Definita una delle dieci mostre da vedere in Italia, Arte dal Vero - Aspetti della figurazione in Romagna dal 1900 ad oggi presenta 93 personalità e 180 opere, tra pittura, scultura, grafica e ceramica, che mettono in rilievo figure e momenti del lungo percorso che ha caratterizzato Romagna artistica dagli inizi del ‘900 ai giorni nostri. Già in passato, Raffale De Grada aveva riconosciuto, riferendosi a Umberto Folli e Giulio Ruffini, che in Romagna operavano pittori di livello “più che nazionale”.

Ora, l’esposizione imolese, a cura di Franco Bertoni e con la direzione di Andrea Emiliani, ci dà la conferma della variegata produzione artistica romagnola, che sa attingere, con opere e personaggi, vertici e riconoscimenti che vanno al di là dei confini locali e nazionali. “ In Romagna, con più insistenza di quanto non sia avvenuto in altre aree geografiche o culturali italiane – precisa il curatore - le arti figurative hanno dimostrato – dal primo Novecento fino ai nostri giorni - continuità, persistenza e una singolare capacità di aggiornamento linguistico. Una vitalità che oltrepassa, visti anche i successi nazionali e internazionali ottenuti da alcuni dei suoi protagonisti, i limiti di un moto protrattosi per la sola forza inerziale indotta dall'eredità antica o ottocentesca”.

Già dal titolo Arte dal Vero, si percepisce che si tratta di una rassegna che presenta uno stimolante risvolto critico, a sottolineare come: “Dopo gli anni delle eversioni neo-avanguardiste, concettuali o poveriste, i sottili legami che univano, consciamente o inconsciamente, giovani artisti fuori dal coro con maestri locali ormai inascoltati … s’ingrossano, vanno in tensione e sprigionano nuove energie.” E’ una sorta di ritorno alla tradizione, ma “intesa nel suo senso più proprio di continua evoluzione, che non ha mai ceduto completamente le armi di fronte agli spettri della morte dell’arte ( o del fatto ad arte )…”.

Quindi Arte del Vero è da considerarsi un evento in controtendenza, che serve a sfatare i luoghi comuni di un’arte provinciale passatista, legata solo a un’autoreferenziale tradizione accademica. E, lapidariamente, Bertoni conclude così il suo lungo e motivato intervento nel ricchissimo catalogo: “Le grandi teorizzazioni, anche quelle futuriste, sono ormai carta da macero ma non lo è certo l’umanissimo, eternamente dubitante e pur riconoscente sguardo puntato su quel mistero che è il vero.”

Abbiamo chiesto al prof. Sergio Baroni, esperto e consulente d’arte, nonché romagnolo di origine e di cultura, di approfondire alcuni temi della mostra.

Sono tante la mostre sul Novecento che si sono viste in questi anni e che dal moderno arrivano al contemporaneo, come quella in corso a Imola curata da Franco Bertoni, Arte dal Vero. L’aspetto interessante di questa mostra è, a mio parere, che raduna artisti legati a un territorio dalla storia culturalmente così ricca da poter avere riscontro a livello internazionale.

Possiamo approfondire questo tema dell’intreccio tra territorio e cultura?

Il territorio lo intendo, non come provincia italiana delimitata dalle riforme napoleoniche, ma come l’insieme delle diocesi di derivazione apostolica e quindi in riferimento alla storia antica. Così intesa, la Romagna diventa molto più vasta rispetto a oggi, abbracciando componenti storiche e artistiche che altrimenti rimarrebbero fuori dall’ambito romagnolo e di conseguenza non si potrebbe cogliere il legame degli artisti con le antiche radici storiche del territorio. Si pensi al sito archeologico di Spina, l’antico porto etrusco che fu importante emporio del mondo antico tra la metà del VI e gli inizi del III secolo a.C., un polo di primaria importanza in grado di dialogare con Atene, testa di ponte dei commerci tra etruschi e greci nel Mediterraneo, anello di congiunzione tra Oriente e Occidente. Spina fu scoperta solo per caso nel 1922 durante le opere di bonifica delle valli a nord di Comacchio, ridando alla luce terrecotte e bronzi di magnifica fattura greca. Furono questi ritrovamenti a ispirare la produzione “etrusca” di molti artisti della Romagna, fra cui Angelo Biancini. Se si guarda alla sua produzione in bronzo, egli dà vita a opere che guardano alla classicità, ma soprattutto ai ritrovamenti coevi che venivano riportati alla luce nel territorio romagnolo. Ritrovamenti che gli ispirarono anche la produzione ceramica negli anni in cui fu direttore artistico della Fabbrica di Laveno (1935-1939), con l’uso del verde (il “verde Biancini”) che rimandava agli oggetti usciti dagli scavi. Ecco che in questa chiave di lettura, in cui la Romagna ha confini più vasti rispetto a quelli della regione odierna, le opere degli artisti romagnoli acquistano a mio giudizio un valore internazionale.

E l’arte ravennate-bizantina che influenza ha avuto?

L’avvicinamento tra Oriente e Occidente in Romagna proseguì, dopo il periodo etrusco, con l’Impero Romano e poi con i regni barbarici e il dominio bizantino, con passaggi culturali, artistici, antropologici che hanno lasciato testimonianze note in tutto il mondo. Basti pensare ai monumenti dell’arte bizantina di origine, che per bellezza e completezza si trovano soltanto a Ravenna: Sant’Apollinare in Classe, Sant’Apollinare Nuovo, San Vitale, Galla Placidia. Va da sé che tutti gli artisti romagnoli hanno dovuto fare i conti con l’arte bizantina e prenderla come punto di riferimento, da Angelo Biancini a Domenico Rambelli, a Ercole Drei, che nella loro “classicità” hanno guardato alla monumentalità delle raffigurazioni orientali, composta da figure statiche e ieratiche che in epoca medievale saranno sostituite dal naturalismo giottesco.

Ma dopo questo periodo di splendore, ci sono, anche nel basso Medioevo, testimonianze artistiche di grande valore.

Sì, basti pensare allo stile “rivoluzionario” di Giotto, che ritroviamo nella splendida abbazia di Pomposa. E’ del XIV secolo il ciclo di affreschi , che appartiene alla sua scuola, rappresentata sul territorio romagnolo da Pietro e Giovanni da Rimini. A Pomposa, come a tutte le abbazie sotto la regola benedettina “ora et labora”, si devono la cura dei campi - e in questo caso anche opere di bonifica per la zona particolarmente malsana - oltre alla conservazione e alla trasmissione della cultura, con la salvaguardia e la trasmissione dei manoscritti. Non stupisce dunque se il lavoro nei campi, le fatiche agricole, la vita contadina e dei pescatori, gli attrezzi e i carri trainati dai buoi siano soggetti che appaiono spesso nell’arte romagnola. Soggetti che vediamo anche negli artisti della mostra in corso, come Maceo Casadei, Giovanni Malmerendi, Tommaso Della Volpe, Giulio Ruffini.

Queste “impronte” del passato sugli artisti romagnoli moderni e contemporanei le ritroviamo anche nel Rinascimento e oltre?

Certamente, perché altro importante filone artistico-culturale che segna il territorio romagnolo è quello rinascimentale, con Rimini e il Tempio Malatestiano, Urbino (che rientra nella Romagna in senso culturale ed artistico), con la sua architettura, la pittura, la ceramica, Ferrara (che nella nostra lettura è sempre romagnola), sede del ducato estense. La ceramica fiorì, tra ‘400 e ‘500, soprattutto a Faenza, centro di fama a livello mondiale, tanto da dare il nome al materiale con il termine “faience”. E’ un filone, quello rinascimentale, che spesso alimenta l’arte romagnola, anche la contemporanea, come possiamo vedere in Nicola Samorì, che nelle sue “visioni” ripropone l’arte del passato nei panneggi, nelle atmosfere, nell’eleganza di busti e figure umane, nei chiaroscuri seicenteschi. Non dimentichiamo infine la trasformazione architettonica e artistica neoclassica, che soprattutto a Faenza trova la sua massima espressione con Palazzo Milzetti, uno dei gioielli dell’architettura neoclassica. Sono stili e atmosfere che ritroviamo come costante in Ercole Drei e nei paesaggi del contemporaneo Cesare Reggiani. Forse non è un caso che siano entrambi faentini.

Possiamo parlare di una “scuola romagnola”?

Se di scuola dobbiamo parlare, possiamo rintracciarla in questo filone storico-artistico-culturale legato a una territorialità che alimenta anche le invenzioni più all’avanguardia, come quelle di Bertozzi e Casoni. Potremmo quindi far coincidere la “scuola romagnola” con questo territorio ricco di arte e cultura che ha nutrito i suoi artisti, capaci di ritrasmettere con la loro forza creativa e immaginistica ciò che hanno visto, assaporato, scoperto, respirato in Romagna.

Ha contribuito all’esposizione anche con una sua opera che ama molto.

Sono stato felice di poter prestare all’esposizione di Imola una delle opere che preferisco di Angelo Biancini, il ritratto in bronzo della contessina Zanelli Quarantini all’età di 13 anni. E’ uno splendido busto di grande qualità tecnica ed espressiva, in cui l’autore si distacca dalla monumentalità classica, moda dell’epoca, per eseguire un’opera di raffinata esecuzione che guarda, o meglio, rimanda all’arte affascinante del Quattrocento, con gli occhi e la sensibilità contemporanea di un grande artista scultore come Angelo Biancini.

E proprio per chiudere il cerchio con un grande lirico romagnolo, ecco il frammento di una prosa poetica di Dino Campana che sembra attagliarsi perfettamente a questa stupenda creazione di Biancini: “Un delicato busto di adolescente, luce gioconda dello spirito italiano sorride, una bianca purità virginea conservata nei delicati incavi … Grandi figure della tradizione classica chiudono la loro forza tra le ciglia”.

La mostra è visitabile presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Imola, il Centro Polivalente Gianni Isola e il Museo San Domenico.