Quando si parla di archeologia industriale in Italia, non possiamo fare a meno di menzionare gli innumerevoli stabilimenti per l’estrazione dello zucchero sparsi in tutta la penisola. Mi vorrei soffermare nello specifico e raccontarvi la storia dello Zuccherificio di Granaiolo nel comune di Castelfiorentino in Toscana. La struttura fu inaugurata nel 1899, fortemente voluta dalla Cattedra di Agricoltura di Firenze che riuscì a coinvolgere nel progetto le famiglie Ridolfi e Pucci, ricchi proprietari terrieri in cerca di fonti di reddito alternative.

I caratteri e gli elementi architettonici neogotici si devono all’architetto tedesco che progettò lo stabilimento su modello delle grandi industrie nordeuropee. Granaiolo assomiglia ad una immensa cattedrale con le sue grandi vetrate a piombo e le strutture in ghisa che sorreggono solai e tetti.

L’industria saccarifera è stata protagonista di un vero boom economico nei primi anni del ‘900. L’idea di sfruttare le proprietà della barbabietola per contrastare l’egemonia straniera nel mercato dello zucchero venne a Napoleone Bonaparte.

Le origini della scoperta vanno accreditate ad un botanico francese, Olivier de Serres, che, nel XVI secolo, intuisce per primo le proprietà dolcificanti della barbabietola. Intuizione ripresa poi nel ‘700 dal chimico berlinese Andreas Sigismund Marggraf che scopre la molecola del saccarosio nella radice della bietola.

Napoleone incentiva in ogni modo la coltivazione e la produzione industriale, finanziando le colture e la costruzione di nuovi stabilimenti, sicuro di poter togliere all’Inghilterra il predominio nel commercio dello zucchero di canna che, a quei tempi, arrivava quasi totalmente dal sud America e dal Medio Oriente.

Chiaramente i protagonisti nell’espansione dell’industria saccarifera sono Francia e Germania. In Italia è Genova, dove giunge la materia prima, che inizia lo sviluppo industriale dell’estrazione dello zucchero. Nel 1872 nascono due società: la Ligure Lombarda e la Compagnia Nazionale Raffinazione Zuccheri, Granaiolo sarà gestita dalla seconda fino alla chiusura nel 1971.

Figura di spicco del periodo fu Emilio Maraini, considerato il fondatore dell’industria saccarifera italiana, lavorò per lungo tempo nei Paesi Bassi commerciando zucchero di canna con le colonie olandesi. È in Boemia che inizia a studiare la produzione partendo dalla barbabietola e si convince di poter lanciare questa coltivazione anche in Italia. Nel 1887 acquisisce il vecchio zuccherificio di Rieti, mai entrato in funzione prima, e dà il via alla produzione.

In pochi anni gli stabilimenti cresceranno in maniera esponenziale, nel 1902 saranno già 36 le fabbriche in attività mentre nel 1942 si contavano 81 zuccherifici per arrivare ad una cifra sopra i cento negli anni ’70.

Anche a Granaiolo inizia l’estrazione dello zucchero, la prima campagna è quella del 1900. I semi erano consegnati direttamente dallo zuccherificio ai contadini in mezzadria. Durante la campagna saccarifera, che durava in media 3-4 mesi, lunghe file di carri intasavano la provinciale in attesa di poter scaricare, rigorosamente a mano, la preziosa barbabietola. Solo in epoca recente iniziarono a sostituire i barrocci con camion e carri ferroviari. Dai bacini di stoccaggio poi, grazie ad una forte corrente d’acqua, le barbabietole passavano all’interno dello zuccherificio. Si lavorava ininterrottamente su tre turni perché il “sugo” ottenuto dallo sminuzzamento delle radici in acqua, doveva essere sempre caldo e in movimento per non rischiare di intasare le condotte. Circa 500 addetti erano presenti durante le campagne, molti operai della zona, ma anche gli stessi contadini che rimanevano al lavoro per integrare con una buona paga gli scarsi guadagni della mezzadria. 70 invece erano gli operai fissi che provvedevano alla manutenzione degli impianti e alla preparazione della campagna successiva.

L’acqua ricopre un ruolo fondamentale nel ciclo di estrazione dello zucchero e Granaiolo era avvantaggiato in questo attingendo alle acque del fiume Elsa che erano di ottima qualità. Lo zucchero prodotto aveva delle proprietà superiori tanto che Granaiolo divenne fornitore ufficiale della Santa Sede, sempre alla ricerca del meglio sul mercato.

Nel dopoguerra molti stabilimenti fecero i conti con il mercato straniero che riusciva a produrre a costi più bassi e non riuscirono a fare i giusti investimenti in macchinari e attrezzature per poter reggere la concorrenza. Questo decretò la fine di molti zuccherifici, strutture che non hanno saputo trovare una nuova collocazione nello scenario produttivo italiano e giacciono, ormai da 50 anni, in quella dimensione di abbandono da cui difficilmente potranno uscire.

In anni più recenti, il colpo di grazia all’industria dello zucchero in Italia lo da direttamente la Comunità Europea che, con la riforma del settore del 2006, rende di fatto improduttiva la barbabietola sulla base di una politica dei prezzi che andrà a favorire le grandi multinazionali francesi e tedesche, distruggendo quanto era rimasto. Da quella data, dei 19 zuccherifici rimasti in Italia, che assicuravano il 75% del fabbisogno nazionale, ne rimangono solo 2 in mano alla Copro-B Italia Zuccheri. Adesso, merito anche della liberalizzazione del 2017, il mercato è in mano ad aziende come la Cristal Union francese che ha acquistato la nostra Eridania o la Tereos, sempre francese, che ha 45 siti industriali in Europa con un giro d’affari di 5 miliardi di euro.

La nostra Granaiolo, invece, vive la sua ultima campagna saccarifera nel 1971 e, da allora, vive in bilico nella memoria di molti e nei sogni dei pochi che vorrebbero ridargli una nuova vita. Molti sono stati gli studi, le tesi di laurea, i progetti di ristrutturazione del complesso, tutti rimasti sulla carta ad oggi.

Pregevole era l’idea di farlo diventare un centro nazionale per il restauro multidisciplinare, riportare in vita attraverso il restauro un monumento alla produttività italiana, perché possa accogliere chi della conservazione ne ha fatto ragione di vita. Rimane sempre la speranza di un’inversione di tendenza, abbandonando l’idea di coprire il nostro territorio con nuovi volumi edificati e ridando valore a quei manufatti che hanno tanto da raccontare, pronti ad una nuova vita.