Come hai sviluppato inizialmente il tuo linguaggio pittorico? E’ stato uno sviluppo legato al processo di dipingere in se per se’ o uno sviluppo con radici in altri ambiti extrapittorici?

Il processo pittorico è la base per un artista che voglia esprimersi usando i mezzi classici della pittura.

Fin dall’inizio ho privilegiato quegli artisti che ponevano l’essere umano al centro della sua quotidiana condizione.

Da giovane studente, attraverso numerose visite nei grandi musei europei, ho imparato ad apprezzare il lavoro dei grandi maestri moderni. Ho sempre pensato che la realizzazione di un grande dipinto andava conquistata attraverso un uso appropriato dei “mezzi” che la pittura offre da sempre: il colore, il segno, la materia pittorica e soprattutto la luce.

Dico questo perché ritengo che il solo “concetto” o il “contenuto” non sono sufficienti per sostenere la forza di un’opera.

Inoltre ho sempre ritenuto che durante il processo creativo sia molto importante abbandonarsi a quella carica che il lavoro stesso provoca e lasciarsi sorprendere dalle situazioni che si creano durante il lavoro stesso.

Quali sono i tre più importanti artisti del 21esimo secolo, secondo te?

Il 21esimo secolo é ancora troppo giovane per poter redigere una classifica seria. Volgendo lo sguardo alla fine del secolo scorso oserei indicare i nomi di Anselm Kiefer e di Peter Doig. Per i primi anni del 2000, farei il nome di Lu Chao giovane artista Cinese formatosi a Londra dove vive e lavora. Mi sembra che abbia una seria formazione ed č ben motivato. Insomma é più credibile di altri blasonati artisti cinesi.

Ci sarebbero altri bravi artisti degni di essere menzionati che sono però oscurati da un mercato internazionale sempre più violento e sfacciato.

Tengo a precisare che la scelta di tre pittori puri non significa che abbia delle preclusioni per qualsiasi altro mezzo espressivo. (foto, video, installazioni) Viviamo però in una epoca in cui si cerca in tutti i modi di spettacolarizzare il mondo dell’arte, spesso in modo indegno e imbarazzante.

Io credo in un atteggiamento più riflessivo, silenzioso che si confronti anche con il passato prossimo della ricerca artistica.

Quale elemento, qualora esista, ha ispirato il tuo modo di trattare la luce?

La luce è alla base di qualsiasi dipinto; si potrebbe dire che la luce è lo specchio della propria anima. Non c’è nessuna strategia che la possa creare. La luce deve invadere in modo naturale tutta la superficie del dipinto: è la vita dell’opera stessa.

Il tuo modo di dipingere sembra permetterti di esaminare, commentare e sostituire i crimini dell’umanità con i tuoi lavori? E’ questo il tuo veicolo estetico per il perdono?

I bambini soldato, i disastri ecologici, le guerre fratricide, la crisi economica ecc., sono gli avvenimenti drammatici della cronaca di tutti i giorni che mi forniscono lo stimolo ispirativo. Non c’è nulla di premeditato. Sono sensazioni, percezioni di atmosfere che prendono forma dentro di me e poi, attraverso i mezzi della pittura cerco di esprimere e di comunicare. Non si tratta di riprodurre la realtà, ma di attraversarla, di fornire una sintesi interiorizzata. Non significa perdonare.

L’opera d’arte non deve documentare, ma aiutare chi la guarda a riflettere.

Sei speranzoso per il futuro? Pensi l’umanità sia perdonabile?

Un uomo senza speranza è un uomo morto. Non sono certo io in grado di condannare o perdonare l’umanità: é una domanda troppo seria. Credo che nessuno sia in grado di dare una risposta sensata.

Jacques Herzog dice “la tecnologia é importante, ma i computers non possono fare nulla senza l’assistenza della mente umana”. Cosa ne pensi riguardo questo argomento?

Penso che Herzog abbia pienamente ragione.

Il tuo controllo estetico nelle tue opere alla fine lascia ampio spazio per il piacere visivo e gratificazione estetica. I tuoi dipinti sono straordinari non solo per I contenuti e temi universali, ma rappresentano anche un vero piacere per gli occhi. E’ questo qualcosa che ti fa contento?

Il bello, l’eleganza, sono componenti essenziali del fare artistico. Bisogna però intendersi sul significato di queste parole.

Per me l’eleganza, la bellezza della pittura non deve mai essere fine a se stessa. Per questo motivo cerco di rifuggire da facili soluzioni di tipo decorativo, come del resto cerco di evitare il rischio di un semplice verismo o di un puro intellettualismo.

Cosa rappresentano le montagne per te e più in generale il paesaggio nell’ultima serie dei tuoi lavori?

In questa esposizione il paesaggio diventa a sua volta un importante protagonista. Con i riferimenti a situazioni drammatiche il paesaggio é un involontario complice dell’uomo rappresentato e appare come un campo di battaglia dove la figura umana ne esce quasi sempre sconfitta. In altri casi il paesaggio viene raccontato come un paradiso ambito, ma mai raggiunto per l’incapacità dell’uomo contemporaneo di superare i propri limiti.

Cos’é “quel che rimane”, oggi, per Cesare Lucchini?

"Quel che rimane" è una constatazione amara, sempre attuale, se si osserva la triste cronaca della quotidianità.

Sulla tela trasferisco successivamente le mie sensazioni di fronte alle minacce esistenziali del nostro tempo, tradotte pittoricamente in dolorose evocazioni.

“Quel che rimane” significa quel poco che sopravvive quando ci si confronta con queste dure realtà.

“Quel che rimane” non descrive l’evento, ma tende ad andare oltre l’apparenza delle cose. Cerca invece di comunicare un sentimento, una percezione diffusa ma impalpabili dell’esistere.

Cesare Lucchini. From Battlefield to Paradise, sarà presso la Rosenfeld Porcini Gallery di Londra dal 6 Febbraio al 21 Marzo 2015.