Il 5 marzo scorso la Fondation Baur, Musée des Arts d’Extrême-Orient di Ginevra ha aperto al pubblico una mostra per celebrare i 150 anni della nascita del suo fondatore Alfred Baur (1865-1951). Nell’interessante percorso sono esposte fotografie delle sue attività a Sri Lanka, accanto a libri della biblioteca personale, mobili e oggetti che illustrano la vita privata dell’intraprendente imprenditore e collezionista. In tale evento, la preziosa palazzina-museo, inaugurata secondo il volere del proprietario nel 1964, ci invita a osservare con attenzione una delle collezioni europee di arte giapponese e cinese di maggior prestigio, riunita dal 1907 al 1951.

Baur, affacciatosi dapprima all’arte giapponese e, dal 1928, a quella cinese, s’indirizzò sempre più a scelte di qualità, avvalendosi di accreditati mediatori, quali Thomas Bates Blow e, specialmente, del grande Tomita Kumasaku, antiquario di Kyoto che gli fu accanto nel viaggio intrapreso in Oriente dal 1923 al 1924 e con cui entrò in sintonia perfetta, avendo le stesse raffinate predilezioni estetiche. Poco nota al grande pubblico, la sua raccolta di settecentocinquantasei pezzi di straordinarie porcellane cinesi, insieme a quella contemporanea di Percival David a Londra, si rivela una vera avanguardia in Occidente per le scelte che esulano dalle tendenze del gusto ancora neobarocco profuso nel decoro delle dimore patrizie e alto borghesi dell'epoca.

Ogni opera cinese e giapponese, ordinata in sobrie vetrine con ritmo pausato, celebra il lavoro dell’artista esperto che la creò, ed esprime valori estetici, spirituali, filosofici della cultura orientale che la pervade. Baur – affascinato dalla sintesi formale e dall’audacia di sagome e tavolozze monocrome di altissima qualità destinate all’élite intellettuale cinese – anticipando i tempi, seppe comprendere l’arte di alcune ceramiche cinesi e riunì una magnifica collezione di pezzi della dinastia Song e di quella Qing del XVIII secolo, con esemplari Tang, Yuan e Ming di pregio. La natura e l’antico, il cosmo, le mutazioni del creato se non si palesano apertamente, sono a fondamento dei monocromi perfetti che Baur raccolse per sé e volle donare a tutti coloro che fossero attratti da questo “bello” sottile e sofisticato.

L’arte ceramica cinese di alto livello non è solo perizia creativa di maestri, ma eco di un mondo culturale e spirituale dei letterati neoconfuciani del XII secolo, fonte di ispirazione di maestri giapponesi zen e, nel XVIII secolo, anche di ceramisti e soprintendenti colti incaricati dai primi tre imperatori illuminati manciù, Kangxi Yongzhen e Qianlong, di esigere solo eccellenze dalle manifatture di corte di Jingdezhen. Un tratto fondamentale che si coglie nelle opere della collezione, sia negli oggetti rituali sia in quelli per l’uso colto da letterati, è il gusto antiquariale shanggu che si palesa nelle forme, coniugato con il forte senso di appartenenza alla natura e alle sue immutabili forze. È il caso di calibrati vasi che si ispirano ai bronzi architettonici Shang del XV secolo a. C. o alle ceramiche Song del XII secolo dalle coperte cerose e misteriose, reinterpretate con essenzialità di linee. Fonte d’ispirazione erano pezzi del collezionismo imperale e antichi testi stampati di bronzi rituali, quali il Kaogu tu.

I segreti alchemici custoditi nei forni di cottura, le tecniche acquisite in coperte e smalti, maturate in secoli di tradizione, registrate dal soprintendente Tang ying e in seguito nel Jingdzhen tao lu del 1815, consentivano ai maestri audaci virtuosismi mai disgiunti dalla profondità del pensiero filosofico – e in ciò la grandezza – e ci restituiscono superfici che non solo imitano quelle di minerali, piante o animali, ma le ricreano, cariche della loro energia vitale: ammiriamo polvere di the, pelle di anguilla, carapace di granchio, uovo di pettirosso, cielo dopo la pioggia… I monocromi collezionati indirizzati alla corte o a esigenti letterati ora si offrono alla vista dei visitatori con sensuale seduzione. Al vasellame sacrificale, usato personalmente dall’imperatore che ufficia i riti nei cinque colori – blu per l’altare del Cielo, rosso per l’altare del sole, bianco azzurrato per quello della luna, giallo per templi dedicati alla terra e bianco alle divinità ancestrali – si affianca vasellame decorativo e d’uso di pregio, in svariate forme e dimensioni. Alfred Baur, con intuito e studio, affiancato da Tomita, sceglie pezzi della prima dinastia Qing che interpretano il gusto per l’antico, haogu, con sintesi di forma-colore di un’avanguardia stupefacente: bruciaprofumi celadon o Dehua del tipo ding, rivisitazioni in viola saturo di coppe di libagione jue, recipienti rituali per il vino zun o hu con anse a drago in mille sfumature di verdi, celesti, lavanda, sotto trame di sottili craquelures

Davanti ai nostri occhi scorrono coperte e smalti in infinite varianti, da cotture a grande, medio e piccolo fuoco. Fra le prime, sorprende per l’avanguardia del “design”, il piccolo vaso dal collo lungo su basso corpo fortemente subglobulare, di linea tesa e dinamica, “nero a specchio” wu jin you intenso e corvino, dell’inizio dell’era Kangxi (primi anni del XVIII secolo); in porcellana bianca compatta, rivestita da una coperta a base di ferro, magnesio e ossido di cobalto molto liscia e uniforme, ricorda le superfici delle lacche. La tipologia ricorre anche fra i pezzi cinesi giunti in Europa, ma le sagome dei vasi a doppia zucca o a corpo a squadrato con anse a drago, la tonalità della coperta lievemente calda e impreziosita da decori in oro rispecchiavano un gusto barocco, evidente anche nella nota collezione Grandidier. I pezzi scelti da Baur sono invece piccoli capolavori destinati a letterati cinesi, ove proporzione, sagoma e colore giocano bilanciamenti misurati, bandendo il superfluo e lavorando su equilibri inediti tutt’altro che banali. È anche il caso della bottiglia chaye mo you, polvere di the, sempre a base di ossido di ferro, dal profilo teso e fortemente sintetico.

Alla Fondation Baur troviamo un gruppo di porcellane di grande pregio e rarità, di tonalità rosa-cremisi, con cangiantismi in verde tenero. Sono recipienti di sagoma e proporzioni molto calibrate “rosso fagiolo” jiangdou hong, o “rosso mela” pingguo qing, tipologia nota in Europa come pelle di pesca, filiata dalla Lang yao (sang de boeuf) e realizzata per un brevissimo periodo, dal 1715 al 1722, durante l’era Kangxi, come dono imperiale. Qui ci immergiamo in coperte gassose, insufflate con una canna di bambù, contenenti ossido di rame che, in atmosfera riducente, rivelavano effetti vaporosi a nuvola; rarissimi i vasi e gli oggetti per il tavolo del letterato: al lava pennelli e alla scatola per il vermiglio è accostato il vaso con il dragone qilong, quello a tre corde sul collo e l’elegante bottiglia a petali di loto, o il vaso della divinità taoista Guanyin a “foglia di salice” e il recipiente per l’acqua ad “alveare”, “a gabbia di pollo” o a forma di melagrana augurale. Ancora: vasi in blu sacrificale, ji lan, o blu zaffiro dell’era Kangxi o in blu violetto si accostano con declinazioni infinite a quelli per il letterato di un impalpabile celeste profondo, “chiaro di luna”, tianlan you, con decori floreali o di dragoni incisi tracciati con perizia grafica, dove lo strato di coperta più spesso crea i motivi lineari per contrasto.

Oltre alle coperte a grande fuoco, Alfred Baur colleziona monocromi a mezzo e a piccolo fuoco, dove la perfezione del binomio forma-colore suggerisce assonanze con antiche lacche cinesi. Sono coperte traslucide contenenti vernici piombifere stese su biscuit o sul corpo cotto ma già rivestito da una coperta trasparente, oppure smalti opachi, specialmente in piatti di ridotte dimensioni, come quelli a forma di crisantemo (juhua), propizio di prosperità e di energia vitale. Le gamme cromatiche sono accese e sature: blu di cobalto, turchese dall’ossido di rame in coperta alcalina, verde dal rame, nelle tonalità mela, camelia o più caldo con aggiunta di antimonio. Con lo stesso antimonio sono esposti piattini in tonalità molto luminose di giallo imperiale, sviluppando ricerche con il ferro già iniziate durante la dinastia Ming. Inoltre si trovano vasi e piatti di ridotte dimensioni, di delicato gusto Yongzhen (inizio XVIII secolo) dalla semplicità solo apparente, di tonalità accese come il rosso corallo di ferro, o pastello, in superfici uniformi opache, a causa del silicato di piombo cotto a piccolo fuoco e talora, per ottenere gamme più chiare, del bianco di arsenico miscelato ai pigmenti. Il giallo limone luminoso era destinato, come le vesti ufficiali, all’imperatore e alle concubine di primo rango. Il rosa di Cassio, di provenienza europea, giunto in Cina tramite i Gesuiti a corte, arricchisce la tavolozza policroma di alcune rarissime coppe Kangxi della collezione con caleidoscopiche incrostazioni floreali su fondo oro: la tipologia fencai, colori teneri, definita anche yang cai (colori stranieri) si deve al Jin hong, rosso oro, ottenuto da particelle colloidali di oro in un composto a base di silice, potassio e ossido di piombo. Baur sceglie sempre pezzi eccellenti, come i piccoli piatti col retro monocromo rosa carne o rosso rubino, destinati a una committenza imperiale.

Assaporata questa gioia di sagome essenziali e colori puri, le ultime stanze mostrano esempi di quel virtuosismo tecnico volto a ricreare materiali differenti del mondo vegetale e minerale o manifatture preziose: coralli, lacche, bambù, corda, legno, oreficeria sono colti nella loro energia interna e peculiarità naturale di linee, macchie, striature, bagliori, trame… Il vaso dorato a doppia strombatura con pipistrelli augurali di felicità (fu) – soggetto che ricorre come unico motivo reiterato in rosso ferro su fondo oro in un eccezionale vaso a zucca – si ispira al recipiente rituale in bronzo gu che è presente anche in sofisticate versioni cerose celadon verde giada e azzurro cielo, a documentare il culto mai sopito dell’antico, della natura e dei suoi principi e la consapevolezza sapienziale dell’appartenenza a un mondo di energie sottili che permea ogni elemento del creato.

Testo di Laura Zenone Padula