L'occhio attraversa la luce, le palpebre ammiccano, la cornea s'irrora ed emerge l'immagine.
Il tatto dell'occhio sussurra il dettaglio dal “nulla”, di ciò che del “nulla” conta.
La possibilità d'incontro è la patina temporale del bianco e nero che si macchia di grigio e si lava di luce.
Questa grafica dell'immagine è la parola che la Corea aggiunge al mondo della fotografia.
Il verbo di uno dei suoi maestri più celebri: Koo Bohnchang.
Nei suoi scatti fotografici la superficie affonda in ciò che viene prima delle parole.
Lo stato d'essere e la funzione mutano nel trasposto nitido di una diversa narrazione emotiva.
L'aria penetra nei ritratti dei vasi di porcellana della dinastia Joseon (1392-1910): da diafani contenitori, assumono la fiera postura del vento e si trasformano in velieri, sulla spuma bianca della luce (Vessel).
Il tema del trapasso del corpo ha il suo respiro ed il suo ritmo spaziale, nei livelli acromatici dei toni nebulosi dei grigi e nei tenui contrasti di un tocco luministico vellutato.
Il trapasso si manifesta attraverso il ritmo di quello spazio che s'incunea in esso e con esso, nell'occupare quel doppio luogo che è tra la vita e la sua fine (Breath).
La fotografia di Bohnchang si esprime anche attraverso la speculare identità del popolo coreano con le maschere: mascherandosi dilata involontariamente la melancolia di un agire sofferto, di un vissuto in conflitto (Masks).
Per Koo Bohnchang, il corpo dell'uomo, è stratificazione temporale che si trama in una soluzione a pannelli le cui tracce si sovrappongono e sormontano in costruzione armonica d'identità.
Il futuro, del tempo corporeo dell'anima, si esprime nell'accostamento, da legatura formale, il cui peso e consistenza, è dato dal peso della carta stessa e dalla dilatazione che dagli strati e dai fori cuciti, si espande dal corpo fotografico (In the Beginning).
Al bianco delle pareti è dedicato un'altro stadio del passaggio del tempo.
Bohnchang pone, come su di un vetrino, attraverso la perfezione prospettica, il candore dell'intonaco e vi annette lo sviluppo naturale del tempo, come soggetto emotivo astratto ed operante nel luogo (Interiors).
Le nervature vegetali sono scatti del contributo all'immaginazione che superfici e pareti ospitano come interpretabile partitura di ciò che la natura ci ha lasciato ricoprendo l'architettura ed abbandonandola (Nature).
Non v'è candore senza pulizia: Koo dedica a tale soggetto, il suo valore materico e cromatico attraverso la saponetta.
Saponetta che diviene preziosa e solitaria nel bianco fondale, così essenziale dall'essere disidratata alla luce e presenza cromatica “minerale” consumata come la vita (Everyday Treasures).
Vita che nella fotografia di Koo Bonchang è possibile esperienza del tempo che sussurra dalla luce le sue limpide tracce.

Cenni biografici:

Nato a Seul, Corea del Sud, nel 1953, è stato educato nella tradizione culturale buddista. Si è laureato in Business Administration presso l'Università Yonsei della stessa città. Dopo aver lavorato alcuni anni in una multinazionale, nel 1980, decise di seguire il suo interesse per l’arte e di trasferirsi in Germania per studiare fotografia alla Fach Hoch Schule di Amburgo. Nel 1985 rientrò in Corea iniziando ad insegnare alla Kaywon School of Art and Design. Attualmente è docente presso l'Università Kyungil nella città coreana di Gyeongsan. Le sue opere sono state esposte in numerose mostre personali e fanno parte di diverse collezioni museali e private negli Stati Uniti e Asia. Bohnchang Koo è considerato uno dei fotografi più influenti della Corea del Sud, non solo per la sua ricerca fotografica, ma anche per il suo lavoro di docente e curatore che ha notevolmente contribuito a formare e promuovere la fotografia coreana contemporanea.