"Eros e Thanatos riuniti in una logica delle assenze e dei non luoghi che prendono il sopravvento e confluiscono in un’immagine del tutto sorprendente nei risultati; risultati che vanno ben oltre le logiche costruttive e sfondano i canoni estetici convenzionali per proporre una realtà divisa tra forme astratte e dimensioni fluttuanti di un reale parallelo, dove sogno e pazzia sembrano incontrarsi tra le note di brani mutuati della musica electronica anglosassone. Questo non essere attraverso la rilevante componente di autorendersi un fantasma, permette a Ivan Piano di produrre opere estremamente raffinate, concettuali, dove l’atto creativo in tutte le sue parti va a confluire nel proprio ego, quasi a riportare in voga il mito dello specchio che riflette mondi nascosti e misteriosi. Questo è il 'pensiero cloisonné' di un artista ambivalente che rinchiude non solo se stesso o la sua auto rappresentazione, ma tutte le divagazioni eroiche ed epiche di una generazione cresciuta a cavallo degli anni ‘80 e ’90 del ‘900, sfuggendo a una realtà dell’immagine mostrata a tutti i costi per mezzo di un’autonegazione, sfaldando l’usuale ricerca del bello assoluto con il dubbio perimetrale dell’incerto e del travestimento spettrale. Questo rivelano le opere conturbanti e assolute di Ivan Piano, spirito libero che attraverso un lungo viaggio anche tra le persone a lui care, la letteratura, la musica e la natura arriva al perigeo di se stesso con la deformazione e la deframmentazione della propria immagine, per rivelarci un’anima geniale."
(Sabrina Raffaghello)

Chi è Ivan Piano?

Ivan Piano è il fruscìo della puntina di un vinile, “l’imperfezione”.

Cosa, del mondo che ti circonda, attrae la tua attenzione e cosa riesce ad avere un effetto tale da influenzare la tua ricerca artistica?

Proprio come un dj copio, incollo, remixo e creo opere frutto di stratificazioni a loro volta stratificate. Capto ed elaboro il B-Side proprio come quello di un vinile, quell’altro lato che è quello che non si vuol mai far vedere e ascoltare, ma che esiste e ha una sua dignità. Questo lato freak, oscuro e profondo è di fatto il più interessante e vivo, nasconde la vera vita da scoprire e da plasmare. Da questa oscurità emergono le mie opere che sono o il frutto dell’alienazione e del disfacimento interiore e esteriore dell’essere umano, o del vissuto sociale e privato dell’intera mia vita. Tutta la mia ricerca artistica è un lungo viaggio tra le opere del passato, della letteratura, della musica, delle persone a me care e della natura, che, deframmentate e riassemblate, fanno rivivere i sali d’argento e i video in 8mm.

Come nasce il tuo interesse per la fotografia?

L’amore per la fotografia nasce per l’ossessione del narcisismo spasmodico. Quando ero studente al Liceo Artistico già rielaboravo i miei primi autoritratti in b/n con la fotocopiatrice e/o fotocopiando il mio corpo per poi intervenirci con colori e altri materiali tridimensionali, ricercando sempre il continuum spazio temporale con la società che mi circondava. Successivamente, durante gli anni accademici, le fotografie e i video da “semplice contorno” e come “semplice presenza” nelle performance, nelle installazioni e negli ambienti processuali che creavo con materiali di risulta, sono diventati, grazie a uno studio meticoloso, il fulcro di tutta l’attuale ricerca. Segno e manipolazione dei negativi, il punctum dell’intera ricerca artistica, sono nati sia grazie al mio amore verso quella che Anthony Julius chiama “trasgressione”, sia all’amore per la produzione fotografica dei primissimi anni della nascita della fotografia. Oggi tutta l’estetica della mia ricerca è figlia di quel tempo, tutto è studiato relazionandomi con quel passato, persino le cornici che scelgo per le opere sono quel segno vissuto alla fine dell’800.

Qual è il pensiero/progetto che sta dietro le tue opere: il tuo lavoro nasce dall’impulso che segue a un’idea o a una necessità? C’è un filo conduttore tra le tematiche affrontate nei tuoi progetti fotografici?

Qualsiasi mia opera nasce da un’idea. L’idea è il frutto di un percorso sia passato che presente, il frutto di un amore, l’amore per un brano musicale, per un’opera letteraria, per un’emozione legata al vissuto quotidiano, talvolta privato. Tutto è il frutto di un metodo di lavoro ben preciso. Dopo l’amore per quel dato elemento, schizzo e abbozzo il progetto utilizzando anche materiale web per poi passare agli scatti o alle riprese video. Ma è sul campo che il magma esce fuori. Tutto l’operato è il fulcro di quella “imperfezione” che io ricerco sempre e ovunque. Il fulcro di questa “imperfezione” è il filo conduttore che da vent’anni accompagna le mie opere. Ovviamente all’inizio questo stato altro era più selvaggio e arrabbiato, mentre oggi è esteticamente e lievemente più zen, ma pur sempre freak!

Che approccio hai con la “materia fotografica” per arrivare agli aspetti contenutistici e concettuali delle tue opere?

Le mie opere sono completamente fuori dagli schemi tradizionali del “concetto classico di opera”, ovvero non seguono gli schemi tipicamente attuali di rappresentazione e di montaggio. La manipolazione dei sali d’argento avviene con graffi, bruciature, contaminazioni chimiche acide, pittura, scotch e polvere e in alcuni casi effettuando dopo la stampa viraggi e colorazioni a mano. La “materia” è il poter toccare le pellicole e i nastri video, è il poter scolpire e sentire la fotografia, è il poter sentire la chimica della camera oscura durante la fase di sviluppo e stampa. Come per la fotografia anche per il lavoro video vi è il mondo analogico. Non utilizzo nessun programma di montaggio digitale ma esclusivamente videocamera, televisore e suoni in sincro come linfa artistica. Ogni video viene materializzato così come si vede, girando il tutto seguendo uno storyboard preciso. La “materia” è, nelle mie opere video, l’immagine sfalsata, il suono completamente sporco e un montaggio sì preciso, ma completamente non convenzionale rispetto ai tempi di oggi oramai globalizzati dall’estetica della pura perfezione.

Nella resa finale di un progetto fotografico quanto peso hanno la pianificazione e la ricerca e quanto è imputabile, invece, all’imprevedibilità?

Parlando di canoni non convenzionali e di manipolazione, ovviamente l’imprevedibilità, per quanto la ricerca possa essere maniacale è sempre in gioco e io lascio sempre spazio anche a un piccolo margine di errore, quell’errore fotografico e video che, se ben studiato, paradossalmente lascia aperte infinite soluzioni formali.

C come consapevolezza, M come memoria, P come persona... che significato hanno queste parole nella tua ricerca artistica?

Consapevolezza è la “materia” a partire dalla quale posso sviluppare l’idea di base.
Memoria sono le tracce che mi circondano per poi utilizzarle nella produzione delle opere.
Persona è il proprio sé in tutte i suoi stadi trasportato nelle infinite manipolazioni.

Se ti chiedo di rivolgere la tua attenzione dal cosa ricordi (il contenuto di una determinata esperienza) al come la ricordi:

• ricordi soprattutto le sensazioni?
• oppure è più forte il ricordo dei colori?
• ricordi soprattutto le voci, i suoni o il silenzio?
• oppure il volto delle persone?
• il profumo o l'odore di qualcosa in particolare?
• altro?
Sensazioni, voci, suoni, silenzi di suoni, sono infinite le sfumature dei ricordi di persone o cose, e tutte possono stimolarmi artisticamente.

Quale dei cinque sensi utilizzi più frequentemente, più volentieri e con più familiarità quando lavori?

Non esiste un solo senso, per il mio modo di operare i cinque diventano quel grande monolite nero tanto caro a Stanley Kubrick.

Quali delle tue opere ci proporresti come punti di snodo fondamentali nel tuo percorso?

A questa domanda più volte fattami, rispondo sempre che non ho una particolare opera da proporre. Ogni opera è una piccola parte di me che cammina nel mondo. La mia ricerca è partita come pseudo body artista, dove il disfacimento e la negatività del mondo che mi circondava era il nucleo fondamentale, le cui opere trattavano temi come droga, rave party, modificazioni corporali, B-movie e suoni electronici con elevate battute per minuto. Oggi invece è tutto lievemente zen, calmo, i suoni sono sempre underground e cupi ma hanno toni caldi. Il corpo non guarda solo più se stesso ma anche corpi femminili privati, nature morte, antichi mondi giapponesi, le grandi opere classiche del passato e l’intera sfera sacra. Per il futuro cito (scherzando) Lorenzo de’ Medici: “… di doman non c’è certezza”.

"La rilevante componente di autorendersi un fantasma permette a Ivan Piano di produrre opere estremamente raffinate, concettuali, dove l’atto creativo in tutte le sue parti va a confluire nel proprio ego, quasi a riportare in voga il mito dello specchio che riflette mondi nascosti e misteriosi". Così Sabrina Raffaghello introduce la personale intitolata Decay & Sublime che ti ha visto protagonista fino a fine ottobre alla galleria Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea di Milano. Cosa ti ha portato alla creazione di questo tipo di foto e a cosa hai puntato, cosa hai cercato di ottenere sin dal primo momento?

La mostra Decay & Sublime (è la terza personale con la galleria Sabrina Raffaghello) racchiude i miei primi quindici anni di ricerca, una personale in chiave mini antologica. Insieme a Sabrina ho scelto le fotografie, i video e i libri d’artista più rappresentativi. Tutte le opere esposte provengono dalla Quadriennale di Roma del 2003, dalle Biennali di Venezia del 2011 e del 2013, dalle Biennali di Video Fotografia di Alessandria del 2008 e del 2011 e dalle personali e collettive più importanti tenute presso gallerie, musei, fondazioni e fiere sia in Italia che all’estero. Il concetto di base è il fulcro dei miei vent’anni di ricerca, ovvero, il disfacimento interiore e esteriore dell’uomo e della società, e la sublimazione anche delle forme classiche derivanti dall’uomo e dalla natura. L’intera personale è stata pensata con un accompagnamento musicale (in quanto ex Dj, è da sempre fondamentale la presenza della musica) di diciassette brani tutti di matrice electronica per coinvolgere lo spettatore a trecentosessanta gradi. Rivedere e ascoltare la profonda matrice della propria ricerca svolta in venti anni di attività è servita per direzionarsi sempre con lo stesso “spirito imperfetto” in differenti pianeti underground. L’ultima produzione (mi riferisco agli ultimi due anni) è il punto di partenza per questa nuova ricerca in cui i sensi mi portano a esplorare l’erotico, il profano, l’Oriente, la natura morta e il mio disfacimento, visto però con occhi più maturi e selettivi.

Quali sono le “sfide” che proponi a te stesso come artista? Come continui a sperimentare?

La parola “continui” è poco appropriata. La mia ricerca è partita come sperimentazione, ed è questa la sfida, sperimentare il proprio sé e i materiali utilizzati nella propria ricerca, perché è nella sperimentazione artistica la vera chiave di volta. Lavorare in camera oscura o con materiale video analogico permette di combinare chimica e fisica, e di poter trovare sempre nuove soluzioni senza che un computer, una macchina o un software ti dia un menù standard bello e pronto. Come fotografo e video artista mi interessa moltissimo il poter ricreare “l’imperfezione” che mi circonda, non amo affatto la perfezione, e il confine labile con la “bella fotografia” o la “bella inquadratura” mi irrita moltissimo. Tutto ciò che fotografo, che sia il mio corpo o meno, dev'essere restituito in maniera selvaggia, oscura e decisamente poco corretta nei canoni (almeno nei limiti del concetto classico di canone). Personalmente sono nauseato dall’uso spropositato e quasi sempre inutile delle cosiddette nuove tecnologie che vogliono imitare l’analogico, ove per la maggior parte dei casi, i risultati sono quasi sempre kitsch ed esulano da concetti profondi.

Cosa vuoi che le tue opere dicano a te stesso e a chi le osserva?

Devono trasportare e trasportarmi in isole lontane, mondi oscuri che in fondo si trovano in ognuno di noi e dove spesso risiede la verità vera.

Quali sono le motivazioni, le spinte, i condizionamenti, i limiti e le conseguenze di essere un artista oggi?

Essere artista oggi vuol dire esser consapevole di profonde trasformazioni sotto tutti i punti di vista, il concetto di artista bohémien ormai non regge più, o meglio, si è trasformato in colui che in alcuni casi provoca soltanto per inseguire una moda inutile e vuota. L’artista è oggi come ieri un “marziale”, un guerriero che deve combattere per farsi strada, per arrivare e per padroneggiare tutti i lati di quel poligono chiamato arte. La pratica artistica deve essere accompagnata da una crescita mentale, una dedizione all’arte. Bisogna avere un’estrema passione e rispetto per quello che si vuol proporre senza mai seguire i falsi condizionamenti economici. L’artista deve rispettare la sua ideologia, ma al tempo stesso deve essere aperto alla crescita e ai cambiamenti per essere così in grado di saper raccontare il proprio tempo.

A che cosa può aprirsi il mondo attraverso l’arte?

Alla Torre di Babele!

Quanto può essere utile oggi a un artista esporre in un determinato contesto? E quanto può essere utile il suo passaggio al contesto che l’accoglie?

Il “determinato contesto” è fondamentale. Esporre in eventi di rilievo favorisce il nome nel mercato di un artista, ma è ovvio che poi la responsabilità verso se stesso o per chi investe su di esso, cresce in modo proporzionale. Questo punto è per un artista lo scoglio più alto da superare. Esporre in mostre importantissime e mantenere costante la sua ricerca e crescita, sia artistica che di mercato, vuol dire non essere commerciale e rinnovarsi continuamente. I passaggi per chi si affaccia e per chi vuol continuare a far l’artista devono essere graduali. Immettersi o immettere un giovane in contesti altissimi vuol dire bruciare subito la fiamma rischiando di creare una bolla di sapone che al primo soffio scoppia. Ai miei allievi dico sempre che è solo con lo studio, la parsimonia e tanta energia che si possono raggiungere i risultati tanti aspirati.

Che progetti hai in cantiere?

I prossimi progetti sono legati a un ritorno al mio corpo “solitario” in chiave metafisica, allo studio degli antichi mondi giapponesi e all’esplorazione di tematiche sacre ed erotiche.

Dai la risposta alla domanda che volevi io ti facessi e che non ti ho fatto...

… In questo momento ascolto Sonata No. 14 in C#m (Moonlight Sonata).