Vuoi che proviamo a scrivere una storia?
Non domando di meglio! Ma quale?
Quale, in effetti?

(Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet)

Contro l'unicità e l'indivisibilità granitica della storia e dell'identità. Questa la volontà. Smentire, negare, ma soprattutto difendere la pluralità. La collettiva curata da Vincenzo Estremo alla gallleriapiù - Also Known as Oltredimore- di Bologna mette in evidenza i modi attraverso i quali l'arte visiva contemporanea smentisce, questiona, racconta le molteplici narrazioni della pluralità identitaria.

C'è la necessità di liberarsi dal peso monolitico delle istituzioni storiografiche. E gli artisti in mostra danno voce alla possibilità di convivenza tra ricerche differenti tra loro. La storia come l'identità e la geografia è frammentaria, non lineare, polifonica, pulviscolare, imprecisa, irregolare, instabile, da scoprire. Come in un caleidoscopio le figure mutano senza mai ripetersi. Un molteplicità di strutture. César Escudero Andaluz, apre l'esposizione con due lavori estremamente interessanti, Tapebook del 2015 e File_món del 2012. Nel primo, l'artista che solitamente studia il rapporto che intercorre tra utenti e interfacce, trasforma testi estrapolati da pagine Facebook dedicati a grandi pensatori e filosofi come Barthes, McLuhan, Foucault, Lacan, in tracce audio riportate su audiocassette, ciascuna avente per copertina la grafica del social prima menzionato. Viene così attivato un confronto tra analogico e digitale affascinante e su diverse dimensioni.

In File_món numerose immagini in bianco e nero tra le più comuni, molte delle quali hanno costellato l'immaginario comune, una storia universale, sono usate come sfondo del desktop di un computer, e alcuni elementi vengono sostituiti da collage di icone digitali. Da banali e asettici segni, le icone ritornano a fungere come elementi costitutivi della figurazione. Interessante la citazione di Georges - Didi Huberman nel sito dell'artista stesso: "The information offer us much, through the proliferation of images. We are inclined to believe nothing of what we see". La vecchia immagine fotografica in bianco e nero diventa una tela sulla quale si depositano come in alveari stratificazioni di icone, un patchwork plurisemantico, veri e propri nidi di senso (O non-senso?).

Matteo Guidi e Giuliana Racco con i lavori Representation, Between Camps e You only feel good wher You are si posizionano in un delicato limbo, perché è anche di limbi che ci parla questa mostra, tra antropologia culturale e arte. In Between Camps gli artisti hanno documentato un cammino di tre giorni compiuto da loro stessi lungo le rovine di un antico acquedotto romano che nell'antichità portava a Gerusalemme l'acqua che derivava dalle piscine di Solimano vicino a Betlemme. Fu costruito da antichi colonizzatori e oggi l'acquedotto collega due campi profughi attraversando terre non praticabili agli abitanti originari, viene pertanto utilizzato come cava di marmo dalla popolazione locale, ciò dimostra in maniera palese il sentimento di non appartenenza di questi ultimi. Appartenenza, appropriazione, memoria, confini, geografia, barriere culturali, questi, i temi esposti da duo Guidi-Racco. Quanto è labile e doloroso e precario l'orizzonte. Una linea evanescente e tagliente, un profilo sul quale l'uomo è costretto e attratto a percorrerlo. Una lontananza che solo la memoria forse può colmare. Come si evince nello scatto di Between Camps.

Intensi i lavori olio su tela e bomboletta spray di Massimo Ricciardo. In Expropriation ritrae dei luoghi squarcianti da un fucsia shocking che aggredisce lo sguardo. La città soggetto è Kashgar, città cinese della provincia autonoma dello Xinjiang, storico punto di scambio e incontro lungo la via della Seta, dove l'artista trascorse un periodo. Il centro storico ottomano venne abbattuto in seguito a un radicale riassetto come segno di sottomissione del popolo degli Uiguri, una piccola minoranza locale di etnia turcomanna con fede musulmana in opposizione al governo vigente. La distruzione e l'espropriazione sono rese manifeste dallo spruzzo arrogante e invasivo, quasi autoritario e demolitore dello spray fucsia. Avvicinandosi ai lavori si scorge quasi in opposizione una pastosità, matericitá densa e importante. In Permanent Vacation, installazione site-specific, tessuti tradizionali di un'etnia vengono confrontati con il tessuto del potere, l'immagine dell'accappatoio che Mao indossava in alcune fotografie ufficiali. La migrazione e lo scambio sono in movimento permanente, e questa è una condizione indissolubile della frammentarietà che caratterizza la vita, ancora prima della storia.

Time topographies trilogy, lavoro che "chiude" l'esposizione, opera video dell'artista Amanda Gutiérrez, è una trilogia video che dá voce ai luoghi, nessuna figura umana compare, solo tre sguardi su fette di pianeta si alternano calibrate, alcune voci fuori campo diverse per etnia, età e genere raccontano storie di migrazione e clandestinità, lasciandoci e facendoci riflettere sulla moltitudine della storia che trova vita nell'impalpabilità dei confini, nell'inutilmente indispensabile dell'arte e nel narrare in maniera plurima.

La storia, un distillato di rumori.
(Thomas Carlyle)