E’ piuttosto verosimile che Mabel Dodge, americana di Buffalo, frequentatrice della colonia aristocratica anglo-fiorentina e stretta amica di Janet Ross e Arthur Acton, di cui riferirà nelle sue memorie, fosse toccata dalle mode e dal gusto dell’epoca per gli ornamenti e le novità floreali che arricchivano le grandi dimore di campagna di Firenze.

Ad oggi il giardino di Villa Curonia porta i segni lasciati dall’intervento dei coniugi Edwin Dodge e sua moglie Mabel. Infatti, nonostante la proprietà fosse lasciata da Mabel già nel 1913, che rientrò in America, per poi venderla nel 1935, quasi nulla è mutato dell’impianto vegetale e strutturale del giardino che venne realizzato nel 1905 in stile neo-rinascimentale. L’antica villa di probabile impianto tre-quattrocentesco è esposta a nord ovest con la sua facciata principale; l’ampio parco a lecci e cipressi è strutturato in diverse parti tutte ben rimodellate e progettate dai Dodge sia in base alle esigenze personali dei proprietà – in particolare quelle di Mabel – sia di rappresentanza, con la costruzione di un vero giardino formale posto a ovest della villa verso le belle colline in direzione di Pisa.

Prima di entrare in merito a quest’opera paesaggistica voluta da Mabel Dodge mi voglio soffermare sulla sua eccentrica e romanzesca esistenza forse paragonabile solo a donne come Alma Mahler, detta la vedova delle quattro arti, o a George Sand; alcuni l’hanno paragonata a una sorta di Madame de Stëal, poiché Mabel oltre a essere una scrittrice è stata una grande viaggiatrice. Mabel acquisì quattro cognomi, era Mabel Ganson, Evans Dodge Luhan Sterne. Nata a Buffalo, Mabel Ganson, nel 1901 è già sposata a John Evans che perderà di lì a poco per un incidente di caccia; due anni dopo sarà a Parigi con il piccolo figlio John per dimenticare le sue disgrazie giovanili. Ricca ereditiera, figlia di banchieri, non avrà difficoltà a introdursi negli ambienti aristocratici di Parigi dove conoscerà e sposerà il facoltoso architetto Edwin Sherrill Dodge (1874–1938) di Newburyport, Massachusetts.

Notevoli le disponibilità economiche di Mabel che l’aiuteranno a prendere facilmente decisioni tempestive, come quella di trasferirsi a Firenze per il semplice motivo di volerla conquistare a tutti gli effetti, con un atteggiamento di estrema propensione verso l’arte e la bellezza del paesaggio italiano. La vita che condusse nella villa quattrocentesca, acquistata una famiglia di nobili russi, che dettero il nome Curonia alla dimora posta sulle colline verso Arcetri a pochi passi da Firenze, era dedita ai rapporti con la comunità di espatriati più ricca e colta di Firenze. Intesse relazioni con personalità del mondo artistico e letterario come Eleonora Duse, che visse nella sua casa per un certo periodo, il regista teatrale e scenografo Edward Gordon Craig, il musicista Arthur Rubinstein che suonò nella villa, Gertrude Stein, la scrittrice che le dedicò un ritratto in un opera molto singolare dal titolo Portrait of Mabel Dodge at the Villa Curonia, il pittore e scrittore Jaques Emile Blanche. Della vita e delle vicissitudini del salotto letterario di Mabel Gordon Craig ne fece delle performance teatrali mimetizzandone la vera identità.

Dopo questo periodo di vita eccentrica e per così dire teatrale, ogni giorno indossava rigorosamente abiti in perfetto stile rinascimentale, trascorsa a Firenze dal 1905 al 1912, Mabel parte per New York dove dà inizio a una nuova vita, nel suo imponente appartamento bianco nella 21esima strada, sempre tra scrittura e iniziative filantropiche legate ad mondo dell’arte contemporanea, creando uno dei tre Salon più importanti della New York di inizio secolo.

Per capire la sua indole eclettica, il suo operato, nonché la sua fascinazione per il contesto naturalistico è necessario rivolgerci anche ai suoi scritti che fanno capire meglio una personalità piuttosto contraddittoria. Il suo motto era tratto da un aforisma del poeta e scrittore statunitense Walt Whitman: Forse che mi contraddico? | Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico, quando afferma nel Canto di me stesso.

La vita di Mabel è riportata passo dopo passo in Intimate Memories Background pubblicato nel 1933 (2), 1600 pagine in quattro tomi che comprendono un volume dedicato alla permanenza Europea e Italiana. Un capitolo è proprio rivolto al periodo trascorso a Villa Curonia dove emergono le idee e le prospettive sul come e perché creare quel giardino. L’idea compositiva di Mabel e di suo marito Edwin, architetto che era intervenuto sul progetto di Arthur Acton a Villa La Pietra a Firenze, enfatizza le connessioni tra giardino formale, ordinato nelle linee e tracciati, rispondenti ai principi ordinatori dello stile rinascimentale proprio della villa, e le parti pensate a parco- bosco con camminamenti sinuosi, a cui si accede da diverse parti del giardino geometrico a bossi in siepi squadrate.

Si può dire che i Dodge abbiano contribuito a delineare quel genere di giardino anglo-fiorentino che avrebbe rappresentato la soluzione più vagheggiata dai nuovi proprietari anglosassoni delle ville toscane, a partire da Bernard e Mary Berenson, collezionisti d’arte e proprietari della Villa i Tatti, che fecero realizzare i propri giardini al giovane architetto Cecil Pinsent. Un esempio vicinissimo a Villa Curonia è a Pian dei Giullari dove il Pinsent realizza ad esempio “la grande piantata di cipressi, che colma a ovest la collina della villa di Giramonte” componendo “una delle scene ‘fiorentine’ più ammirate sia da Forte Belvedere che dal Giardino del cavaliere di Boboli”(3).

Mabel ed Edwin Dodge sono fautori di un paesaggio che celebra tutti i canoni e i principi ispiratori del giardino classico italiano con una dovizia di particolari mossa da una consolidata padronanza della storia dell’architettura e dell’arte del paesaggio italiano. In particolare non cadono in quella trappola che nel suo testo chiave sulle Ville italiane e i loro giardini Edith Wharton (4) definisce “anglicizzazione” cioè lo snaturamento dello stile originario con interventi avulsi dai contesti culturali e paesaggistici preesistenti (radure a prato inglese, bordure miste con fiori, inserimento di piante a foglia caduca, ecc.)

Realizzano quello che la Wharton auspicava e cioè che si intervenisse in contesti così densi di significato storico rivisitando nel rispetto del genius loci con una interpretazione autonoma del modello senza produrre “copie meccaniche polivalenti”. Però Mabel Ganson non si limitò solo a questo intervento poiché la sua vita dedita all’arte in tutte le sue forme era sempre sottolineata da un anelito verso la bellezza originaria che poi raggiunge attraverso la realizzazione di un sogno edenico, cioè quando conosce la realtà del New Mexico a Taos, nel 1917, dove si era recata, ormai separata dal 1916 da Edwin Dodge, avendo sposato l’artista e scultore Maurice Sterne.

Era tornata a partire dal 1913 in America nel Village ed era divenuta il simbolo della “donna nuova” politicamente e sessualmente libera; fu amante di John Reed , scrittore, giornalista e militante comunista statunitense autore di Insurgent Mexico, 1914, e de I dieci giorni che sconvolsero il mondo, 1917. Nelle sue memorie c’è di questo periodo turbolento una testimonianza delle fasi di costituzione, dissoluzione e dispersione del gruppo di “espatriati in patria” al Village e a Provincetown di cui Mabel fu una figura cardine (Mabel Dodge, Movers and Shakers, 1985)

Poche settimane dopo il matrimonio con Sterne, lo aveva pregato di raggiungerla a Santa Fè alla colonia di artisti e poi nello stesso anno proseguì per New Mexico. Qui nel giro di poco tempo divorzia e sposa il suo quarto marito, l’indiano Tony Luhan, sostenitore nella American Indian Defense Association della causa del popolo di Taos per il miglioramento delle condizioni di vita degli Indiani d’America.

La scrittura di Mabel in Winter in Taos, pubblicato nel 1935 è l’esperienza forte e definitivamente illuminante di una donna alla ricerca della sacralità e della bellezza originaria del luogo e della natura. Un testo che è – a detta del traduttore e scrittore Marco Tornar – un testamento lirico ed emotivo del suo rapporto con il deserto che nella sua bellezza silenziosa costringe l’osservatore ad “abbandonare dietro di sé tutto il superfluo sia materiale che emotivo”, “a eliminare scorie e ricordi del proprio passato, a cancellare letture inutili e chiacchiere vuote (5).”
Nella sua colonia artistica passeranno personalità letterarie e artisti dell’avanguardia newyorkese che fecero parte del gruppo di Provincetown nel 1915, a Cape Cod. D.H. Lawrence ne fu incuriosito anche se inizialmente restio a quel luogo (6), vi si trasferì con la moglie Frieda von Richthofen e instaurò un rapporto difficile ma intenso con Mabel che scrisse il romanzo L’amica di Lawrence, unico testo di Mabel tradotto in Italia e pubblicato per Longanesi nel 1948. Eppure anche Lawrence acquistò una grande proprietà che diventò poi Kiowa Ranch (ora dell’Università del Mexico).

Di questa esperienza in New Mexico rimase il romanzo di Lawrence Plumed Serpent (Il serpente piumato, 1926) dove è espresso il fascino esercitato su di lui dalla civiltà atzeca. Il luogo da cui guardare “l’altrove perduto senza ombra di rimpianto” (B. Lanati) . Ma anche Mabel lo ispirò nel romanzo che la raffigura The woman Who Rode Away (La donna che scappò a cavallo, 1925). Mabel Dodge Luhan scrive anche Edge of Taos desert nel 1937 dove esprime la luce ritrovata. “La luce che illumina un paesaggio descritto come “alba del mondo”, in cui “azzurro, rosa carne e verde” tracciano i confini dello spazio per portarlo alla superficie dello sguardo nella sua materialità. La possibilità paradossale di dimenticare il Novecento, le sue potenzialità e contraddizioni e con esso la guerra. Tornare attraverso la ritualità barbara a un era pre-rinascimentale a quel primitivismo mistico, per riflettere con una diversa prospettiva alla storia della cultura occidentale. Oltre a Lawrence la pittrice Georgia o’Keeffe che abbandonava ogni primavera il marito Alfred Stiegelitz, gallerista statunitense apostolo della fotografia nuda, per raggiungere Mabel a Taos. Qui Mabel aveva aperto le porte a un villaggio culturale che tentava di ristabilire quel legame interrotto dalla civilizzazione occidentale tra cultura, tradizioni e terra riarsa del deserto.

Leggo però dalla sua biografia una nota interessante, Mabel nel New Mexico ove lascerà il suo più sentito testamento emotivo, afferma di ritrovare la nuova Curonia da cui si allontanò con un passo molto significativo sul senso di quel luogo e dalla sacralità che sprigionava, quella vecchia Europa a cui aveva dedicato una parte importante della sua vita, buttando alle spalle quella “certa America”, come bene la definiva Henry James altro scrittore esule, a cui non sentiva di appartenere, in virtù ed in difesa della più nobilitante forma culturale umana: l’arte.

Lo specchio
Luglio 1914 prima dell’ultimo soggiorno alla Villa Curonia

Sono lo specchio dove l’uomo vede l’uomo,
Ogniqualvolta guarda profondamente nei miei occhi,
E cerca solo me, lui scorge là
Il progetto umano

Sono lo specchio della mente che arrischia dell’uomo,
E solo nel mio volto lui ancora può leggere
L’unica ragione per ciascun bisogno
Del genere umano.

Sono lo specchio del cuore desideroso dell’uomo,
Dentro di me c’è il segreto della sua ricerca:
Io sento la parte nascosta che è il supporto
Di ogni parte.

Sono lo specchio dell’insaziabile,
Sono il buono, il cattivo, il tutto infinito,
In me ci sono le risposte a ogni chiamata
Perché io sono il Fato

Sono i molti e l’unico, il dispari
Come pure il pari. Sempre nel mio aspetto
Dio è rinnovato ogni volta che è nato un uomo –
Perché io sono Dio

Sono l’avvicendarsi di pace contesa –
Sono lo specchio di dove tutto l’uomo è sempre – *
*Sono la somma di tutto ciò che è stato suo –

Perché sono la vita..

Note:
1. Questo articolo riporta alcune citazioni tratte dal saggio di Macellari E. Il giardino di Villa Curonia: un tributo all’umanesimo, postfazione al testo di Tornar M. Nello specchio di Mabel. Gli anni fiorentini di Mabel Dodge Luhan, Ed. Tracce, Pescara, 2011
2. Luhan Dodge M., Intimate Memories Background, New York: Harcourt, 1933.
3. Liserre F.R. Giardini anglo-fiorentini . Il rinascimento all’inglese di Cecil Pinsent, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze, 2008
4. Wharton E., Italian Villas and their Gardens, Century Company, New York, 1904, Parrish Maxfield illustrator. Tradotto in Italia da Passigli Editori, Firenze, 1983
5. Lanati B. L’orizzonte di Taos. La luce e l’arte di vedere, In Rio grande, pp. 44-55
6. In una lettera a E.M. Forster “E’ piccolissimo Taos, a 30 miglia dalla più vicina stazione ferroviaria, nel deserto a 6000 piedi di altezza. Mi sento un estraneo, ma mi sono abituato ormai a quella sensazione, meglio così, d’altra parte piuttosto che sentirsi “in famiglia” che è dopo tutto, il posto in cui uno si sente disperatamente solo”.