I paesaggi si trasformano nei secoli e mutano più o meno rapidamente in base al corso di eventi dipendenti da una molteplicità di variabili. Il cambiamento del clima, eventi naturali eccezionali, l’uso inappropriato del territorio da parte dell’uomo, l'emigrazione di intere comunità, l’abbandono delle montagne o lo sfruttamento incessante delle risorse. Chi è un osservatore attento, e un assiduo studioso di questi accadimenti che coinvolgono e a volte stravolgono il corso della vita di intere comunità, resta troppo spesso senza risposte di fronte a un intricato groviglio di quesiti. Ma, come molti ricercatori della materia affermano, le epoche di profonda crisi sono foriere di rinnovamenti e soluzioni, scuotono le coscienze assopite e innescano processi di cambiamento.

Il paesaggio italiano resiste con difficoltà in questi ultimi decenni alle sempre più frequenti modificazioni del clima, probabilmente accentuate dalle attività intensive dell’uomo che proprio oggi sollecitano a ripensare a una nuova modalità di pianificazione delle nostre città e del nostro territorio nel suo complesso. Si parla di Smart City ma ormai anche di Smart Water, nuovi slogan per ridare forza nuova e altra veste alle datate politiche di sviluppo sostenibile, di pianificazione partecipata, di qualità della vita. Secondo L’Agenzia Nazionale per le nuove Tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) i nuovi paradigmi delle Smart Cities sono fondati su un approccio olistico e si affiancano a “quelli più consolidati della efficienza energetica e dello sviluppo sostenibile. In particolare tali paradigmi tendono ad armonizzare lo sviluppo sostenibile con una crescita della partecipazione sociale ,'smart communities', e della sostenibilità dello stesso contesto urbano” (1).

Ma se si passano in rassegna i numerosi titoli usciti sulla stampa quotidiana e sulle riviste specializzate si nota un rassegnato catastrofismo che mette in luce come in molti casi i decision makers del territorio sembrano anteporre il fatalismo alla programmazione economica e territoriale: “Dissesto e frane: senza prevenzione l’Italia rischia di scomparire” (2). Senza proseguire su questo catalogo di considerazioni che andrebbero a demolire un secolo di politiche per il territorio e il paesaggio ritengo prima di tutto utile rileggere e ripensare all’attualità di autori purtroppo dimenticati sebbene così attuali e profetici. Uno tra i tanti Michel de Montaigne (3) che nel suo testo Coltiva l’imperfezione, da poco ripubblicato da Fazi Editore, afferma al capitolo Cannibali: “Direi che nei popoli della Francia Antartica non c’è nulla di barbaro e selvaggio, sebbene si tenda a chiamare barbaro ciò che non rientra nelle proprie abitudini. Difatti, siamo portati a considerare veri e ragionevoli solo l’esempio e l’idea trasmessi dalle opinioni e dalle usanze diffuse nel luogo in cui viviamo. Solo qui, infatti, ci sarebbero la perfetta religione, il governo perfetto, l’uso pieno e compiuto di ogni cosa. Tutti gli altri sono selvatici come i frutti che la natura ha prodotto da sé nel corso del suo sviluppo. In realtà dovremmo chiamare così quelli che noi stessi abbiamo alterato e distorto rispetto all’ordine generale. Abbiamo imbastardito virtù e proprietà di alcuni prodotti naturali solo per renderli più adatti al nostro gusto corrotto. […] Non c’è ragione per far trionfare l’arte sulla nostra grande e potente Madre Natura. Abbiamo appesantito la bellezza e la ricchezza delle sue opere con le nostre invenzioni fino a soffocarla del tutto. Tanto che dove ancora splende la sua purezza le nostre imprese, vane e frivole impallidiscono”.

A questo riguardo probabilmente andrebbe riconsiderato il modello della natura come fondante e dal quale è rischioso allontanarsi con soluzioni mosse da un pensiero deterministico che trascura inaspettate ricadute sull’intero sistema. E qui mi riferisco alla presa d’atto del fallimento di molte opere idrauliche che proprio in questi ultimi mesi hanno fornito la palese dimostrazione che il progetto ingegneristico che è stato a monte di migliaia di opere di canalizzazione dei corsi d’acqua (4), la semplificazione degli ambienti naturali limitrofi sostituiti da sponde artificiali, la rettifica e il raccorciamento dei corsi dei corsi d’acqua, eliminando anse e meandri, abbia avuto pessimi risultati. Recenti studi stanno dimostrando che un impostazione di pianificazione di bacino idrografico basata esclusivamente su obiettivi di carattere idraulico può generare alterazioni sul territorio e sul paesaggio sotto molteplici aspetti: alterazione e distruzione di ambiti umidi, asportazione del suolo vegetale, disturbo dell’habitat faunistico, stravolgimento dell’equilibrio dinamico tra corso d’acqua e aree limitrofe, ecc. Oggi è impellente la difesa del territorio dai fenomeni delle piene essendo il territorio italiano stato soggetto tra il 1960 e 2012 a 1453 eventi calamitosi, con 5 milioni e ottocento mila persone che vivono in zone a rischio idrogeologico, circa il 10% dell’intera superficie della penisola. Se le risposte date fino ad oggi non hanno sortito grandi risultati potrebbe essere questa l’opportunità per riconsiderare diverse tecniche di gestione ma soprattutto per ispirarsi a dei buoni modelli, quando l’investimento previsto per le spese di prevenzione dei rischi in questo ambito dal 2010 al 2020 ammonta a 2 miliardi di euro.

Perché quindi non trasformare un'immane opera idraulica quale potrebbe essere una cassa di laminazione (5) in un opera paesaggistica, di cui oggi tanto si sta parlando e di cui comitati e associazioni di cittadini stanno vedendo come minaccia sui loro territori? Questo sarebbe possibile andando oltre il dibattito e la polemica miope con le consuete situazioni di stallo che costano all’intera comunità civile milioni di euro. Polifunzionalità è quel termine forse abusato nel settore della politica agricola che però indica un concetto importante e sottovalutato: gestire il territorio, coltivarlo, non ha una sola funzione, quella del produrre, ma anche quella di custodire le risorse, proteggerle e valorizzarle in altri termini operare per l’ambiente. Allo stesso modo sarebbe auspicabile attribuire anche alle opere idrauliche quel valore aggiunto e cioè polifunzionalità intesa come uso promiscuo delle stesse, cioè con modalità di uso integrato soprattutto con l’ausilio di tecniche innovative: le opere di ingegneria naturalistica. Portando un caso concreto si possono facilmente comprendere meglio queste occasioni che ci vengono dalla pianificazione paesaggistica e dall’uso di materiali naturali (legno, piante, reti e stuoie in fibra naturale) per opere di sistemazione dei versanti, delle sponde fluviali, delle briglie, delle arginature, ecc.

Il caso è quello di Marthalen, cittadina nel Cantone Zurigo della Svizzera, dove un progetto per contenere le piene del piccolo fiume Thur è stato un'opportunità per soddisfare esigenze molto diverse con il coinvolgimento diretto dei cittadini (6). L’opera infatti ha permesso di rinaturalizzare un tratto del corso d’acqua, ricostruire un'area agricola e un piccolo biotopo naturale nonché realizzare due campi da calcio per la collettività. Tra le varie proposte che invece prevedevano la ricostruzione e rimodellazione dell’alveo o la parziale distruzione dello stesso con ingenti investimenti, si è optato per la costruzione di una cassa di laminazione in prossimità del comune di Fohloch. Anche in questo caso si è intervenuti con opere che hanno in qualche modo riparato grandi danneggiamenti avvenuti nel corso di secoli a partire dalle drastiche bonifiche nelle zone di torbiera, la cementificazione del fondo dell’alveo fluviale, gli scavi lungo i versanti delle montagne vicine al fiume per consentire il ricevimento delle opere di drenaggio delle area agricole sottostanti. Tutto ciò aveva reso instabile il sistema di drenaggio delle acque di tutta l’area così che sempre più frequenti erano gli episodi di esondazione.

Il progetto ha previsto lo scavo di un ampio territorio e l’allargamento dell’alveo del torrente nella parte alta del bacino. Nella vasca sono stati integrati due campi di calcio confinati in bassi argini per le piene di portata inferiore, sono stati rinaturalizzati quei tratti di alveo che erano cementificati e ormai completamente impermeabili, creando un biotopo naturale e restituiti alla coltivazione cinque ettari di terreno, come area di compensazione dell’intervento. Ancora più interessante l’opera a scopo naturalistico e paesaggistico costituita dal ruscello e due stagni: le sponde del ruscello sono state realizzate con fascine (uso di ramaglie di piante come salici per consolidare sponde) e palizzate (sovrapposizione di file di tronchi disposti orizzontalmente, sorretti da tronchi verticali infissi nel substrato, alternate a materiale vegetale vivo) che sarebbero resistite inizialmente allo scorrere della corrente e poi avrebbero consentito il ricrearsi di un ambiente naturale utile a contrastare anche le forse erosive sul suolo. E quindi sono state messe a dimora piante di ontani salici e arbusti. Ora l’ambiente è un luogo ideale di insediamento di insetti e uccelli che qui trovano una ricca fonte di nutrimento. Tutto questo è stato un progetto partecipato, per cui, oltre a numerosi incontri formativi, la popolazione è stata coinvolta con modalità crescenti di condivisione fino a scambiare idee e momenti conviviali con l’impresa realizzatrice di tutta l’opera e sono stati chiamati gli stessi abitanti della cittadina limitrofa a collaborare attraverso le scuole, nelle attività di messa a dimora delle piante. Il cantiere è divenuto un opportunità didattica e formativa per studenti e insegnanti.

Questo come altri progetti simili rappresentano soluzioni molto interessanti come opportunità di miglioramento del paesaggio aperto, del microclima e delle condizioni di vita di un'intera comunità che acquisisce nuovi spazi di ricreazione e torna ad apprezzare le forme più originarie del sistema fiume e ne gode indirettamente poiché il rischio di episodi distruttivi conseguenti a eventi meteorici eccezionali, a ondate di piena, si riduce fortemente. Inoltre l’uso promiscuo di queste aree ha avuto buoni risultati anche in termini di gestione per la riduzione complessiva dei costi in quanto la manutenzione non è mirata a un sito monofunzionale (raccolta di piene ventennali) ma ad usi diversificati, ricreativi sportivi e agricoli.

Le grandi opere idrauliche passate alla storia come sviluppo tecnologico ed economico di interi paesi oggi, alla luce di una visione olistica del sistema ambiente, delle discipline di ecologia del paesaggio, sono riportate come le più grandi ferite inferte al pianeta e che hanno prodotto danni irreversibili. Pensiamo ai tagli e alle rettifiche dei meandri del fiume Mississippi (Greeenville Bends) il cui corso fu cementificato, raccorciato di ben duecentoquarantatre chilometri causando anni dopo le catastrofiche inondazioni riconosciute conseguenza delle opere idrauliche dei primi del Novecento. Conseguenze analoghe furono quelle a carico del bacino idrografico del Willow Drainage Dith, Harrison County, nello Iowa, e nell’Ottocento nel bacino del fiume Reno per aver effettuato opere analoghe. Come sostiene uno studioso della storia della pianificazione ambientale, a partire dalle sue radici nel mondo anglosassone, “salire sulle spalle di giganti è un modo per guardare avanti tenendo presente il passato, agevolandosi dei passaggi, delle innovazioni e degli errori che altri hanno fatto” .

Note:
1. La road map delle Smart Cities in http://www.enea.it/it/produzione-scientifica/EAI/anno-2012/n.-4-5-luglio-ottobre-parte-I/la-roadmap-delle-smart-cities
2. Fonte AF, periodico di informazione del Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dr. Agronomi e Forestali, 3-4, 13.
3. Michel Eiquem (1533-1592) della famiglia “Signori di Montaigne”, filosofo umanista e diplomatico francese pubblicò nel 1850 i suoi Saggi, considerati una pietra miliare nella storia del pensiero europeo.
4. E cioè arginature, rettifiche, risagomature e protezioni di sponda.
5. Grandi bacini capaci di accumulare al loro interno rilevanti volumi idrici, costituite da manufatti idraulici di imbocco e di sbocco che permettono di ridurre la portata di un'onda di piena attraverso il temporaneo invaso di parte del suo volume. Tesi di dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica di Michele Ercolini
6. Oplatka M., L’unione degli opposti, in Estratto da Acer, Il verde editoriale, 2008,3, pp. 63-66.