Pierre Klossowsky ci ha reso eredi di importati insegnamenti culturologici. Inevitabile non ricordare uno dei più importanti anelli filosofici del maître à penser, e cioè il passaggio dallo speculativo allo speculare ovvero la tipica falsificazione che si cela alla base della riproduzione delle immagini nella cultura occidentale. Nel mondo contemporaneo il simulacro sostituisce il principio di realtà, l'individuo non incontra mai un'esperienza autentica, ma riproduzioni di una realtà assente. Vi sono tante copie senza un originale.

Simulacro inteso quindi come trasposizione ed elemento fantasmagorico. Ed è proprio oggetto di simulacro il corpo di Roberta, protestante, atea, attivista radical-socialista e moglie di Ottavio, prete fallito, teologo vizioso, specialista in perversioni, personaggi protagonisti del romanzo triologia klossowskiano, Le leggi dell'ospitalità. Ottavio tenta di gettare ogni uomo che entra in casa tra le braccia della moglie, moltiplicando così per lei le occasioni di "peccato" in maniera di farle riconoscere la legge divina, sfidando il suo pudore e portandola al cedere. Offrendo il corpo della moglie ecco le leggi dell'ospitalità.

Un'ospitalità perversa quella di Klossowsky, che tira in ballo altre speculazioni filosofiche, da Benveniste a Derrida. Se per il primo la pratica dell'ospitalità rientra in parametri economici del dare e avere, è hostis colui che a un dono fa seguire un contro-dono. L'hostis per gli antichi romani non era uno straniero perché gli venivano riconosciuti gli stessi diritti dei cittadini. Derrida invece rifiuta questa parità reciproca ritenendo che affrontare il tema dell'ospitalità significhi porre una "questione del fuori". In quel fuori assoluto vi è una presenza giuridicamente innominabile. Non ci sono nomi e cognomi, tale ospitalità è assoluta e rompe con l'ospitalità di diritto. Riferendosi a Klossowski, Derrida nota che lo straniero diviene un liberatore, il padrone di casa ostaggio della propria soggettività, solo tramite una presenza estranea può porsi in una condizione di ospite. Il corpo di Roberta viene donato agli ospiti per essere meglio posseduta dal marito, il quale si logora per possederne appunto l'interezza. Gli oltraggi subiti alimentano sdoppiamenti e rovesciamenti, simulacri di una natura che si nasconde. Ottavio incita la sposa a commettere adulterio perché vuole scoprire le vere identità della sposa, pensando di conoscerne solo un'identità apparente, le pluralità di nature si manifestano solo tramite il contatto con lo straniero.

Le leggi dell'ospitalità è il titolo della mostra che ha luogo alla galleria bolognese P420 fino al 15 novembre a cura di Antonio Grulli. Il titolo della mostra ben eredita tutta la complessità che di fatto appartiene alle opere esposte. Sei artisti, una collettiva che giovani e mid career legati per nascita o formazione alla città di Bologna. Una scelta quindi che diventa cerniera e dialogo fra varie generazioni. Eva Marisaldi (1966) e Italo Zuffi (1969) fanno parte delle generazione degli artisti emersi negli anni Novanta, una scena così influente da far parlare Obrist di "miracolo Bologna". La mostra quindi tiene conto di un certo background artistico culturale bolognese che ha visto intellettuali importanti come Daolio, Pozzati, Gianuizzi e l'Alinovi; proprio il pensiero di Francesca, basato sugli studi dell'avanguardia dada, surrealista e situazionista, saranno fondamentali per tutta l'arte e la cultura realizzata a Bologna. Ma anche alcuni luoghi furono determinanti, come la Galleria Neon, l'Accademia, e negli anni novanta il Link, poi lo spazio Raum e l'associazione Xing, all'interno del quale si sono esibiti Riccardo Baruzzi (1976) e Cristian Chironi (1974). La mostra include infine due giovani artiste legate ancora al mondo accademico, come Costanza Candeloro (1990) e Giulia Cenci (1988).

L'esposizione si apre proprio con Alice's Adventures Undreground, del 2014, una serie di nove disegni a matita su carta della Candeloro. Dopo aver studiato all'Accademia di Belle Arti di Bologna sta terminando i suoi studi presso l'Head di Ginevra. Acuta osservatrice dell'immaginario, lo puntella di lucide e interessanti riflessioni. Il lavoro dell'artista si concentra sulla frammentazione e destrutturazione delle forme narrative, dei libri, dei sistemi educativi. Alice's Adventures underground era il titolo originale del manoscritto di Alice's Adventures in Wonderland. Alice da tramite per un fuori, Alice come frammento, come passaggio e come variazione. Poiché le cose in realtà non sono mai come si presentano. Come non ricordare l'esperienza radiofonica di Radio Alice nata sul finire degli anni Settanta. Un fuori che si concretizzò on air. Decisamente poco elementare tra le righe di una pagina di quaderno riecheggia "cattiva maestra televisione". Se l'artista mantiene un segno leggero a matita, sicuramente la forza contenutistica ne fa da contrappunto e rende estremamente speciale e pungente il lavoro della Candeloro. Un contrappeso di elementi espressivi, tra forma e contenuto.

Sempre nella prima sala troviamo anche un lavoro introduttivo ad altri pezzi che troviamo esposti nella seconda sala, un acquerello e succo di mirtillo di Riccardo Baruzzi. Ordine 1, 2, 3 e 4 infatti sono delicati segni e tracce, leggiadri matita e pennarello e gouache su calicot e acrilico su carta. Toccate e fuga nell'istante di una memoria. Lavori a più piani e strati di visione. Le tracce di figure o oggetti si perdono tra semitrasperenze, una prospettiva illusoria e velata. Lo spazio di fondo, sempre che un fondo ci sia, è un salto nel vuoto. E i segni da questo vuoto emergono sul filo, a galla, dal profondo della superficie. Una pittura destrutturata, smontata e scomposta, come una frattura o un gioco di un bambino. C'è in Baruzzi un'analisi delicata ed elegante dell'immagine, quasi evanescente. Nella stessa sala, Eva Marisaldi con Livingrooms, sceglie di esporre un telo dipinto a spray con l'immagine di una sedia da studio psicanalitico, un grande bicchiere, delle statuette, delle piantine in plastica, uno specchio e una foto in cornice. Tutto sospeso in un'atmosfera perturbante. Ci sentiamo come Alice sospesa tra frammenti in procinto di attraversare lo specchio. Folle.

Accanto al lavoro della Marisaldi, Chironi con Broken English: step 3 Connections or set, del 2013. Differenti tappeti poggiati al muro in moto ascensionale, differenti tessuti, saranno distesi uno sopra l'altro invece quelli nell'ultima sala. Il primo tappeto "recita" la scritta Welcome. Broken English: step 3 fa parte di una mostra tenuta al museo MAN, una rizomatica performance in più step. Il termine indica le varianti incerte della lingua inglese, terminologie perlopiú coniate da soggetti non di madrelingua. E' più forte una società che possiede una sola o più lingue? Da questa riflessione è scaturita la mostra Broken English, dove elementi del linguaggio diventano immagini, oggetti, suoni e cose. L'idea portante è sicuramente che non nella purezza bensì nell'intreccio, che sia di lingue, tecniche, mestieri o usanze, si cela la vita. La vera vita. Commistione e contaminazione le "c" di Chironi.

L'ultima sala accoglie altri due lavori della Marisaldi, il video Steadygirl del 1996 ci accoglie con suoni zen, girato all'interno di Palazzo Albergati a Zola Predosa, l'artista visita e penetra il luogo con il proprio corpo-occhio divenuto videocamera. Tra il mistico e il surreale ancora per una volta ci sentiamo Alice. Lo sguardo si perde così tra scalinate, affreschi, sedie, un non-luogo autentico. Fantasmagorico e simulacro mimetico. Coverage del 2014 sono invece progetti per tappeti, stampe su alluminio di immagini prelevate da Google Earth; la Marisaldi dunque adotta una trasposizione flat per tutti quei profili di luoghi. Operazione inversa e opposta invece fa Italo Zuffi con Profilato Villa, se quello che ci appare dinanzi può sembrarci un oggetto di design, non ci fermiamo allo specchio ma lo attraversiamo e troviamo così un rovescio dell'ordinario. Profilato villa non è che la resa tridimensionale di una pianta di un edificio palladiano. Un perfetto estraneamento Carrolliano.

In risposta ai suoni zen di Steadygirl ecco provenire da sette baccelli in ceramica dei fischi. Gli ignari di Zuffi non sanno o meglio non vogliono fischiare in maniera corretta. Straniamento e perturbamento. C'è sempre qualcosa che sfugge, qualcosa che fugge alla percezione, alla possessione di una totalità, proprio come ci ricordava Klossowsky. "Chiudono" questa visita ermetica e complessa che richiede sicuramente tempo e attenzione, i lavori della giovane Giulia Cenci che ha il merito di aver creato negli ultimi anni uno dei progetti più stimolanti (attualmente in giro) insieme ad altri colleghi dell'Accademia "Interno 4" in cui vengono coinvolti artisti italiani e stranieri nella realizzazione di mostre all'interno della loro abitazione, ma non solo. Un progetto sicuramente in linea con la filosofia del'"ospitalità".

La ricerca della Cenci è prevalentemente scultorea, difatti nei due lavori esposti utilizza materiale che richiede di essere lavorato e maneggiato come poliestere, polvere di marmo e argilla, plastica. In Almost Invisible una sagoma di sedia, che fa da eco anche se in maniera totalmente differente a quella della Marisaldi, è poggiata al muro anch'esso bianco. Un'assenza presente. So untouchable. La Cenci sceglie due interventi estremamente ruvidi, vibranti e leggeri, dei bianchi ombrati dall'invisibilità indivisibile dell'essere. Bombardati come d'uso dalle vorticose e fameliche successioni di immagini senza respiro Le leggi dell'ospitalità ci rende ospiti di un tempo che da troppo tempo non ci concediamo.