano 1906, organizzata per festeggiare la realizzazione del traforo del Sempione, opera simbolo della modernità tecnologica, della viabilità, delle telecomunicazioni e della velocizzazione del trasporto che univa Milano a Parigi. Si sanciva Milano come capitale delle attività industriali, commerciali e finanziarie.

“Il così detto stile moderno sembra essere definitivamente accolto in Italia come stile ideale per edifici d'esposizione non so se i suoi apostoli siano contenti di questo uso piacevole ma provvisorio al quale esso è ormai confinato”. scriveva Ojetti, a proposito delle architetture che erano state erette nel parco e nella Piazza d'armi dell'expo di Milano. “Lo stile moderno non ha che una definizione, quella di non avere definizioni, queste architetture temporanee in legno, gesso e cartapesta, non sono confrontabili alle architetture degli edifici e dei monumenti stabili in pietra e mattoni; queste sono destinate ai secoli ed alla storia; quelle devono vivere sei mesi, dalla primavera all'autunno”. Secondo Ojetti, la ricerca del nuovo non deve intervenire sulla bellezza e su la forma ma casomai sul colore. Quando erano nuovi anche i templi della Grecia e della Magna Grecia erano colorati, diceva. “Cos'è quindi lo stile moderno?” si chiedeva, “è la policromia, la scultura monumentale, la logica nell'architettura”.

Una netta condanna da parte del critico d'arte Ojetti, sconfessato però dalla travolgente corrente del nuovo stile, ormai pervasiva e condivisa dai più.

L'Esposizione di Milano difatti, allestita in due zone distinte, la piazza d’Armi e l’area compresa tra l’arco della Pace e il Castello Sforzesco, collegate da una ferrovia elettrica sopraelevata, coprendo un’area di un milione di metri quadri di cui 285.000 coperti, fece sfoggio delle più bizzarre forme ed architetture che mai furono pensate, progettate e realizzate. Gli studi italiani che realizzarono le strutture furono tre essenzialmente: quelli a firma “Olona” degli architetti Locati e Bongi; quello degli architetti Bianchi, Magnani e Rondoni a marchio “Viribus Unitis”, entrambi di Milano e il marchio “Maria” di Annibale Rigotti di Torino, da soli invece Aceti e Bergomi che collaborarono con gli altri.

Fra le novità presentate nel settore dei trasporti faceva mostra l’aeronautica; per il settore automobilistico la FIAT e l’Isotta Fraschini; le soluzioni per i manti stradali proponevano l’asfalto e il macadam; per le comunicazioni a distanza, il fulcro dell’attenzione era il trasmettitore transoceanico di Guglielmo Marconi.

Oltre ai padiglioni italiani erano presenti quelli dell'Inghilterra, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Austria, Canada, Repubbliche sudamericane, Russia, Cina, Giappone e molti altri. Tra i padiglioni temporanei era presente anche quello che riproduceva lo Stabilimento termale delle Acque della Salute di Livorno, rigorosamente in legno gesso e stucchi, una riproduzione fedele e particolareggiata che comprendeva però soltanto il padiglione centrale ed i due porticati, furono omessi i padiglioni laterali, ma l'effetto fu colossale, gli architetti Aceti e Bergomi realizzarono un'opera che le valse il Gran Premio Medaglia d'Oro, “la massima onorificenza conferita nella festa mondiale per il lavoro” scriveva la Gazzetta Livornese del 1906. Questo enorme successo divulgato anche dalla stampa internazionale, fu un essenziale strumento pubblicitario ed inserì definitivamente le Acque della Salute nel grande circuito delle mete termali dell'epoca.

Le Esposizioni realizzate in questa fascia temporale che ha cavalcato un epoca rivoluzionaria dello stile e del concetto di produzione, sono state una palestra creativa, un catalogo della possibilità di realizzare l'impossibile, di scappare dalla staticità del neoclassicismo per volare sulle curvature delle onde dei cerchi e degli steli dei fiori e sfidare equilibri azzardati. Un paese delle meraviglie reso possibile dai paesaggi effimeri, da queste prove di stile temporaneo che hanno dato comunque sostanza ai sogni ma come i sogni sono sfumati nel tempo di pochi anni, Nelle città reali hanno lasciato una testimonianza, una parentesi artistica che fino a poco tempo non considerata di valore ma adesso costituisce un patrimonio da conservare e non da demolire per far sorgere palazzi senza anima.