Quante storie sa raccontare un antico tappeto del Medio Oriente? I suoi fili di lana colorati e intrecciati ricordano le trame di infinite avventure, che parlano di storia, tradizione, religione e umanità.

Lo sa bene Amos Gitai (Haifa, 1950), regista, sceneggiatore, attore e architetto, che nella mostra Strade/Ways a Palazzo Reale a Milano ha presentato in anteprima la sceneggiatura del suo nuovo film ancora da realizzare, intitolato per l’appunto Carpet. Si tratta del cuore dell’esposizione, concepito come il gran finale. Ecco che scorrono le immagini di Ebrei dal difficile vissuto: un ungherese scampato ai lager che arriva in Israele nel '48, sognando una terra di latte e miele; o il giovane palestinese che racconta la storia di un uomo, che voleva domandare qualcosa a Dio ma, folgorato dalla bellezza del cielo, dimentica la sua richiesta, così come accade a tanti che non sanno più perché combattono. Accanto al video, le foto dei luoghi visitati alla ricerca dei tappeti e in cui si svolgono le scene del film.

E ancora manufatti preziosi, provenienti dall’Anatolia, il Caucaso e la Persia, selezionati da Moshe Tabibnia, un collezionista esperto d’arte tessile antica. In Medio Oriente, il tappeto ha sempre giocato un ruolo fondamentale nella vita quotidiana ed è anche il “punto di congiunzione tra diverse religioni e culture”, testimone di valori, simboli che si esprimono attraverso le forme e i colori e messaggi collettivi trasmessi dal lavoro delle donne tessitrici. Esther (1985), il primo lungometraggio di Amos Gitai, “è associato per sempre al mestiere dei tappeti e delle piccole miniature persiane che hanno ispirato il film”. La pellicola infatti è stata proiettata direttamente sul soffitto della Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale. Uno sfondo quasi astratto, fatto di colori: verde, giallo, rosso e blu, con al centro il nero, sul quale scorrono i diversi personaggi. E’ la vicenda della donna che sposa il re Assuero senza che lui sappia delle sue origini ebraiche e decide di sacrificarsi per salvare il suo popolo che sta per essere distrutto. Come spiega Amos Gitai stesso “Ways racconta la storia di fili che, come in un tappeto, si intersecano tra loro. Il modo in cui una giustapposizione associativa compone un nuovo significato”.

La memoria gioca un ruolo fondamentale nella poetica dell’autore e l’esposizione era fortemente autobiografica, iniziando dalla pellicola Lullaby to my father, dedicata al padre, l’architetto del Bauhaus, Munio Weinraub, che sfugge ai nazisti trasferendosi in Palestina e contribuendo a formare la nuova architettura israeliana; un film purtroppo di difficile visione, tanto si perdeva con voluti effetti di sfumato sulle nude pareti. Infine l’amicizia raccontata per immagini col fotografo Gabriele Basilico, recentemente scomparso. La Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, luogo intriso di memoria per i danneggiamenti della Seconda guerra mondiale, ha affascinato Amos Gitai, che ha creato installazioni ad hoc per l’evento, dopo aver allestito i suoi lavori in sedi prestigiose a Berlino, Tokio, Parigi, Bordeaux, Arles.