Doris Salcedo affronta la memoria impiegando oggetti quotidiani, scelti perché intrisi di un importante senso della storia, impregnati della vita e delle storie raccontante che lei ascolta e raccoglie, attraverso le sue opere scultoree l’artista illustra il flusso del tempo, unisce il passato e il presente.

Nell’opera Plegaria Muda del 2008-10, il lavoro è costituito da due tavoli uniti, che si ripetono modularmente, l’installazione è composta da oltre cento coppie di tavoli (sono 162 copie di tavoli), l’opera evoca un luogo di sepoltura collettivo, i tavoli/bare di Plegaria Muda sono una sorta di preghiera dedicata alle persone che, nel silenzio non hanno voce per parlare della propria esistenza e apparentemente sembrano non esistere. Ogni tavolo/scultura, approssimativamente ha la lunghezza e la larghezza di una bara “standard”, ogni copia di tavoli è diverso dall’altro grazie a un attento lavoro, il legno è stato invecchiato e ingrigito. Sulla superficie del tavolo si intravedono delicati germogli di erba che evocano la vita che si riafferma. Quest’opera soprattutto è una preghiera che ci fa rammentare l’esistenza di chi è al margine, nel disagio e per questo è soprattutto un omaggio alla vita.

L’eco della vita ci raggiunge anche attraverso gli odori della terra umida e dell’erba fresca che cresce negli interstizi delle tavole del tavoli, nella disposizione labirintica dei tavoli i fruitori sono costretti a percorsi obbligati comportando un “attraversamento” geografico in un non-paese, dove l’osservatore compie un’esperienza coinvolgente e totalizzante di un funerale che mai ha avuto luogo. Andreas Huyssen nel suo libro Present Pasts, offre una descrizione dettagliata del lavoro di Doris Salcedo, nell’installazione Unland del 1997, The orphan’s tunic l’artista utilizza tre tavoli, ma ogni tavolo è frutto dell'unione tra due tavoli diversi assemblati tra di loro; quest’opera offre la possibilità a un osservatore attento di notare come i tavoli siano coperti da un velo biancastro di tessuto, presumibilmente si tratta di una tunica. Osservando ancora più attentamente da vicino l’opera, si nota “come se ci fossero centinai di peli umani che sembrano crescere attraverso la tunica”, idealmente “un filo” sembra quasi unire la tunica al tavolo. Nel capitolo che Huyssen dedica all’opera della Salcedo l’autore sembra porre un equivalenza tra la struttura dei tavoli e il corpo: "Se la tunica è come una pelle ... poi il tavolo guadagna una presenza metaforica come corpo, non ora di un orfano individuo, ma di una comunità di orfani".

L’opera Unititled 1995 è un mobile, un armadio guardaroba che espone il suo contenuto, attraverso le ante di vetro filtrano dalla porosità del cemento le pieghe degli indumenti. Uno spazio intimo registra e ferma uno spazio del vissuto, evocando persino un corpo ora assente. Il mobile documenta la topografia di uno spazio domestico intimo e quotidiano del quale è traccia. Questo carico di cemento ci inchioda lì, nel luogo della perdita. L’opera incorpora l’osservatore in un dolore universale che tende a includerlo nel ruolo di chi porta il lutto. Come definito da Giuliana Bruno nel suo testo Atlante delle emozioni, si tratta di una “architexture” della perdita. Untitled 1995 è parte di un grande gruppo di sculture Untitled create durante il 1990, si tratta di mobili in legno riempiti all’interno con il cemento, principalmente armadi, cassapanche, da soli o in combinazione con sedie, letti, tavoli e altre cassapanche. Le opere della Salcedo trasmettono il senso di un corpo mancante, assente, ed evocano un senso collettivo di perdita.

Una scultura intensamente fragile della Salcedo è A Flor de Piel, del 2012; un sudario composto da migliaia di petali di rosa cuciti, “una rosa né fresca né appassita”, in mutazione, l’opera A Flor de Piel è una scultura delicata e inconsistente, una pelle effimera. Mi sembra doveroso ricordare che il lavoro di Doris Salcedo è profondamente radicato nella realtà sociale e politica del suo paese, la Colombia, dove l’artista vive. Il procedimento utilizzato dell’artista Rachel Whiteread per la realizzazione delle sue opere inverte il vuoto in pieno e trasforma il negativo in positivo, come nell’opera Ghost, 1990, un calco in negativo del salotto di una casa londinese tradizionale. Rachel Whiteread esplora l'architettura, lo spazio, la memoria e l'assenza, le sue opere enfatizzano il negativo e rivelando i vuoti intorno a essi fa emergere temi di intimità, di vita domestica, d’infanzia, di perdita e di morte. Rachel Whiteread cattura nella materia tracce, segni, labili impronte della vita umana che un tempo quegli oggetti circondavano.

L’artista realizza sculture in resina e gesso ma anche calchi, i suoi lavori sono caratterizzati da una certa monumentalità, il materiale e la forma degli oggetti hanno una certa somiglianza con lapidi o mausolei. Nella monumentale opera House, 1993, realizza un calco in cemento di una casa vittoriana poi distrutta, l’opera è una sorta di critica alla speculazione edilizia nell'East End londinese. Per la mostra Detached realizza tre calchi imponenti che rivelano l’interno di capanni da giardino, i calchi catturano sia per meticolosa raffigurazione della realtà che per la monumentalità.

Molto interessante l’opera Embankment del 2005, calchi in gesso (14.000) riproducono il volume di scatole in cartone di forma e dimensione differenti; nell’opera Untitled (Paperbacks), l’artista realizza un'installazione ambientale composta dalle sagome in negativo di una libreria d’uso domestico.

"Rachel Whiteread lavora, modellando il vuoto architettonico degli oggetti di tutti i giorni e il vacuum dello spazio domestico. I 'volumi' di storie della sua House (1993-94) si fanno concreti una volta esposti in un solido calco del suo spazio volumetrico cavo. Proseguono nei mobili scartati e gettati in strada di Furniture (1992-92), nei buchi riempiti di un tavolo con sedia (Table and Chair, 1994), nel letto color ambra (Amber Bed, 1991) o in molti altri letti senza titolo (Unititled, 1991-92), nello spazio del Closet (1988), …”.
(Pag. 96 Atlante delle Emozioni, di Giuliana Bruno)