La Città Eterna non finisce mai di stupire, talvolta anche le zone meno battute dai percorsi turistici possono riservare inaspettate sorprese di alto valore artistico e storico. Infatti, tra Villa Torlonia e la Salaria, vicino al più conosciuto quartiere dei Parioli, si trova un’area chiamata quartiere Coppedè, un gruppo di splendidi palazzi che circondano una meravigliosa fontana, e il cui nome deriva da quello che è stato un artista eclettico del secolo scorso: Gino Coppedè.

Nato a Firenze nel 1866 da un padre che aveva già avviato un laboratorio chiamato Casa Artistica, lavorò attivamente nella bottega di famiglia anche durante gli studi alla scuola professionale di arti decorative, fino ad arrivare a sviluppare un proprio stile ornamentale che andava ad allinearsi, nella scelta di alcuni tratti, con i motivi più diretti dello stile Liberty. L'Art Nouveau, noto in Italia anche come stile floreale, stile Liberty, arte nuova o arte moderna, fu un movimento artistico e filosofico che si sviluppò tra la fine dell'800 e il primo decennio del 1900 e che influenzò le arti figurative, l'architettura e le arti applicate.

I primi anni di studio furono caratterizzati dall’eredità artistica e culturale fiorentina e in particolar modo delle tecniche decorative del Manierismo e del Rinascimento. Sebbene queste già fossero permeate da un uso abbondante di dettagli decorativi, il giovane artista, mosso da una profonda vena creativa, li amplificò ulteriormente in creazioni stracolme di ornamenti. Iniziò ad avvicinarsi al mondo dell’architettura grazie ai contatti coi numerosi artisti e architetti che frequentavano la Casa Artistica di famiglia; e per questo Coppedè completò i suoi studi con un corso di architettura presso la Scuola di Belle Arti (1891-1896).

Successivamente quella che era nata come la semplice ristrutturazione di una casa coloniale, si trasformò in uno spettacolare castello dove l’architetto sfoggiò il meglio del suo repertorio gotico, rinascimentale e manierista, il castello MacKenzie a Genova, che riscosse un successo di pubblico e critica a livello internazionale tale da mantenere la sua fama attiva anche durante e dopo la Prima guerra mondiale.

Il complesso di edifici attorno a Piazza Mincio a Roma, oggi noto come quartiere Coppedè (1915-1924) è il progetto più importante da lui realizzato nel dopoguerra. L’architetto si rifece al linguaggio che lo aveva reso famoso con il castello MacKenzie, un tripudio di forme neogotiche mescolate con suggestioni che dal Liberty ormai andavano verso le linee geometriche dell’Art Déco.

L’originalissima sintesi di antico e moderno e l’accresciuto carattere monumentale rifletteva le ambizioni dell’alta borghesia romana cui il quartiere era destinato.

Più che un vero e proprio quartiere è un piccolo angolo in cui si trova un complesso di fabbricati e di ville, con un arco, realizzato tra il 1913 e il 1926, a definire l’ingresso dell’area. La volta, eccelsamente adornata, collega i due palazzi chiamati ‘degli Ambasciatori’, ed è impreziosita al centro da un raffinato lampadario. A rendere tutto una meraviglia è l’insieme dei palazzi, che forniscono un singolare colpo d’occhio e immergono l’ospite del momento in un’atmosfera magica, e a tratti fittizia: le strutture non sono infatti fedeli ad un unico stile architettonico ma ne mescolano diversi, generando un effetto combinato.

La Fontana delle Rane in piazza Mincio è nota per il bagno che i Beatles vi fecero vestiti dopo un concerto tenuto nella vicina discoteca Piper. Il nome deriva dal catino sommitale, sul cui bordo sono presenti otto piccole rane, alimentato da uno zampillo centrale e dai getti che le otto rane indirizzano verso il centro.

La Palazzina del Ragno, si contraddistingue per un grande ragno sulla facciata con la sua enorme ragnatela, poi da un balconcino dove sopra si trova un dipinto color ocra e nero raffigurante un cavallo sormontato da un'incudine tra due grifoni e dalla scritta LABOR, quindi numerosi fregi floreali e geometrici, teste e figure di animali quali leoni, civette, leoni alati.

Il complesso chiamato Villino delle Fate è un gruppo di costruzioni che si innalzano su tre piani. Si notano subito per la presenza abbondante di archi, loggiati e finestre ricche di colonne; risalta subito agli occhi anche la decorazione degli archi, dove sono presenti dei motivi geometrici, con le volte dipinte. Le pareti sono spesso affrescate, i colori sono costanti e l’effetto è ancora più particolare, perché sembra di ammirare una stampa degli anni ‘20-‘30, piuttosto che un affresco. Le rappresentazioni sono un omaggio alle più belle città d’Italia: Firenze, Venezia e Roma. Il fascino lo si deve anche alla presenza della vegetazione, pini che si elevano oltre l’altezza della villa e che la “circondano” in un abbraccio delicato.

Il palazzo senza nome (piazza Mincio 2), probabilmente l’ultimo edificio realizzato da Gino Coppedè, conosciuto sia per i suoi interni che per i suoi esterni usati molte volte come set di film per la loro particolare ‘stranezza’, forse anche dovuta alle scritte INGREDERE HAS AEDES / QUISQUIS ES AMICUS ERIS / HOSPITEM SOSPITO (Entra in questo luogo chiunque tu sia sarai amico io proteggo l’ospite), poi un saluto OSPES SALVE e una data ANNO DOMINI MCMXXVI (1926) o alle pareti dell’atrio decorate con motivi, cavallucci marini e lucertole o alla combinazione alternata dei colori e delle forme usate. Le decorazioni sembrano ricordare lo stile assiro-babilonese sia nelle linee architettoniche che nelle alternanze cromatiche.

Talvolta per i nostalgici di un’epoca passata, così come per gli amanti dell’architettura eccentrica, ma anche per i curiosi della domenica, magari anche romani abituati sempre a rimanere in zona, una passeggiata nei pressi di piazza Mincio è consigliabile, non tanto per scoprire o riscoprire un angolo nascosto, quanto per omaggiare un grande architetto che nel suo piccolo ha contribuito a rendere Roma ancor più bella.