Ci sono due modi di diffondere luce: essere la candela oppure essere lo specchio che la riflette.
(Edith Wharton)

“Partii con mio marito nell’inverno del 1903 alla volta di Roma e cominciai il mio lavoro molto seriamente”, così esordisce in uno dei capitoli dedicati alla sua biografia Edith Wharton (1862-1937), autrice resa famosa dal romanzo L’età dell’innocenza, prima donna a ricevere il premio Pulitzer nel 1920. Si riferisce al lavoro di esplorazione e studio delle ville e dei giardini italiani commissionatole dalla rivista americana Century Magazine che le chiede di scrivere il testo per degli acquerelli di ville italiane di Maxfild Parrish. Il lavoro che ne uscì, dal titolo Italian Villas and their Gardens (1) lo deve in gran parte a una donna, “La prima donna di talento e di raffinata cultura che avessi mai conosciuto”, afferma, di pochi anni più anziana di lei: Violet Paget. Passata alla storia con il nome di Vernon Lee, è icona leggendaria della famosa colonia inglese che popolava l’ambiente colto di Firenze a cavallo tra Ottocento e Novecento.

La Wharton dedicherà il libro proprio alla “Lee che, più di ogni altro, ha capito e interpretato il fascino dei giardini italiani”. Nel 1903 Edith Wharton va a trovarla alla sua Villa Il Palmerino sulla collina di San Domenico a Firenze, dove vive con il fratello ammalato Eugene Lee-Hamilton, un uomo di mezza età, “uno dei segretari di Lord Lyons all’ambasciata di Parigi durante la guerra franco-prussiana, autore di Sonnesof Wingless hours”. E probabilmente perché l’aiutasse a preparare il suo libro sui giardini.

Chi era Violet Paget, nata in Francia, a Boulogne sur Mer nel 1856, in arte Vernon Lee, pseudonimo letterario che si attribuì per “l’ambiguità di quel Vernon che poteva essere sia femminile che maschile”? Uno dei suoi più raffinati estimatori, Mario Praz, afferma: “era la scrittrice inglese che nell’ultima parte dell’Ottocento aveva stupito la società dell’Occidente coi suoi saggi brillanti e sensitivi, ‘miniere d’idee’, e particolarmente l’ambiente intellettuale italiano in cui era riuscita a farsi conoscere presto, fino al 1875 (2)”. I suoi primi lavori sul romanzo inglese li pubblica per Angelo De Gubernatis (1840-1913), letterato e orientalista che dirige la Rivista Europea (Firenze, 1969). Una sorta di sancta sanctorum il mondo di cui faceva parte, in cui solo pochi eletti venivano ammessi: Bernard Berenson, Aldous Huxley, Carlo Placci, Anatole France, Henry James, Telemaco Signorini, John Sargent e lo stesso Mario Praz, al tempo giovanissimo.

Di padre inglese e madre gallese, Vernon viaggia fin da piccolissima con la famiglia e poi si stabilisce a Firenze, dove io mi recai dopo aver visitato la sua tomba al Cimitero degli Allori. Parla diverse lingue fin da piccola e, grande appassionata della letteratura e delle arti figurative, a 24 anni, nel 1880, pubblica il testo di riferimento Studies of Eighteeth Century in Italy, forse la prima autrice in lingua inglese in assoluto cimentatasi sullo stato della musica nell’Italia del secolo dei Lumi. Negli anni Ottanta pubblica diversi romanzi, il suo stile è elegante e versatile, e lei, curiosa e virtuosa allo tesso tempo, diviene presto personalità di riferimento non solo in Inghilterra, ma anche nei circoli letterari italiani. Pacifista e democratica si espone contro la guerra schierandosi contro l’intervento degli alleati anglo-francesi, ma anche contro l’intervento italiano in Libia.

La villa dove rimase fino alla fine dei suoi giorni, nel 1935, di impianto quattrocentesco, si staglia sulle colline di Firenze all’interno di un grande podere a vigneto e olivi lungo il versante che si trova sotto Villa Medici, con Le Balze a sinistra e Villa I Tatti a destra. I Ferguson Paget l’acquistarono dal Conte Pio Ressi sposatosi tra il 1887 e il 1888 a Elisabeth Farrell. Restaurate negli anni Venti del Novecento una casa colonica e l’aranciera attigue alla villa, e trasformata la scuderia dei cavalli in un bel salone, vi traslocò rimanendovi per il resto della sua vita. Qui vivrà con la sua compagna Kit (Clementine) Anstruther-Thomson per dieci anni. Nel 1899 Kit decide di accudire un'amica malata e se ne va, non tornerà più in Italia. Nel 1911 Violet conosce Irene Cooper Willis, che l'aiuterà in un questionario sulla musica, sarà la sua esecutrice testamentaria e a sua volta curerà una raccolta delle sue lettere ai familiari, stampata in cinquanta copie a Londra, nel 1937.

Ma dei suoi “vastissimi interessi, quello che più incontrò il gusto del pubblico fu l’interpretazione di luoghi e di atmosfere” quello che lei stessa definì Genius loci; di questa parzialità dei lettori si doleva la scrittrice, come ogni altro artista che veda più apprezzato ciò che considera un'opera minore invece che l'opera maggiore (3). Questa sua opera, pubblicata con il titolo Genius Loci. Notes on places nel 1989, appare un logico proseguimento del suo saggio innovativo e anticipatore sulla storia del giardino italiano dal titolo Old Italian Gardens nel volume Limbo and other essays, uscito due anni prima, nel 1897.

Ed è proprio questo saggio che coglie il mio interesse e suggerisco a un amico scrittore e traduttore, Marco Tornar, di leggerlo ed eventualmente pubblicarlo per la prima volta in italiano. L’interpretazione dei luoghi che Violet conosce, scova, spoglia fino a trovarne l’essenza più intima è lontana erede della tradizione romantica di Schiller, Coleridge, Friederich. La sua ricerca dello spirito del luogo è il motore che guida il peregrinare in un viaggio iniziatico in cui il visitatore, chiosa Attilio Brilli nell’introduzione al saggio Genius Loci, è come un rabdomante che "sente" una presenza nascosta, sopita e ammutolita dai secoli ma disposta a parlare “ove sia interrogata con cautela, con discrezione e con tatto (4)”. Perché possa esprimersi il luogo deve essere investito dai nostri sentimenti e dalle nostre emozioni e recepito dalle nostre facoltà sensoriali. Questa percettibile presenza “non è l’insieme dei fantasmi delle signore e dei cavalieri di tanto tempo fa che infestano il giardino”; non il fantasma della loro quotidiana monotona rassomiglianza con noi stessi, […] ma il fantasma di certi momenti della loro esistenza, certi fruscii e luccichii della loro personalità […] che si sono aggrappati alle statue con l’edera, sono saliti e caduti con lo sciacquio delle fontane, e che ora esalano nel soffio del caprifoglio e mormorano nella voce egli uccelli, nello stormire delle foglie e delle erbe invadenti (5)”.

Nel breve contributo dedicato alla storia del giardino italiano, l'autrice passa dalla critica sull’arte del giardino medievale, più utile che di delizia, a quello del Boccaccio, di Madonna Dianora visitante nel giardino che l’innamorato Ansaldo ha fatto fiorire a gennaio con arti magiche, e disserta su come quello sei-settecentesco sia passato attraverso le descrizioni e le illustrazioni della Hypnerotomachia Poliphili, il libro dei libri sull’arte del giardino, stampato a Venezia nel 1499 e scritto da Fra Francesco Colonna, argomentando così sul fatto che quelle xilografie mostranti pergole, vasche e fontane su piccola scala e nel domestico, e le relative descrizioni, non sono prova dei giardini dell’epoca del Colonna, ma piuttosto di ciò che le sue credenze archeologiche gli fecero bramare, e ciò che giunse tempestivamente quando le antichità furono più abbondanti di quelle del primo Rinascimento, e i monumenti degli antichi poterono essere incorporati liberamente nei giardini.

Vernon Lee passa poi all’esaltazione dell’apoteosi del giardino italiano grazie al Bernini e ai suoi seguaci italiani e francesi – ultimo risultato spontaneo dell’arte del Rinascimento – che crearono la scultura decorativa operando in unione con il luogo, la luce e l’ambiente. La grande produzione di questa scuola del Bernini, che la mostra come la scultura nata dai giardini, è la fontana. Queste opere – le fontane di Roma – sono così assolutamente perfette che siamo inclini a prenderle come ovvie, poiché esaltano l'armonia di arte e natura: natura ammaestrata dall’arte, arte favorita dalla natura.

Vernon Lee disserta poi su una nota di giardinaggio: "che l’aridità estiva del clima non consente e non ha mai consentito grande presenza di fiori nel giardino italiano. L’oleandro, divenuto più brillantemente rosa ad ogni supplementare mancanza d’acqua settimanale, trionfa su aiuole vuote. I fiori in Italia sono una produzione come il grano la canapa o i fagioli; devi accontentarti dei terreni incolti quando essi finiscono. Dico queste cose apprese da certe esperienze amare di estati senza fiori, per spiegare perché il giardinaggio italiano si rifugia nei vasi – dalle grandi giare di limone decorate ai vasi di garofani, doppi gerani, tuberose, e gelsomini su ogni muro, su ogni mensola o davanzale; tanto che in realtà, perfino il famoso dolce basilico, e con esso la testa del giovane Lorenzo, dovette essere piantato in un vaso". Ebbene questa povertà di aiuole in fiore e questa ricchezza di vasi rese semplice e naturale al giardino italiano diventare, come quello moresco, un luogo di pura vegetazione e acqua, un palazzo le cui fontane spruzzano in cortili assolati circondati da mura con mirti e lauri, in sale misteriose coperte da un tetto di lecci e bossi (6).

"I must protest again such state of things", strepita l’indomabile scrittrice non troppo dopo le prime battute, nel breve saggio costituito da cinque capitoli Old Italian Gardens, confermando l’anticonformismo e lo spirito d’indipendenza che animano la sua parola fiammante, continuamente rinvigorita dall’erudizione e dalla poesia. Così chiude il traduttore Marco Tornar in quarta di copertina il testo della Lee a cui ho avuto il piacere di aggiungere un breve saggio introduttivo.

Note:
(1) Wharton E., Italian Villas and their Gardens, Century Company, New York, 1904, Parrish Maxfield illustrator. Tradotto in Italia da Passigli Editori, Firenze, 1983
(2) Lee V., Ombre italiane, con uno scritto di M. Praz, Guanda, Parma, 1988.
(3) Lee V., Ombre italiane, con uno scritto di M. Praz, Guanda, Parma, 1988.
(4) Lee V., Genius loci, Sellerio editore, Palermo, 2007.
(5) Lee V., Antichi giardini italiani, trad. Tornar M., introduzione di Macellari E., tabula Fati, 2013, Chieti.
(6) Lee V., Antichi giardini italiani, trad. Tornar M., introduzione di Macellari E., tabula Fati, 2013, Chieti.

Vernon Lee
Della folta ed eclettica produzione letteraria di Vernon Lee (Boulogne-sur-Mer 1856 – Firenze 1935), inglese per nazionalità, francese per nascita, fiorentina per scelta in traduzione italiana: L’avventura di Winthrop (1881) e Possessioni (1890), il saggio Genius loci (1897). Fondamentali le opere Adriadne in Mantua: A Romance in Five Acts (1903), The Spirit of Rome: Leaves from a Diary (1906), The Sentimental Traveller: Notes on Places (1908), The Handling of Words and Other Studies in Literary Psychology (1923).