Iris Cutting, pur essendo un'anglosassone nata nel Gloucestershire nel Sud Est dell’Inghilterra nel 1902, “mise radici” così profonde in Italia che fin da giovane non si sentì di appartenere a quel mondo forse un po’ snob ed elegante che viveva nelle più belle e antiche ville della Toscana. Il padre di Iris era americano, William Bayard Cutting Jr., segretario dell’ambasciatore americano a Londra, la madre Sybil Cuffe, anglo-irlandese, era un donna eccentrica che amava vivere, al contrario della figlia, nel bel mondo tra i grandi della cultura europea dei primi del '900. Quando Iris racconta la sua vita nella sua entusiasmante biografia (1) ricorda che il suo nome in Italia non era mai ben compreso nel significato che la madre le aveva assegnato - messaggera degli dei – così veniva associato più spesso con un'opera minore di Mascagni o con “un sapone a poco prezzo con radice di giaggiolo”!

Non si può dire che Iris sia stata una bambina sfortunata, nonostante la precoce perdita del padre per tisi, malattia molto diffusa all’epoca e difficilmente curabile, durante un viaggio diplomatico in Egitto, quando nel 1911 lei aveva solo 9 anni. Fu il padre stesso che col testamento determinò il suo destino di donna autonoma e volitiva in una terra accogliente e adatta alla sua spiccata sensibilità e generosità. Scrisse infatti alla moglie che la sua unica figlia fosse allevata “libera da tutto questo sentimentalismo nazionalistico che rende la gente tanto infelice. Allevala in un luogo cui non appartenga, così non lo proverà. Preferirei la Francia o l’Italia all’Inghilterra, così che possa essere cosmopolita nel profondo… adesso deve essere inglese, così come sarebbe stata americana se io fossi vissuto e tu no. Questo è giusto e naturale. Ma vorrei che fosse anche un poco ‘straniera’ , così da essere, quando sarà cresciuta, veramente libera di amare e sposare chiunque vorrà, di qualsiasi paese, senza difficoltà” (2).

Dal giorno della morte di suo padre, Iris divenne un piccola “donna” continuando a viaggiare e viaggiare, in Sicilia, Grecia, Algeria, Tunisia, e poi Europa, Parigi, Londra, Firenze, città prescelta dalla madre per la loro fissa dimora, nella splendida villa Medici a Fiesole. “E’ qui che vivremo” disse la madre Sybil a Iris ancora bambina, ignara di vivere nella casa che nel '500 fu di Cosimo e poi di Lorenzo de’ Medici, che discuteva dei “misteri degli antichi” con i grandi filosofi Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. Qui visse dal 1911 al 1925 anno in cui sposò il marchese Antonio Origo con cui si trasferì in una grande tenuta nella Val D’Orcia, per dar vita a un grande progetto agricolo e sociale che ha inciso sulla storia del paesaggio toscano. Iris era veramente un essere umano multiculturale. Scrittrice nata, fin da piccola riempie fogli e fogli di poesie, racconti, ritenendosi invece una “scimmia perseverante” senza talento. E poi afferma di non aver più scritto tra i ventuno e i trentacinque anni. Poi la quadrilogia, come la definisce Stelio Cro (3) uno studioso della sua vita e delle sue opere: La biografia di Leopardi, Guerra in Val D’Orcia, Il Mercante di Prato (la vita di Francesco Datini) e Immagini ed ombre, l’autobiografia.

La filosofia di vita di Iris Origo può essere definita un'utopia realista, una vita spesa per l’arte e la filantropia che si concretizza sia nel suo operato di intellettuale, storica, scrittrice di saggi e biografie fondati su una documentazione storica approfondita e scrupolosa, sia nell’opera di restituzione e recupero di un immane patrimonio culturale e paesaggistico in Val D’Orcia, dove ha speso la maggior parte della sua esistenza. Seguendo il sogno illuminato di grandi statisti toscani come Ricasoli, Ridolfi e Capponi, promotori della riforma agraria e del sistema mezzadrile, portò avanti con un'ottica progressista un progetto che favorì le condizioni economico sociali dei contadini (legge sulla bonifica, sussidi statali) con il recupero di 1400 ettari di terre paludose e malariche e costituire un modello di azienda tecnologicamente avanzata ed economicamente efficiente. Ma le connessioni con il mondo di altre scrittrici di quel periodo è stretto poiché anche lei proviene da quella colonia inglese trapiantata in Italia e la madre che acquista Villa Medici ha frequenti rapporti con gli intellettuali del circolo internazionale fiorentino tra cui i coniugi Berenson, verso cui Iris provava grande deferenza mista a disagio e soggezione. La madre infatti diventa moglie di Geoffrey Scott, architetto dei Berenson che viveva a Villa I Tatti ed era loro riferimento insieme al paesaggista Cecil Pincent per il restauro della villa e del giardino (4). Geoffrey Scott fu autore noto in Inghilterra per aver pubblicato The Architecture of Humanism, ma non portò mai a compimento l’idea di scrivere la Storia del Gusto mentre pubblicò due volumi di poesie, Poems e A Box of Paint e Portrait of Zelide, dedicato a Sybil. La madre aveva gusti raffinati, un grande amore per il sapere e l’arte e un indomabile slancio verso la vita. E poi la frequentazione con la scrittrice americana Edith Wharton, che con Scott e Pinsent si addentrava nelle campagne alla ricerca di nuovi giardini, sconosciuti anche alle note guide rosse o al Baedeker, immancabile manuale del turista di primo novecento in Italia.

Dell’ambiente anglo-fiorentino Iris apprezza la diversità, la disunità quando, ancora piccola e poi da adolescente, si trova immersa nei salotti letterari frequentati dalla scrittrice Vernon Lee “capelli grigi tagliati corti sopra un’immancabile colletto e cravatta uomo” , Lady Paget di Bellosguardo, Carlo Placci, il poeta Herbert Trench, la Signora Janet Ross di Poggio Gherardo – una delle ville rifugio dei personaggi del Boccaccio dalla peste del 1348. Mentre gli scrittori Gordon Craig, D. H. Lawrence e Aldous Huxley stavano alla larga dal giro delle Ville. Anche se sulla sua opera più interessante di intervento sul paesaggio Iris Origo nel suo testamento autobiografico non si sofferma molto, l’affezione al giardino scaturisce nei suoi scritti nelle ampie descrizioni di paesaggi dove emerge costante il forte senso estetico e il sentimento della natura, da cui anche la sua estrema vicinanza a Leopardi. Anche nei momenti difficili della guerra, quando vive a Roma nel 1943, non mancano le notazioni sulla bellezza di Roma, si sofferma su villa Borghese e “di notte le strade illuminate solo dalle stelle o dal chiaro di luna, sulle quali nessun occhio umano si posa, sono di magica bellezza, silenziose e deserte” (5).

Per quanto riguarda il recupero e la rivitalizzazione delle campagne toscane in Val D’Orcia se il marito Antonio Origo ne ha curato gli aspetti economici e di innovazione tecnologica, Iris oltre all’opera di supporto morale e sociale (sostegno alle donne, formazione, accoglienza di bambini orfani e diseredati), promuove al tempo stesso la riqualificazione paesaggistica mettendo sempre al centro il senso estetico, rifacendosi ai paesaggi del medioevo toscano e del rinascimento ispirandosi ad esempio alle opere di Benozzo Gozzoli. La filosofia a cui si ispira è tratta soprattutto dalla corrente della Scuola Agraria Toscana di metà Ottocento, quando il Gabinetto Viesseux e l’Accademia dei Georgofili posero le basi per il rinnovamento strutturale delle campagne sulla base di principi riformatori e progressisti. Il loro sguardo è volutamente rivolto alle campagne dell’entroterra oltre ai più noti dintorni fiorentini tanto celebrati dai protagonisti del Gran Tour. La proprietà terriera rappresenta il bene primario, l’agricoltura e le sue tecniche possono far sì che diventi fonte di una sana prosperità fondata sull’istruzione civile e morale dei contadini. In questo senso i coniugi Origo diventano protagonisti di quella classe di possidenti illuminati che con le loro risorse finanziarie potevano compiere una missione eticamente rilevante e allo stesso tempo di grande utilità per le ricadute economiche di intere comunità locali. Come affermava Ricasoli i proprietari terrieri erano una sorta di missionari e come loro i tecnici diventavano “apostoli agricolo-sociali”. Qui anche la connessione con lo stesso Giacomo Leopardi, così studiato da Iris che si esprime benevolmente nei confronti dell’istruzione dei contadini, anche in relazione ai principi di libertà.

La visione del paesaggio della scrittrice si pone proprio in quest’ottica di utile e bello, di paesaggio come sintesi perfetta di una identità culturale sedimentata. Rappresenta anche lei una straniera, un insider poiché perfettamente integrata con la realtà italiana, mai prende distanza da essa o se ne estranea, come i visitatori sentimentali e romantici alla ricerca del pittoresco, il suo è un radicamento a tutti gli effetti accompagnato da una appartenenza e un senso di identificazione. L’agricoltura diventa strumento di miglioramento dello stato civile e morale ma anche di abbellimento del paesaggio rurale che fino all’ottocento era in buona parte lasciato alla gestione latifondista poco attenta ai reali bisogni delle comunità locali, anche se poi appariva di gran livello estetico al viaggiatore disattento, mero cultore di panorami belli anche se abbandonati e degradati (case diroccate, mandrie brade che danneggiavano le colture ) con popolazioni denutrite analfabete e miserabili (Valdarno, Val di Chiana, Mugello, Valdorcia).

Anche se la sua visone del paesaggio è sicuramente sollecitata da modelli pittorici del rinascimento, non si può affermare che lei contribuisca come molte altre autrici a costruire un modello ideale del paesaggio frutto della pura “invenzione” cioè costruito più sulla proiezione su di esso degli ideali estetici e della soggettività individuale, sentimento e interiorità, che sulla reale visione dell’osservatore. Non ha mai rinunciato al valore culturale e produttivo per un estetica del paesaggio e della natura oggetto di mera contemplazione. Iris Origo oltre ai suoi scritti volle creare un giardino diventato poi una vera opera d’arte che resta nella storia del giardino italiano. Il giardino della Foce a pochi passi da Pienza, in Val d’Orcia. Ne parleremo ancora …

Note:
1. Origo I. Immagini e Ombre, Longanesi, 1984, Milano p. 82 2. Origo I. Immagini e Ombre, op. cit. … p. 92 3. Cro S. Dalle radici del neorealismo alla solitudine dell’utopia, Le Balze, 2002
4. “Quando nel 1917 mi comunicò che stava per sposare Geoffrey Scott, il brillante giovane architetto e scrittore che era stato segretario di Berenson, il tumulto dei miei sentimenti fu più istintivo che razionale. (da)” Da lui Sybil si separò mentre Iris rimase in contatto fino alla sua morte precoce nel 1929. “Egli poteva essere l’amico più sensibile, il parlatore più squisito e la sua debolezza disarmante deve aver fatto innamorare di lui più donne che la sua intelligenza”. Origo I. Immagini e ombre, op. cit. p. 106. La madre di Sybil si risposò nel 1927 con Percy Lubboc. 5. Origo I. Guerra in Val D’Orcia, 2006, Le Balze p. 59