Incontriamo oggi Caroline Gallois, che a Firenze ha appena allestito la nuova mostra Zona d’ombra, presso la Galleria Immaginaria Arti Visive; la mostra comprende 16 tele oltre a disegni e dipinti su carta, ed è l'occasione per rivolgerle alcune domande.

La tua pittura ha attraversato molte fasi, partendo da quelle messicane e statunitensi dai colori forti e intensi. Come sei arrivata a queste tele così delicate, dai colori tenui, dove dominano le sfumature di bianco e grigio?

Ho avuto l’opportunità di lavorare a Città di Messico per un anno dal giugno 1979 presso il Ministero dell’Agricoltura del Messico, ed è lì che ho scoperto la bellezza del paesaggio insieme all’arte messicana e alla cultura, i murali e la passione per la pittura. Non avevo mai dipinto prima, avendo studiato scienze economiche e politiche a Parigi. E’ stato al Museo d’Arte Moderna che mi sono innamorata dell’arte messicana. Ho scoperto i murali di Diego Rivera, Siqueiros, e altri, e la pittura di Frida Kahlo, sempre appassionata di questioni politiche e sociali. Poi ho fatto un viaggio da hippie per quattro mesi attraverso l’America Latina. Durante il viaggio ho cominciato a disegnare, e quando sono tornata in Messico, mi sono iscritta alla scuola Esmeralda dove Frida aveva insegnato molto anni prima. Lì ho studiato disegno, lavorando molto con i modelli; la sera a casa disegnavo con l’inchiostro. Nel settembre del 1985 c’è stato il terribile terremoto di Città del Messico, mi sono molto spaventata, così mi sono trasferita a New York dove ho iniziato a lavorare presso un’impresa francese. A New York ho scoperto l’abstract expressionism, Willem de Kooning, Franz Kline, Hans Hofmann, Jackson Pollock, e ne sono rimasta entusiasta. In quel periodo ho cominciato a dipingere con l’olio su grandi tele e a introdurre il colore nella mia pittura, con grande campiture e penellate di colore — in particolare grigi e azzurri con punte di giallo e rosso.

Quanta importanza ha per te il disegno nelle composizioni più recenti, che contengono elementi del collage e utilizzano materiali diversi?

Il disegno è sempre stato fondamentale per me come metodo di osservazione e anche pratica di meditazione. Durante il periodo newyorkese ho anche studiato la prospettiva con mio marito architetto e ho cominciato a disegnare in profondità. Sono stata invitata a partecipare a una mostra importante sul problema della distruzione della foresta tropicale: ho dipinto un enorme quadro color giallo intitolato Andropolis, dove delle scimmie, in mancanza di alberi, stavano appese alle linee dipinte sulla superficie del quadro. Questo quadro mi ha portata al tema dell’opposizione tra la natura e l’artificialità. E' un tema che seguo tuttora. Ho poi frequentato l'Art Students League di New York nel reparto Incisione, e ho lavorato su lastre di metallo con la cera molle; la pratica dell’incisione ha cambiato radicalmente il mio genere di pittura, che è diventato più astratto. Quando sono tornata insieme a mio marito a vivere in Italia ho trasposto la tecnica della cera molle nel lavoro di pittura all'olio, utilizzando anche l'encausto e sfruttando materiali come le reti di plastica per simboleggiare l'artificialità in contrapposizione alle figure umane, che per me rappresentano la naturalità.

Il titolo della mostra, Zona d’ombra, ha un significato particolare per te? Si nota in diversi quadri la presenza di figure umane in filigrana, che emergono lentamente allo sguardo come fantasmi dal passato.

La rappresentazione di figure umane è fondamentale nei miei quadri. Sono dei fantasmi però rappresentano anche la realtà di noi essere umani, gli unici animali di questo pianeta a poter esprimere i nostri dilemmi e le nostre questioni esistenziali attraverso il linguaggio verbale mentre affrontiamo l'artificialità che si sviluppa ogni giorno di più. Ormai, per colpa dell’industrializzazione, siamo nella fase di riscaldamento del pianeta. I ghiacciai si sciolgono, la temperatura del mare si innalza. E' sempre l’eterno dilemma Natura/Cultura....

Quadri precedenti di Caroline Gallois sono riprodotti nel libro Gallois di Giuliano Serafini, Edizioni Polistampa, Firenze.